Andrea Machetti, nuovo direttore Consorzio Brunello: “A Montalcino non ci sono strutture abbastanza grandi per eventi.”12 min read

Abbiamo intervistato Andrea Machetti, il neodirettore del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, cercando di capire cosa, con questo cambio al vertice, accadrà nella comunicazione e nella pianificazione degli eventi di questo importante consorzio italiano.

Winesurf. “Andrea Machetti, tutti sanno, grazie anche ai recenti comunicati stampa, i tuoi trascorsi lavorativi, tutti passati in aziende private. Facci comunque una tua breve storia e, già che ci siamo, quale pensi sia la differenza principale tra dirigere una cantina privata e un consorzio?”

Andrea Machetti “Le aziende private hanno permesso a questo territorio di crescere e di far conoscere Montalcino nel mondo. Inoltre hanno permesso a molti di formare non solo capacità manageriali, ma anche culturali. Dico sempre che ognuno di noi ha tanto da imparare. Iniziai da Banfi partendo da zero, per poi passare, come dirigente a Castiglion del Bosco nel 1989 e poi il grande salto nel 1992 a Mastrojanni, cantina gestita allora in maniera contadina, quindi in maniera molto diversa dalle altre due. Poi, dopo una serie di bei riconoscimenti la famiglia Mastrojanni, di cui mi sentivo veramente parte, nel 2008 decise di vendere a Illy. Da allora l’azienda è cresciuta ancora molto e sono onorato di aver lavorato fino a fine 2022 con loro. Una volta uscito da Mastrojanni dei produttori che fanno parte del consiglio mi hanno cercato per propormi questo posto. C’ho pensato un po’ e poi ho deciso di accettare, anche perché questo è sicuramente uno dei consorzi più importanti d’Italia. Io sono nato qui e questo territorio sta portando benessere a tutti quelli che ci vivono e ci lavorano, quindi perché non dare una mano?”

W. “L’Andrea Machetti che conosco io è una persona molto decisa, quasi decisionista. C’era bisogno di una persona del genere in questo consorzio e perché?”

A.M. “Lo vedremo se c’era bisogno di uno come me. Nessuno ha la bacchetta magica e può sapere di cosa c’è bisogno in un nuovo posto di lavoro. Credo che qui, come in ogni realtà, ci sia  bisogno del rapporto umano, che forse oggi a Montalcino manca un po’, tra l’istituzione Consorzio, il territorio e i produttori. Credo che uno dei miei compiti sarà quello di ricreare un’armonia tra questo ente e i propri soci. Questa è la prima cosa che voglio fare: parlare con i produttori piccoli e grandi e provare a condividere i loro diversi problemi, in modo da trovare un’armonia che ci possa spingere ancora più avanti. Per esempio il Consorzio del Brunello è stato uno dei primi ha fare un evento della tipologia del Benvenuto Brunello ma oggi dobbiamo inventarci qualcosa per essere ancora più avanti.”

W. Ma Ti sei fatto un programma delle cose da fare subito e quelle da fare dopo? Ce lo puoi dire?

A.M. “In primo luogo vorrei vedere, ascoltare, capire la situazione solo dopo si può programmare. Sono arrivato e per prima cosa ho parlato con i dipendenti, con il Consiglio, subito dopo parlerò con i soci e poi vedrò su cosa focalizzarmi, però con l’aiuto di tutti qualcosa va fatto per rendere questo consorzio, questo territorio, ancora più importante.”

W. “Quindi non vi fermerete al Benvenuto Brunello in Italia o all’estero, cercherete altre strade?”

A.M. “Ormai il Benvenuto Brunello è qualcosa di “fisiologico”. Ma il problema grosso di Montalcino, che qualche volta il socio produttore non recepisce, è che non abbiamo strutture di grandezza adeguata. In quella dove facciamo Benvenuto Brunello negli ultimi anni non possiamo mettere più di 350 persone e quindi, dove li potremo fare i nostri eventi pensando a 1000-1200 persone al giorno? Dobbiamo inventarci qualcosa e magari pensare a strutture nelle vicinanze di Montalcino che possano andare bene a grandi e piccoli produttori. Qualche idea ce l’ho ma andranno condivise con Consiglio e soci.”

Montalcino.

W. “Montalcino è diventata famosa grazie al Brunello: da 8ooo bottiglie circa nel 1968 a 8 milioni con l’annata 2018: una crescita, una galoppata quasi senza soste di 50 anni. Secondo te, quali sono stati i due picchi massimi, i due momenti di maggior fulgore per questa denominazione?”

A.M. “Questa denominazione è nata grazie alla bravura di tutti i produttori. L’arrivo di qualche grande azienda, che ha portato il marchio di Montalcino nel mondo è stato l’evento che ci ha permesso di crescere e di dare identità al territorio. Quando è stata creata Banfi è successo proprio questo. Prima c’erano aziende importanti, c’erano quelle storiche come Biondi Santi e Barbi, però non c’era un’identità in Italia e all’estero sul nome Montalcino. Bisogna comunque avere grande rispetto per i piccoli produttori che abbiamo sul territorio, che hanno creato il consorzio e hanno una lunga storia alle spalle.”

W. “Me ne hai detta solamente una di cose ma mi basta. E i due momenti più bassi?”

A.M. “Anche nel momento di piccole problematiche Montalcino è sempre riuscito ad uscirne perché era ed è una realtà coesa. Poi ci possono essere state piccole diatribe ma il fatto è che abbiamo ancora i nostri disciplinari blindati. Anche oggi che arrivano sulla scena del Brunello persone e società che sono nel mondo finanziario e non produttivo o imprenditoriale agricolo. Dalla Langa, dal Veneto, dalla Francia, dal mondo arabo  vengono qui: questo vuol dire che siamo un’isola importante nel mondo del businnes, ma soprattutto nel riconoscimento del nostro brand.”

W. “Se mi permetti i momenti di bassa “piccoli” non sono stati così piccoli se mi ricordo bene (mi riferisco a Brunellopoli nel 2007), però hai ragione quando dici che il consorzio, pur avendo vari problemi ha mantenuta ferma la barra e il territorio è ripartito alla grande.”

A.M. “Questo territorio è cresciuto e ha conosciuto il benessere e la ricchezza  in fretta e questo porta a mettere scompiglio nei rapporti tra le persone, Però la concretezza di Montalcino ha dato una risposta importante. Se oggi Montalcino è sempre il numero 1 , se siamo un’élite nel mondo dell’enologia mondiale vuol dire che siamo stati anche bravi.”

W. Pensi che una cosa come Brunellopoli  si potrebbe ripetere oggi o assolutamente no?”

A.M: “In questo mondo non possiamo essere certi di nulla ma credo che quello di cui parli sia stato uno scivolone in un momento particolare. Però la forza di questo territorio e delle persone che l’hanno creato è stata di essere coesi e di bloccare qualsiasi forza che avrebbe voluto distruggere questa coesione e questa storia.”

W. “Parlavo ieri all’anteprima del Chianti Classico con dei giovani degustatori dell’Emilia Romagna che mi hanno un po’ aperto gli occhi: per loro il Rosso di Montalcino è un prodotto molto gradito e adatto ai giovani, mentre il Brunello viene visto come un vino vecchio, quasi superato. Ovviamente i mercati sono tanti e i pareri sono molti di più, ma una cosa del genere l’avevate orecchiata, sia a livello privato che consortile?”

A.M. “Il Rosso di Montalcino è un vino importante, sono 5 milioni di bottiglie, in confronto agli 8/9 milioni di bottiglie del Brunello. Tutti oggi ci stanno investendo perché è quel vino che ti permette di entrare sul mercato in una fascia medio-alta. Quei giovani che dicevi erano emiliani, persone abituate a vini di pronta beva, quindi meno portati verso un Brunello, anche se oggi ci sono Brunello molto più pronti che in passato. Sinceramente non vedo un grande problema in questo.”

W. “Il Consorzio sta puntando sul Rosso di Montalcino, avendo organizzato delle manifestazioni: continuerete a farle?”

A.M. “Si, almeno credo di si perché sono appena arrivato, sono fresco.”

W. “Sei come il Rosso di Montalcino allora?”

A.M. (ride) “Diciamo che sono un po’ datato ma fresco. Comunque quello sul Rosso di Montalcino è un progetto importante, anche da ampliare.”

W. “A proposito di ampliare, c’è un mercato in cui volete assolutamente sfondare o consolidarvi fortemente e ce n’è un altro che, anche se famoso, vi interessa poco?”

A.M. “Questo non dipende dal consorzio, che deve fare immagine in tutto il mondo e tutelare i marchi. I mercati sono appannaggio delle aziende, che hanno identità diverse.”

W. “Per un consorzio farsi conoscere con una giusta immagine è fondamentale, ma non mi sembra che ci siano state campagne pubblicitarie importanti. Quali sono i pilastri su cui andava avanti la comunicazione del consorzio e rimarranno questi anche in futuro?

A.M. “Devo ancora vedere quello che è successo e quello che si potrà fare: dovremo essere bravi anche a innovare: magari invece di portare il consorzio all’estero far venire le persone sul territorio. Sicuramente, a parte le solite pubblicità standard sulle riveste e sui giornali più importanti qualcosa di nuovo si farà. Il mondo internet, diventato enorme, non si sa come gestirlo: non sai chi sono e cosa fanno.”

W. “Fantaenologia: mettiamo che il consorzio del Brunello di Montalcino non esista: in quale consorzio italiano ti sarebbe piaciuto andare a fare il direttore?”

A.M. “Sono italiano e ammetto anche di non sapere bene le principali lingue estere. Il lavoro qui lo faccio e lo farò perché faccio parte di questo territorio, lo amo e l’ho vissuto. Essendo toscano se non potessi farlo qui potrei andare in Chianti Classico, dove c’è storia e bellezza.”

W. “Brunello 2018: i pareri sono stati abbastanza diversi. A te chiedo un pregio e un difetto di questa annata.”

A.M. “Montalcino è una zona molto complessa e da sud a nord, da est a ovest ci sono tanti chilometri, esposizioni diverse, terreni diversi e mentalità diverse. La 2018 era stata prevista da tutte le parti in causa più interessante, però dalle varie voci che ho sentito pare un’annata un po’ squilibrata.”

W. “Squilibrata in che senso?”

A.M. “Ci possono essere vini migliori e peggiori ma in generale non credo sia un’annata negativa. Del resto anche la 2017 doveva essere calda, difficile, problematica e invece ha avuto un successo importante. Nella 2018 ci possono essere state zone con qualche sofferenza in più, però ho trovato diverse bottiglie con un certo equilibrio.”

W. “Visto che continuano ad aumentare i vini da single vineyard o comunque con nome aggiuntivo in etichetta e dato che questi vini sembrano avere ottimo successo, non credi che sia arrivato il momento per una zonazione a Montalcino?”

A.M. “No! Sono sempre stato per il no, anche quando lavoravo per una cantina e in questo caso parlo per me e basta. Secondo me Montalcino ha già la sua zonazione, dovuta all’intelligenza di ogni azienda, che con il suo “cru” da vigneto ha dato un’identità a quella zona. In ogni zona di Montalcino troviamo vini da singoli vigneti eccezionali, che vengono premiati e considerati. Condividerei una zonazione dove ci sono tante realtà comunali diverse e c’è bisogno di creare un qualcosa che unisca, ma Montalcino è uno e alla fine nascerebbero solo figli di serie A e di serie B: qui siamo tutti di serie A o tutti di Sserie B.”

W. “Pare che questa sia la posizione ufficiale perché anche a settembre, intervistando Giacomo Neri, ebbi la stessa risposta.”

A.M. “Consideriamo anche le differenze tra annate, dove zone di Serie C possono tranquillamente diventare di Serie A. E’ giusto che resti così e credo che se ogni azienda avesse un pezzetto di vigna dove poter fare il suo Single Vineyard si creerebbe un indotto migliore rispetto alla produzione di una Riserva.”

W. “Sono d’accordo con te: è molto più “ moderno” un vino da singolo vigneto che una Riserva. Perché vi siete staccati dalle anteprime toscane? Per il momento in cui vengono fatte, per essere meglio visibili o cosa?”

A.M. “A questo non posso risponderti io ma il consiglio che allora decise questa cosa. Comunque ribadisco che il problema grande di Montalcino è quello di non avere strutture adeguate per ospitare più di 350 persone. Dobbiamo parlare con i produttori e capire cosa fare, se uscire dal comune per trovare spazi dove poter tornare anche al “banchetto”, dove il produttore potrà avere un contatto con stampa, clienti, pubblico. Vedremo se potrà essere fatto.”

W. “Hai pensato ad un tuo motto come direttore del consorzio, se si ce lo puoi dire?”

A.M. “Voglio avere un rapporto umano con i soci e spero di riuscirci per il bene di questo consorzio.”

W. “Ultima domanda cosa bevi quando sei a casa?

A.M. “Non te lo potrei dire… diciamo che bevo acqua. In realtà bevo un buon sangiovese.”

W. “Solo quello?”

A.M. “I miei vini/vitigni del cuore sono tre Sangiovese, Nebbiolo, Pinot Nero.”

W.”All’interno di questi tre quali preferisci? In che ordine?”

A.M.“Per me il Sangiovese è… Sangiovese, il Pinot Nero, specie quello borgognone, è unico al mondo e il Nebbiolo per me è Barolo. Poi il Sangiovese è piantato da molte parti in Italia, ma l’identità che prende a Montalcino a me piace tantissimo. Considera comunque che anche in Chianti Classico ci sono grandi sangiovese.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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