A Palazzo Gondi in mezzo alla storia per capire il futuro del vin santo5 min read

Ci sono stati vari punti positivi nella particolarissima cena  intitolata Salato Stil Novo che la famiglia Gondi ha organizzato il 18 febbraio nel loro palazzo fiorentino.

In primo luogo… il luogo! Palazzo Gondi, progettato nel 1489 da Giuliano da Sangallo e inaugurato pochi anni dopo, ha la maestosità che solo il Rinascimento può conferire. Inoltre 500 anni di storia lo mettono al centro di avvenimenti che mescolano libri di storia a vita vissuta nonché ben narrata, all’occasione,  da Bernando, Gerardo e Lapo Gondi.

Le grandi terrazze che, all’ultimo piano, si affacciano sulla città mostrano a 360° il resto della storia cittadina, con Palazzo Vecchio, il Duomo, la Torre del Bargello che sembra di toccare con mano e tutto il resto della bellezza fiorentina che fa da cornice ad occhi che non smetterebbero mai di guardare e che, a pensarci bene, potrebbero anche essere quelli del Duca di Urbino che nel 1495 inaugurò il palazzo.

Ma veniamo ad oggi: rispetto al Duca di Urbino magari non avrò possedimenti nel Montefeltro ma  in compenso ho in mano un calice di  Vin Santo del Chianti Rufina 2002 Cardinal de Retz del Castello di Bossi, azienda di proprietà della famiglia Gondi praticamente da sempre.

Eccoci al secondo punto positivo della serata, il Vin Santo: chi mi legge sa quanto ami questo vino e quanto mi rattristi non vederlo considerato e utilizzato come dovrebbe. Per dimostrare che si può uscire dall’impasse di relegarlo a fine pasto e solo in occasioni speciali i Gondi hanno studiato con Vito Mollica (ecco il terzo punto positivo) una cena completamente accompagnata dai loro Vin Santo: sette annate, dallo storico 1988 al giovanissimo 2006 (del resto adesso hanno in commercio il 2008) che hanno scandito una serata veramente particolare.

Scusate se torno un attimo indietro al titolo della serata, che vuol giocare sul nome di una corrente  poetica che potrebbe benissimo essere stata ispirata in questo o in altri palazzi qua attorno e magari “aiutata” da qualche calice di vino forse simile a quelli che stavo sorseggiando.

E mentre sorseggiavo, seduto in una sala con la cupola del Brunelleschi davanti a me, sono arrivati i piatti che Vito Mollica ha preparato.

A questo punto torno a fare il serio. La cena era, se vogliamo, una provocazione e come tale va presa perché indubbiamente un vin santo, anche molto buono il Cardinal de Retz declinato in sette annate, può accompagnare un antipasto, un formaggio e naturalmente un dessert ma oltre diventa un po’ una forzatura, anche perché sono convinto che l’abbinamento migliore per un Vin Santo sia con piatti che non puntano decisamente al dolce, ma al salato, allo speziato, al fusion.

Rimango del parere che un buon hamburger, di carne ottima e corredato da salse non dozzinali, possa essere un abbinamento perfetto per un calice di vin santo, perché al suo interno ha anche note speziate e  sapide.

Le sette annate degustate con grande piacere 2002, 1997, 1999, 1988, 2006, 2000 e 2001 avevano non solo un filo conduttore ma un vero e proprio marchio di fabbrica che poteva permettere ai vini di avere aromi o sulla frutta matura, o su quella secca e candita, oppure su spezie e sentori floreali, ma alla fine la piena freschezza, la dolce alcolicità e il maggiore o minore residuo zuccherino, figli solo dell’annata e della permanenza nei caratelli per molti anni, evidenziavano la stessa mano,  ferma e sicura.

Sette annate di assoluto valore e per quanto mi riguarda ho apprezzato maggiormente la finissima 1988 e la quasi ridondante 2006: due letture diverse del vin santo, anche dal punto di vista storico, ma assolutamente coinvolgenti.

Per questo devo dire grazie alla famiglia Gondi e a Gabriele Gorelli MW, che ha guidato magistralmente la serata, per aver mostrato in un luogo storico un reale futuro per questo vino. Solo facendo capire con quale facilità si possa apprezzare di più un crostino di fegatini di pollo o di milza, oppure una fettina di Stilton o pecorino stagionato ( o ripeto, un buon hamburger) se accanto c’è un calice di buon vin santo, che i luoghi comuni si sgretolano e tanti attenti consumatori possono pensare spendere “ben” 30 euro per una bottiglia (375 cl) di un liquido ambrato dotato del garbo di una fanciulla cantata dagli stilnovisti e della forza di un capitano di ventura.

Del resto, come diceva il Guinizelli “al cor gentil rempaira sempre amore e vin santo.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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