Artémis e Henriot, ovvero Il mio grosso grasso matrimonio borgognone6 min read

Mi viene in mente il titolo di  un film di cassetta di qualche anno fa, “My Big Fat Greek Wedding”,  perché di un matrimonio alla fine si è trattato e che sia grosso non c’è il minimo dubbio: mi riferisco alla fusione, subito ribattezzata dalla stampa francese come “le mariage de l’année”,  della società Artémis del miliardario francese François Pinault con la Maisons & Domaines Henriot, proprietaria in Borgogna del colosso Bouchard Père et Fils e del Domaine William Fèvre a Chablis.

Un matrimonio per la verità poco equilibrato (Artémis avrà infatti il 75% del pacchetto proprietario), ma che soddisfa entrambe le parti. Gilles De Larouzière, PDG di Henriot, e presidente del servizio di sorveglianza che presiederà alla nuova entità, definisce questa fusione come ricca di promesse per le proprietà del  gruppo della famiglia Henriot, per la forte condivisione con Artémis di “un attaccamento profondo per l’eccezionale patrimonio vitivinicolo della Francia” e della sua volontà di svilupparsi “nell’arco di molte generazioni, ad immagine del tempo lungo che fa i grandi vini”. Quanto a lui, il  proprietario di Artémis sottolinea la grande opportunità di “riunire sotto la stessa bandiera i tesori del nostro patrimonio viticolo” e “la garanzia che sarà un gruppo francese ad assicurare nel tempo la preservazione di quei gioielli, proseguendo la ricerca della loro eccellenza marcata da una storia prestigiosa”.

Queste parole, con la loro enfasi, descrivono bene l’enormità dell’operazione. A parte la Maison de Champagne Henriot, nel portafoglio della nuova società entrano così la stessa Maison Bouchard Père et Fils (130 ettari di vigna nel cuore della Côte d’Or, di cui 74 in Premiers crus e 12 in grands crus -numeri enormi in Borgogna-) e il Domaine William Fèvre, altro gigante di Chablis (78 ettari, di cui 12 in Premiers Crus e 16 in grands crus). Queste “piccolezze” erano state acquistate dalla famiglia Henriot rispettivamente nel 1995 e nel 1998. 

A questi va aggiunto anche il Domain Beaux Frères Winery nell’Oregon, acquistato nel 2017. 

Con questa fusione, prosegue l’inarrestabile scalata di Artémis al patrimonio vitivinicolo francese, iniziata nel 1993 con il clamoroso acquisto dello Château Latour  e proseguita nel 2006 con l’acquisizione del Domaine Engel (ribattezzato Domaine d’Eugénie) di Vosne-Romanée, a cui  è seguita nel 2011 la “presa” dello   Château Grillet, il gioiello più prezioso della Côte-Rotie nel Rodano settentrionale e nel 2017, ciliegina sulla torta, del Clos de Tart.

Prima delle acquisizioni odierne, c’era stato anche l’acquisto nel 2013 di Eisele Vineyard, prestigiosa winery della Napa Valley -forse il primo grand cru del cabernet californiano-. Senza dimenticare la recente acquisizione parziale  della Maison de Champagne Jacquesson di Dizzy.

Della possibile vendita delle proprietà borgognone di Henriot si parlava già da almeno tre anni, voce però  smentita in un’intervista da de Larouzière, dal 2015 Presidente della Maisons et Domaines Henriot. Lo negavano anche i recenti acquisti dello Château de Poncié nel Beaujolais e soprattutto del Domain Beaux Frères nella Williamette Valley, nonché l’avvio di un gigantesco programma di “replantation” del vigneto che avrebbe comportato la riduzione di almeno il 10% dei volumi di produzione per almeno tre decenni:  tutti aspetti in teoria assolutamente incompatibili con un piano di vendita immediato.

A tutto ciò va aggiunta  la gigantesca opera di conversione al biologico dell’intera proprietà,  pianificata nel dettaglio da Frédéric Weber-direttore delle vigne e maître de chais,  e fortemente voluta da de Larouzière.

Un piano iniziato  ormai da vent’anni nel Domaine William Fèvre e da circa dieci alla Maison Bouchard (già certificato HVE 3)  con i primi test effettuati in due dei suoi monopole Premiers crus, il Clos de la Mousse e il Clos Landry. Quando  questo lungo percorso, già concluso per 50 ettari  sarà completato nel 2024, nascerà la più grande entità bio dell’intera Borgogna.

Non insisterò ulteriormente sull’importanza e sul pregio delle proprietà borgognone entrate con questa fusione nel nuovo grande gruppo pilotato da Artémis attraverso Frédéric  Engerer, storico managing Director di Artémis Domaines : un vero e proprio tesoro nelle vigne (basti pensare che la Maison Bouchard possiede, oltre a una porzione significativa del Montrachet, oltre un terzo dello Chevalier, tra cui la preziosa parcella La Cabotte, e molti altri “fleurons”, come il monopole Vigne de l’Enfant Jésus) e nelle cantine del castello di Beaune, sotto le cui mura, a 10 m. di profondità, giacciono  migliaia di vecchi millesimi, anche ottocenteschi, scampati alle razzie dell’occupazione tedesca e perfettamente conservati.

Ora  le indiscrezioni e i misteri degli ultimi giorni, in cui si diceva e non si diceva,  accreditati però dal brusco passaggio, qualche giorno prima,  del managing director Thomas Seiter alla presidenza della maison Louis Jadot, quando già  si immaginava un nuovo duello Pinault-Arnault, sono state superate dalla comunicazione ufficiale del 30 settembre.

Quali saranno gli effetti di questo nuovo sconvolgimento dell’assetto proprietario nel mondo delle grandi Maisons di Beaune, già turbate dalla scomparsa prematura di Louis Latour, e soprattutto delle proprietà Henriot?

Se le grandi linee sul piano della produzione appaiono già tracciate, con il completamento del rinnovamento dei vigneti e della conversione al biologico, non vi è dubbio che vi sarà un’ulteriore decisiva spinta verso un incremento di qualità, e ahimè dei prezzi, finora almeno in parte sfuggiti alla corsa pazza che negli ultimi tempi ha investito alcuni Domaines iconici della Côte-d’Or.

E’ perfino possibile che la Maison Bouchard, la prima delle grandi maisons de négoce  che abbia molto precocemente investito nell’acquisizione diretta di parcelle  e di vigne (risalgono addirittura al 1775 i primi acquisti di vigne a Volnay) decida di abbandonare  (o cedere) il négoce, per concentrarsi esclusivamente sulle peraltro già vastissime proprietà.

Quanto agli effetti indotti, si tratta di un altro colpo allo storico modello familiare del vigneto borgognone e probabilmente un’ulteriore spinta verso l’alto del valore dei terreni, che tante difficoltà sta creando alle trasmissioni ereditarie dei patrimoni, ma anche l’esplicitazione e il rafforzamento  della barriera che la Francia vuole creare  per gli acquirenti stranieri più agguerriti.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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