Una Franciacorta diversa4 min read

“E’ uno sporco mestiere ma qualcuno deve pur farlo”. Questa frase ce la ripetiamo tutte le volte che siamo ad assaggiare in giro per l’Italia ed il nostro programma è invariabilmente dettato dai seguenti ritmi: assaggio mattutino di x vini, pranzo (magari non proprio frugale..) visite in aziende, cena (vedi il pranzo).

Delle degustazioni vi facciamo sapere con le nostre classifiche e commenti ma non vi parliamo quasi mai delle visite in azienda. Il perché è un misto di motivi che ci prenderebbero troppo spazio per spiegarli ma questa volta, dopo i nostri quattro giorni in Franciacorta, sentiamo  il bisogno di fare uno strappo alla regola.

Questo perché le aziende visitate ci hanno presentato un panorama franciacortino abbastanza diverso da quello  creato dall’immaginario collettivo.

Infatti nessuno di noi poteva immaginare di degustare da Villa a Monticelli Brusati, dopo essere arrivati ad un 2001, addirittura un 1983 sboccato nel 1989 che ci ha lasciato veramente di stucco per ampiezza aromatica, profondità e complessità. Un vino che stava a testimoniare le possibilità di invecchiamento delle bollicine franciacortine.

Anche da Riccardo Ricci Curbastro le annate 2003 e 2004 di Museum Release erano di una freschezza disarmante mentre erano quasi imbevibili (per fortuna) le basi in barrique che Silvano Brescianini di Barone Pizzini ci ha proposto spigolando in cantina. Si trattava infatti di vini ancora “verdi”, con tutto il malico di questo mondo e quindi giustamente scontrosi.  In quest’azienda abbiamo anche avuto una vera e propria lezione di pressatura dei mosti per fare un vino spumante, con tanto di grafici, disegni, spiegazioni. Due ore di assoluta goduria tecnica!

Veniamo al discorso pupitres  e al luogo comune che oramai in Franciacorta nessuno le usa. A parte che personalmente non vedo problemi nei giropallet , vi garantisco che vedere lavorare alle pupitres al ritmo di 7000-8000 bottiglie/ora è un vero spettacolo.

Abbiamo selezionato alcuni stili: quello “vigoroso” con doppio scuotimento della bottiglia e rumorosità scandita come se fosse un metronomo, quello morbido, dove la mano sembra quasi scivolare sulla bottiglia e quello conservativo. L’ultimo è utilizzato da Ricci Curbastro, che continua a fare una parte di vini sulle pupitres perché non vuole che i cantinieri perdano la manualità. Il secondo è invece quello utilizzato dai giovani in cantina da Villa mentre il primo appartiene a Stefano Cola, vero e proprio “One Man Jazz Band” dell’omonima cantina.

Questo nostro girare tra cantine ci ha portato anche a ritrovare quello che probabilmente sarà il futuro della Franciacorta e cioè i territori collinari tra Monticelli Brusati, e Ome, zone (specialmente Ome) che sembrano a centinaia di chilometri di distanza dalla Torbiera del Sebino e dai molti (troppi) vigneti di pianura piantati dopo aver tolto il granturco. Per noi sarà in questa zona, pagando il giusto dazio in manodopera alla viticoltura collinare, che la  Franciacorta potrà salvarsi dalle estati sempre più calde.Ssoprattutto potrà essere qui il futuro aumento vitato del territorio, quando il mercato, che non tira più come una volta, lo permetterà.

Chiudiamo questo giro franciacortino con una storiella vera . Il vecchio rettore della scuola enologica di Conegliano incontra due amici che si sono messi d’accordo per prenderlo un po’ in giro. Uno di questi gli chiede “Senti,ma sapresti dirci se, per esempio quella pianta lì è maschio o femmina” Il professore nicchia un attimo e poi “Se mi fate vedere un seme, forse..” Al che i due amici vanno sotto la pianta ma non trovano un seme che sia uno. Così gridano al rettore che, essendo piuttosto pesante, non amava camminare e quindi era rimasto seduto al bar. “Semi neanche uno, ma non potresti dircelo lo stesso, magari guardando le foglie?” A quel punto il rettore “mangia la foglia” ed esclama “Dalle foglie no ma magari, guardando i due coglioni che ha sotto, si direbbe un albero maschio!”

Ce l’ha raccontata Mattia Vezzola a Bellavista, durante una lunga visita dove sono stati toccati molti temi serissimi, da quelli agromici a quelli enologici, arrivando però fino a quelli più leggeri e divertenti. E’ stato un incontro veramente particolare, ritmato da una lunga serie di assaggi: una di quelle visite che ti lasciano qualcosa dentro e non mi riferisco solo agli ottimi vini.

A proposito di lasciare qualcosa, vi lasciamo in sospeso con i risultati delle degustazioni ed i commenti: pazientate una ventina di giorni e saprete tutto.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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