Il primo vino assaggiato è stato quello nell’ampollina di don Pietro Rigon. Forse rifletteva il carattere e la personalità del parroco: un asceta che faceva le prediche senza mai aprire gli occhi.
Faceva altre cose mirabolanti don Pietro, ma quella che più mi lasciò sbalordito fu quando dondolando il turibolo per bruciare l’incenso mi cadde per terra il carboncino acceso. Io impietrito e lui senza fare una piega raccoglie a mani nude il rovente disco e lo rimette al suo posto! Stoico lui o un miracolo? Conoscendo il tipo penso alla seconda ipotesi.
Il vino dell’ampollina che io riempivo da una bottiglietta che lui portava in sacrestia era di un giallino scarico poco invitante e con un sapore molto asprigno, insomma un po’ come don Pietro.
Ho assaggiato il vino per la Messa diverse altre volte nella mia carriera di chierichetto, e sola una volta l’ho trovato buono. Ma quello era il vino di don Perini, uomo con cinque o sei lauree che fumava le Alfa.
In casa mia il vino schietto lo beveva solo mia mamma Clary che era di famiglia contadina, mio babbo lo preferiva mischiato con la gazzosa o con la spuma, mio nonno annacquato. Quello che si beveva in casa mia era un vino fatto da mio zio Erpidio in Vallerotana, che essendo mezzadro badava più alla quantità che alla qualità.
Il primo vino che sentii veramente buono fu nella fattorie di Gargonza dove ero andato con il camionista Astelio a comprare diverse damigiane per la Fattoria degli Acquisti. Com’era d’uso una volta caricato il vino la fattoressa ci chiamò in cucina per fare colazione con affettati, uova affrittellate, pane e vino.
Mi dissero che era Chianti, ma che nelle cucine di quelle fattorie si beveva molto bene lo sapevo e come.
Fu la prima volta che provai delle sensazioni nuove per i profumi e per il sapore. Il profumo mi venne da paragonarlo ad una primavera del Rinascimento Toscano, mentre mi parve di sentire il mammolo. Molto più tardi scoprii che probabilmente in quello c’era veramente dell mammolo. In bocca rispondeva una gioia di sapore buono, fresco e profumato che si legava in maniera divina con quello che stavo mangiando.
Ed è stato così per buona parte della mia vita dell’epoca: vino buono nelle osterie per fare colazione. Poi cominciai a sperimentare per conto mio nei ristoranti che esploravo quasi sempre da solo. Giravo soprattutto nel mondo dei rossi, ma non trovai mai qualcosa che mi piacesse più del Chianti. I bianchi per il momento erano da me poco conosciuti ed apprezzati.
Mi capitò una volta a Roma una bottiglie con una curiosa reticella con un bianco che mi conquistò subito. La bottiglia mi pare fosse di Fontana Candida, probabilmente un Frascati. Fresco profumato e piacevolissimo.
Quando potei frequentare ristoranti anziché osterie la scelta cominciò ad essere più consapevole. Con la carta dei vini ed i consigli del ristoratore cominciai ad esplorare mondi mai conosciuti.
Passi più consapevoli arrivarono poi con l’entrata nel mondo di Slow Food. Per combinazione di lavoro e di amicizia frequentai per un discreto periodo il Gambero Rosso di Fulvio Pierangelini dove fui indirizzato in vini di un certo livello. Poi grazie alla preziosa amicizia di Fulvio, in cambio di piccioni straordinari che gli fornivo mi ricambiava con fantastiche bottiglie della sua splendida cantina addirittura a prezzo di costo!
E allora il mondo si allargò, a dismisura. Finalmente potei assaggiare vini di cui avevo letto, ma non avevo mai assaggiato. Scoprii così il Brunello, lo Sforzato e i piemontesi che non avevo affatto capito ed apprezzato.
Nello stesso tempo scoprii il mondo dei vini bianchi che così tanto dovevano poi farmi compagnia.
Inizialmente lo Chardonnay, e poi il Sauvignon Blanc, il Verdicchio, il Vermentino e poi il mio attuale preferito il Pinot Bianco.

A partire dagli anni ’90 i rossi italiani andarono verso gradazioni sempre più alte e concentrazioni sempre più spinte. Un vino di qualità si trova dai 13,5° in su, e io che ne bevo a pranzo e cena circa mezzo litro con mia moglie Laura, non è che mi posso alzare tutti i giorni da tavola mezzo brillo! E qui fu gioco forza indirizzarmi verso i vini bianchi. Questi mi danno anche un altro vantaggio: i vari vitigni sono molto più riconoscibili dei rossi. Capisco che per i miei amici degustatori di Winesurf non sarà così, ma lo è per me!
Essendo più riconoscibili diventano anche più facili e divertenti gli abbinamenti. Hanno poi mediamente gradazioni più umane.
Attualmente mi piace cambiare e se possibile abbinare il vino al mangiare. Non è detto che con un vino funzioni bene un vitigno io debba per forza bere solo quello, se mi capita, e se posso, provo altri abbinamenti.
Certe volte funzionano così e così, certe volte ti danno sorprese piacevolissime.
È un po’ come ballare con una donna: se trovi quella giusta è bello, ma è ancora bello provare a ballare con un’altra! No?
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