Dopo un anno di stop rieccomi a Lazise ad assaggiare, questa volta, solo Chiaretto.
Per anni infatti l’Anteprima Bardolino ha anche scandito il ritmo degli assaggi di questo vino rosato che nasce sul Lago di Garda: il Bardolino era il principale protagonista e il Chiaretto si assaggiava sempre un po’ “negli avanzi di tempo”.
Con questa anteprima il brutto anatroccolo è diventato cigno, talmente cigno da rubare la scena al Bardolino (che avrà d’ora in poi uno spazio tutto suo main autunno) e da meritarsi per la prima volta un’anteprima tutta sua.
Parliamo di un vino che sulle sponde del Garda arriva a circa dodici milioni di bottiglie prodotte. Tante? Boh! La Provenza arriva da sola a 100 milioni di bottiglie, mentre il Chiaretto ha una domanda che cresce di circa il 10% all’anno…fate voi.
Il progetto Rosé Revolution
Tutto nasce nel 2008, quando il Consorzio del Bardolino prende consapevolezza del potenziale commerciale del Chiaretto e, ispirato dal grande appassionato di vini rosati, il giornalista Angelo Peretti, mette in piedi un progetto dal nome Rosé Revolution. Questo progetto inserisce un concetto cardine per percorso di qualità di questo vino: il punto di colore. Un parametro alquanto strano in apparenza, quanto fondamentale per costringere i produttori a cambiare totalmente sistema produttivo in vigna e in cantina.
Fino a quel momento la stragrande maggioranza di Chiaretto veniva vinificato attraverso il salasso del Bardolino, dunque un prodotto ottenuto con uve fatte per il Bardolino (quindi più mature e meno acide ) e un processo produttivo diverso: questo lo condannava ad una veloce ossidazione.
Per ottenere il “classico” colore rosato da buccia di cipolla è necessario attuare tecniche diverse.
A parte il fatto che sarebbe meglio destinare un vigneto esclusivamente a Chiaretto, le uve devono essere vendemmiate circa quindici-venti giorni prima di quelle per il Bardolino, e in cantina le stesse vanno sottoposte a pressatura soffice con temperatura controllata.
Il millesimo 2014 ha visto uscire le prime bottiglie certificate dal progetto Rosé Revolution: una svolta vera e propria nel livello qualitativo di questo vino, che finalmente può cominciare timidamente a confrontarsi con i vini rosati del panorama mondiale.
Il progetto non è ancora finito: terminerà con l’approvazione ministeriale della nuova DOC “Chiaretto di Bardolino” che, tra le altre cose, prevede nel suo disciplinare una scala cromatica di colore ben definita a cui tutti i produttori dovranno attenersi. Purtroppo al momento ci sono circa 250 disciplinari di varie doc italiane che attendono di essere approvati e quello che in Francia sembra si possa fare anche in 48 ore in Italia si impiegano circa due anni.
Nel frattempo le cantine hanno già cominciato ad adeguarsi, alcune da molto tempo e sulla scena si stanno sempre più avvicinando grosse cantine blasonate della vicina Valpolicella, segno che l’argomento interessa sempre di più.
Le due sponde
Questa anteprima “numero zero” prevede anche una ulteriore novità: da quest’anno comprende anche il Chiaretto della sponda bresciana. Questo lo troviamo sotto due denominazioni: “Riviera del Garda Chiaretto e la nuova e ben più specifica denominazione “Valténesi Riviera del Garda Chiaretto”: altre uve, altre realtà ma un vino che ha nel nome e nei fatti la stessa precisa collocazione commerciale del suo cugino veronese. I produttori della sponda Ovest (circa due milioni di bottiglie), dopo intensi incontri con i colleghi della sponda Est (circa dieci milioni di bottiglie), hanno sposato il progetto Rosé Revolution.
Vale la pena spendere due parole sulla differenza tra Bardolino Chiaretto DOC e Chiaretto Valténesi DOC:
sono geograficamente dislocati rispettivamente sulla sponda ovest (Valtenesi) ed est (Bardolino) del Lago di Garda.
I vitigni sono principalmente Groppello per la sponda ovest e Corvina per la sponda est.
Le differenze pedoclimatiche sono principalmente dovute all’esposizione solare diversa: si dice che il Valténesi prenda il sole “la mattina” e il Bardolino “il pomeriggio”, così si può capire che differenza importante sono le ore/sole a disposizione delle due sponde , con ripercussioni nel potenziale acido e zuccherino dei due vini.
Inoltre la corvina è più tannica rispetto al groppello e deve essere attesa di più in vigna per una migliore maturazione fenolica. Per questo motivo il Chiaretto veronese si riconosce normalmente perché più tannico del cugino bresciano. Inoltre la precocità del Groppello, fa si che il vino Chiaretto Valténesi raggiunga prima lo stadio di maturazione rispetto, al Bardolino Chiaretto.
Dunque i due vini hanno in comune praticamente solo le colline moreniche che circondano il lago.
La degustazione, pardon, le degustazioni
Il motivo principale del viaggio rimane comunque la possibilità di assaggiare un numero altamente rappresentativo di vini della zona, quest’anno delle due zone.
In assaggio 24 Chiaretto sponda bresciana e 47 sponda veronese. Sotto i riflettori l’annata 2017 a cui, come dice Angelo Peretti, “mancavano solo le cavallette”: gelata primaverile (40% delle vigne andate), estate con grandine e siccità prolungata. Un’annata difficile con rese molto basse, talmente basse da avere uve il cui colore virava troppo verso il violaceo. Dunque un’annata difficile che si ricorderà a lungo.
I colori sono risultati molto più compatti sulla sponda bresciana ma questo parametro può trarre in inganno. È vero che il Chiaretto sponda est ha una variabilità molto più alta in un’annata come questa, ma questo dato va pesato con una variabile quantitativa, ovvero in assaggio ci sono cantine da poche migliaia di bottiglie e vini prodotti in milioni di pezzi: in generale più del 95% dell’intera produzione ha un colore decisamente corretto ed in linea con la cromaticità prevista.
Ai profumi e al palato le differenze si sentono ma nessuna delle due zone ha sfigurato, anche se personalmente in questo millesimo trovo la sponda bresciana adesso più interessante e pronta, mentre la sponda veronese ancora in divenire
Da notare la pressoché totale assenza di difetti e questo grazie al lavoro fatto in questi anni per “mettere a punto” questo vino. Un vino che si presenta più che piacevole benché proveniente da un’annata ai limiti del possibile.
Ma c’è di più: una bella degustazione guidata da Peretti ha messo in mostra un insospettabile potenziale di invecchiamento. Abbiamo assaggiato annate fino al 2009 di vari produttori, tutti vini più o meno integri e piacevoli. I vini con il tappo Stelvin hanno brillato per fragranza ed incredibile freschezza: uno su tutti vorrei citare Il Chiaretto 2012 della cantina Le Fraghe, un preciso esempio di quello che può essere un vino la cui immagine non è certo quella di vino da bersi dopo qualche anno.
Certamente guardo a questo vino con occhi diversi dopo questa due giorni gardesana. Finalmente ho potuto testarlo dandogli il tempo e l’attenzione che merita. Bene hanno fatto gli organizzatori a separare questo rosato dal suo fratello superiore, il Bardolino. Il Chiaretto è un vino che merita un suo giusto spazio nell’ambito dei vini rosati mondiali, la strada è appena cominciata ma le premesse ci sono.
Chiudo facendo menzione di voci che danno per imminente un nuovo progetto dedicato all’Italian Wine Rosé, come cita il manifesto dell’evento: un progetto che vuole integrare ancora di più la sinergia tra i due rosati lacustri, ma soprattutto coinvolgere altre zone italiane in cui il rosato abbia storicamente un ruolo importante.