100 anni di Consorzio Chianti Classico all’insegna della futura sostenibilità4 min read

Per parlare delle celebrazioni fiorentine per i 100 anni del Consorzio del Chianti Classico forse è meglio partire dalla fine, dalla sontuosa cena di gala incorniciata nel Teatro della Pergola, costruito circa 50 anni prima che Cosimo III de Medici promulgasse nel 1716  quell’editto che definiva il territorio dell’allora Chianti e successivamente Chianti Classico.

In precedenza, la mattina, c’era stata una conferenza stampa (piuttosto strana in quanto non c’è stato possibilità per la stampa di fare domande) all’Accademia dei Georgofili, fondata nel 1753, mentre nel pomeriggio un convegno nel magnifico Salone dei Cinquecento, costruito tra il 1495 e il 1496.

Quando 33 produttori chiantigiani, il 14 maggio del 1924, dettero vita al Consorzio, i luoghi che ne hanno visto celebrare adesso i cento anni esistevano già da molto tempo e assieme a loro il vino che oggi porta l’emblema del Gallo Nero.

Quindi un vino più che storico, un vino che incarna praticamente da sempre l’essenza stessa delle terre in cui viene prodotto e che 100 anni di Consorzio sono riusciti a regolamentare e a promuovere in tutto il mondo.

In questi 100 anni le cose sono cambiate e non poco, e il vino Chianti Classico e il suo Consorzio hanno cercato di restare sempre sulla cresta dell’onda.

L’ultima onda, arrivata da qualche anno, si chiama sostenibilità e il Consorzio ha deciso di “surfarci sopra” preparando un protocollo di ben 57 regole per definire “sostenibili” le produzioni chiantigiane.

57 regole che basterà rispettare al 50% per poter essere certificati, 57 regole che ancora non conosciamo per intero ma che speriamo vengano rese pubbliche totalmente nei prossimi giorni.

La sostenibilità era anche al centro del il convegno pomeridiano nel Salone dei 500, a cui hanno partecipato i rappresentati di denominazioni famosissime, come Barolo, Douro e vino di Porto, Willamette Valley in Oregon, Borgogna e Champagne, seguito da una tavola rotonda a cui sono intervenuti personaggi del calibro di Piero Antinori, Monica Larner, Alessandro Masnaghetti, David Gleave MW.

Mano a mano che si andava avanti mi sentivo sempre più spaesato, perché la sostenibilità è un concetto talmente generico che può essere usato in qualsiasi contesto, a sostegno di qualsiasi progetto. Mentre si susseguivano gli interventi il concetto di sostenibilità andava dal fare una specie di ZTL per regolare l’ingresso dei tir in una zona all’utilizzare terreni vergini per l’agricoltura, passando per concetti di marketing, numeri di bottiglie (neanche leggere) vendute, proclami per far andare avanti tutti assieme (verso dove?) i produttori di un territorio. Alla fine degli interventi dei responsabili degli altri territori, che presentavano per innovative cose da noi acclarate e messe in atto da almeno 20 anni, mi sono detto che forse non siamo messi così male e che sotto sotto, una certa sostenibilità di base, in Chianti Classico, è già presente.

A proposito, pare che tra le 57 regole della sostenibilità chiantigiana non ve ne sia una che preveda bottiglie leggere (diciamo sotto i 550 grammi) ma solo la volontà di far usare, per il 50% della produzione, vetro riciclato. Forse con 57 regole si poteva fare anche una sforzo maggiore, specie per un concetto, quello delle bottiglie leggere, che è quanto di più immediato e lampante in fatto di sostenibilità.

Tirando le fila di quanto detto in questa giornata di festeggiamenti bisogna indubbiamente apprezzare lo sforzo che sta facendo il Consorzio per provare a rendere più vivibile un territorio dove il biologico in vigna  è veramente di casa, dove il bosco è un polmone basilare e insostituibile e dove la bellezza paesaggistica,  invidiataci da tutto il mondo, è forse il bene massimo da tutelare.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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