Al mare a Follonica negli anni cinquanta4 min read

Nonostante il mare fosse distante da casa mia solo una ventina di chilometri, negli anni ’50 non era cosa abituale e facilissima andarci. Il primo “mare” nostro fu una specie di pozza di acqua sorgiva alle Caldanelle della fattoria degli Acquisti. C’era una piccola sorgente di acqua sulfurea con una temperatura piacevolmente tiepida, intorno ai 35 – 37 gradi, che alimentava in continuo una pozza di pochi metri quadrati per un’altezza di circa 60 centimetri.

Marina di Grosseto e Castiglione della Pescaia erano i luoghi più vicini ma non serviti da mezzi pubblici dal paese, per cui  il mio primo mare fu Follonica. Questo perché mio nonno era pensionato delle Ferrovie e quindi aveva biglietti gratis per qualche migliaio di chilometri, per se e per mia nonna. Io non pagavo perché ero piccolo.

Andare al mare a Follonica era come fare un viaggio nel paese delle meraviglie. Già attraversando le varie stazioni si succedevano panorami e situazioni nuove, inusuali e fantastiche. Come a Giuncarico dove c’erano sempre dei vagoni scoperti e carichi di bellissime pietre color azzurrino della cava della Bartolina, quelle che servono per fare le scarpate e il sostegno dei binari ferroviari. Dopo opportuna e spinta macinatura si ottiene il moniglio valido sostituto dell’asfalto per le strade di campagna e per i cortili.

E poi dopo la stazione successiva i vagoncini aerei, che andavano e venivano, carichi di pirite che viaggiavano da Gavorrano a Scarlino e poi verso Follonica dove al Puntone veniva  imbarcata per il trasporto fino all’altoforno di Piombino. Ma vedere queste cose con gli occhi da bambino era veramente come essere in una fiaba.

L’altissima ciminiera di Scarlino con il perenne pennacchio era l’ultimo passo prima di arrivare a destinazione. E il vero paese delle meraviglie stava arrivando. Follonica si annunciava con le sue maestose pinete che si disegnavano all’orizzonte. Arrivati in stazione cominciavo ad annusare perché sentivo qualcosa di diverso nell’aria, qualcosa mai sentito prima. Si usciva dalla stazione e in fondo al viale in leggera discesa all’orizzonte si scopriva quella incredibile pennellata di azzurro che confinava con il cielo e che ti portava a piè pari nel mondo dei sogni.

Camminando si sentiva sempre di più l’odore del mare che dava una dimensione tutta nuova e particolare per il luogo che si stava scoprendo e godendo.

Arrivati in fondo al viale si prendeva a destra, verso nord dove c’era il bagno Parrini e poi l’Hotel Lido e poi, più lontano, Pratoranieri. La pineta si estendeva a fianco del lungomare sopra delle dune abbastanza alte, in pratica delle collinette, che offrivano spazi per stare all’ombra ventilata e desinare al momento opportuno. Ai piedi della collinetta  c’era il venditore di cocomeri. I costumi da bagno di allora erano per le donne ad un solo pezzo e per gli uomini a forma di slip o boxer rigorosamente in lana nera! Per noi ragazzi erano di stoffa con un nastrino laterale, come le stringhe delle scarpe, poi vennero quelli elasticizzati. I costumi degli uomini erano una cosa veramente penosa. Appena bagnati pendevano da tutte le parti e l’elastico in vita che dovevano sostenerli, talvolta sostituito da un nastro a mo’ di cintura, non era sempre all’altezza del compito richiesto. Sia mio nonno che mio babbo ne erano la prova tangibile.

Mamma aveva il costume ad un pezzo ed era bellissima. Mia nonna non si è mai messa in costume, ma era preziosissima perché ci preparava da mangiare, sia la colazione che il pranzo che si consumava nella pineta. La colazione era a base di fette di pane con qualche salume, ma anche con la cotoletta impanata e fritta. Questa veniva consumata già sul treno su di uno strapuntino che si alzava vicino al finestrino. Cosa talmente a me gradita che volli al momento opportuno farla provare anche alle mie figliole adolescenti in un viaggio per vedere la torre pendente a Pisa. Per loro la prima volta in treno era una novità eccitante come invece per noi era stato l’andare la prima volta in automobile.Per il pranzo quasi sempre c’era il fritto di pollo o di piccione. La frutta erano i mitici cocomeri tondi verde scuro, (scoprii poi che si chiamavano Sugar Baby), con un colore un profumo e un sapore mai più uguagliato nel tempo. All’epoca ai cocomeri, prima dell’acquisto, veniva fatto un tassello per vedere se erano ben rossi e maturi.

All’acquisto il cocomero tassellato costava un po’ di più, ma dava la garanzia della qualità: se non era di gradimento veniva scelto un altro. Senza il tassello costava meno, però si doveva prendere quello che poi era! Mio nonno mangiava il pane con il cocomero. Ma lo mangiava anche con l’uva. Uva sia da tavola che da vino. Per bere si portava con noi “l’acqua Vichy” (che in realtà era la famosa Idrolitina) con le due bustine, una rossa ed una blu, nella bottiglia con chiusura a scatto, perché a Follonica l’acqua era come bere quella del mare tanto era schifosa.

La reclame recitava: « Diceva l’oste al vino “tu mi diventi vecchio, ti voglio maritare con l’acqua del mio secchio”, rispose il vino all’oste “fai le pubblicazioni,  sposo l’Idrolitina del cavalier Gazzoni!” »

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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