Vino di natura e vino di scienza9 min read

Riceviamo dal caro amico e vignaiolo sardo Francesco Sedilesu un profondo contributo ad un dibattito che da molti anni divide il mondo del vino. Lo pubblichiamo con grande piacere.

 

Tempo fa avevo fatto per  un altro giornale online un’intervista sul vino naturale, movimento di cui per ora faccio parte come produttore. Ero indeciso se scrivere ancora a rischio di essere sguaiato ma, ho provocato un sussulto e mi tocca, per altro non fosse utile, almeno consigliare la lettura di un libro che aiuta: “Il vino capovolto” di Jacky Rigaux e Sandro Sangiorgi edizioni Porthos, su cui non spreco aggettivi, solo l’indispensabilità di leggerlo per chi ha  amore al vino.

Epocale il servizio del Tg1 del 28/01: “La natura nel piatto” che si può rivedere su internet. In quell’occasione ho buttato giù dalla torre, per personale valutazione (per quello che vale) chi fa vino naturale con difetti, volatile o brett, finalizzati al mercato, giocando sull’ignoranza del consumatore.

Meglio difettato o piatto e omologato?

Alcuni dicono di preferire comunque un vino difettato ad un vino convenzionale piatto e omologato, altri il contrario; io non bevo, se possibile, nessuno dei due.  La discussione seguita e altri articoli interessanti hanno posto adesso sulla torre il vino della scienza, precisamente  condotto, con l’uso di tutto quello che la scienza enologica dispone e in particolare i lieviti e batteri selezionati per le due fermentazioni del vino alcolica e malolattica, le quali sono il punto focale di questo confronto (anche se si tratta di una parte minima dei coadiuvanti regolarmente autorizzati sul vino), opposto al vino invece ottenuto da fermentazione spontanea, senza l’uso metodico di coadiuvanti.

Questa contrapposizione non è nuova e, ormai, ha preso a noia tanti ma, io credo nasconda appena due differenti visioni del mondo e dell’uomo che si stanno sempre più delineando e, visto il tema, chiedo scusa in anticipo per qualche parolone e sviolinata.

Dal punto di vista tecnico e scientifico bisognerebbe egualmente prendere atto del fatto che si parla di due condizioni diverse a partire dall’esperienza dei produttori che marca una notevole differenza tra vini di territorio vocato e vini prodotti da uve ottenute con forzature agronomiche (utilitaristiche e poco scientifiche) che creano uno squilibrio da aggiustare forzatamente in cantina con le tecno-biologie e la chimica. I primi non hanno bisogno della fermentazione diciamo selezionata dall’uomo, ne avrebbero solo danno perdendo in complessità (si hanno tante autorevoli testimonianze), sui secondi si usano i lieviti per sicurezza perché non si hanno uve equilibrate e sane.

I “cattivi” apiculati

Personalmente per sfruttare al massimo i benefici della fermentazione spontanea, faccio partire la fermentazione in ogni singolo tino senza fare pied de cuve  perché voglio partano prima i lieviti che si trovano sulle uve, “i cattivi” apiculati e poi a seguire i buoni fermentatori selezionatisi in cantina (anch’essa compresa nel terroir) che, oltre a portare a termine la fermentazione ri-metabolizzano  i prodotti  fatti dai primi. Esaltando la mineralità, la spontanea conferisce anche un equilibrio generale al vino e in particolare  la perfetta integrazione dell’alcol, anche se elevato. Non  è vero sia pericolosa per il vino anzi,  lo dico a frutto della mia modesta esperienza comunque significativa, di 500 vinificazioni spontanee fatte in questi anni. Piuttosto è un coro a più voci, pieno di vita, comunitario. Ricchezza e complessità che si ritrovano tutte nel vino che risulta stupefacente e misterico, sempre meravigliosamente territoriale, sempre riconoscibile pur con le varianti di ogni singola annata e cantina. Il vino non è naturale si dice, senza l’uomo non esisterebbe, questo a giustificare ogni intervento volto a portare a termine un suo progetto. Con un parallelismo azzardato si può dire che neanche un figlio per noi umani è naturale, viene concepito in genere perché voluto e poi bisogna accompagnarlo nella crescita, viverci assieme con amore e rispetto perché la sua vita non ci appartiene ma non sempre è così.

Hippy e Yuppie

Negli anni sessanta gli hippy, i figli dei fiori, scappando dall’autorità dei padri li concepivano naturalmente in una roulotte nel bosco in riva al lago e poi naturalmente nella loro fuga, li abbandonavano. La generazione successiva, negli anni ottanta, disprezzando i nuovi padri sono diventati yuppie, professionisti rampanti di città, che per reazione hanno voluto al caos sostituire l’ordine, pianificando l’educazione dei figli  secondo manuali pedagogici che  non vanno bene neanche per i cani. Si può dire che sulla spinta delle necessità contingenti e della paura, sia la scienza che la “voglia di natura” diventano facilmente di parte e i danni non si contano.  Attualmente, nel mondo dei movimenti dopo tante delusioni è difficile onestamente avere un credo, semplicemente all’occorrenza ci si nasconde o ci si traveste e ci sono tanti yuppie travestiti da hippy anche nel mondo del vino naturale.

Per quelli naturali di buona volontà, che pure esistono, che puntano tutto sul movimento, non avere buon senso storico può portare a percorrere nuovamente “.. le strade che non portano mai a niente..” e i rivoluzionari sogni giovanili no-global e la sete di giustizia, se non fanno i conti umilmente, per vederci chiaro,  con la propria limitatezza e responsabilità personale, si rischia di essere ancora una volta “….oh generazione sfortunata, e tu obbedisti disobbedendo!”.

Mio padre

In campagna mio padre come altri fortunati contadini, ha attraversato questo tempo, si è alzato all’alba ogni mattina e ha goduto del silenzio interrotto dai primi cinguettii, l’aria fina con il profumo della stagione che ti viene da prendere a pieni polmoni, ha potato, zappato, tante attenzioni per  ogni singola pianta, faticato e sofferto per ogni evento atmosferico avverso, contento della buona annata ha fatto il vino sfuso con cura e reso felici i suoi clienti. Io ho studiato materie agricole e l’ho contrastato, a volte sbagliando, altre aggiungendo qualcosa alla tradizione di cui lui era portatore e sempre più mi rendo conto di quanta sapienza in essa è compresa ma, è soprattutto l’atto del partecipare, di farmi coinvolgere, di rientrare nel dinamismo della natura che devo recuperare. Vorrei lasciare questo in eredità ai miei figli. La scienza che ritengo utile e buona mi è stata trasmessa male e a volte mi ha reso algido, mi ha inculcato volontà di dominio verso la natura al punto da non poterne godere la gratuità del dono. Si può essere freddi calcolatori anche facendo agricoltura biologica o biodinamica, dipende dall’intento. I disciplinari possono aiutare ma, alla fine è il buon vino che parla insieme al buon uomo che lo fa…, perché un vino genuino ti perdona tanto.

La moderna scienza

La moderna  scienza enologica, come in altri campi, è stata dirottata sulla  necessità dell’industria di lavorare grosse quantità  di prodotto, per poter rispondere alle richieste del mercato che richiede “massa critica”, costanza in quantità e qualità (si legge ripetibilità su grandi numeri),  anche su un vino in brik o su bottiglie di costo pari a qualche euro, che rappresentano però la maggior parte del fatturato del settore. Il vino in brik per quanto risponda a visioni neo-pauperiste citate in altri articoli e può aiutare a far inghiottire il boccone a un povero di città, come l’olio extravergine al supermercato è poco più che un lubrificante e i formaggi piatti nel sapore e alla vista come conglomerati, stanno alla stessa triste tavola ma, non si parla di olio o formaggio, ne tantomeno di vino.

Il vino espressione della vita

Molto prima che arrivassero gli Illuministi  Platone scriveva: “dagli Dei non è mai stato concesso all’uomo niente di più eccellente o prezioso del vino” e Siracide aggingeva “Che vita è quella di chi non ha vino? Questo fu creato per la gioia degli uomini.”. Molto tempo dopo Pablo Neruda: “Amo sulla tavola quando si conversa la luce di una bottiglia di intelligente vino”. In ogni tempo il vino è considerato come espressione della vita, il segno della festa e della condivisione, privarsene sacrificandolo a leggi  funzionali al mercato può essere uno degli indicatori del degrado di una società. Purtroppo la tecnica enologica metodica e spinta, viene  usata  anche nella produzione di vini di territorio che non ne avrebbero bisogno. Henry Jayer, citato nel Vino capovolto dice  “Vivete nel vostro tempo, educatevi all’enologia, per imparare a farne a meno!” La “tecnica bruta” spesso ruba l’anima al vino, sacrificata a  garanzia del produttore che vive di paure più che avere amore al suo lavoro. Qualche buon produttore si offenderà in quanto non ne ha coscienza o meglio, diciamo, è ingenuamente realista rispetto al mercato ma, estraneo, a parte lo storytelling, al mondo della terra e del vino. Svegliarsi dal sonno è comunque un guadagno.

La soluzione

La soluzione o meglio l’innovazione  per salvare aziende e vino io credo passi per il territorio e per la  comunità che l’abita e vive amorevolmente il vino e ne è garante anche attraverso delle leggi condivise.  Essa, a sua volta, fa vivere  il territorio  al visitatore partendo dal vino del bravo contadino che è sempre la pietra angolare sia per il consumatore, che deve imparare a riconoscerlo e amarlo rendendolo più consapevole e meno esposto a mode di mercato, sia per il produttore impegnato con il savoir faire rispettoso  a rivelarne interamente il carattere. Oggi si preferisce  far conoscere il vino con le misure, un po’ come dire metaforicamente – quest’uomo è alto 1,70, pesa 80 chili, occhi marroni ecc.. – Chi può dire di conoscere quest’uomo dalle misure anche fossero comprese di sequenza genetica? La vita non è mai misurabile, la puoi solo vivere ma, anche la suggestione gli è nemica.

Coltivare la speranza

Ora questa trattazione può apparire semplicistica e ridicola rispetto all’esposizione scientifica, al cosiddetto freddo algoritmo che tiene conto di tutte  le variabili e da il risultato assicurato ma, non sempre.  Ora che siamo nell’antropocene  e il dominio dell’uomo sulla natura lungi da darci sicurezza rischia di distruggere il creato, un bicchiere di buon vino per l’ultimo brindisi io credo sia il caso di conservarlo. Coltivando la speranza, la stessa filosofia che precorre i tempi, preannuncia il ritorno dell’uomo a essere parte della natura o almeno a metà strada con il dominarla e manipolarla dall’esterno vedendola come matrigna. Per dare un giudizio potrebbe essere utile  “il caro vecchio sano empirismo…”, che presenta se ingenuo dei rischi, come abbiamo visto, spesso giustificazione di quel “formalismo astratto che ha finito di espellere dalla realtà sia il conoscente sia il conosciuto e ha ridotto tutto alla pura forma della conoscenza”. La conoscenza in campo alimentare né si beve, né si mangia, spesso invece il mangiare e il bere bene accrescono la nostra conoscenza. Quando cerchiamo le cose buone per la nostra tavola, non è indicativo il protocollo scientifico o i titoli accademici del produttore anzi”…siamo dei giocatori nati, capaci di fare il bluff anche a noi stessi…” ma, non esageriamo!  L’esperienza della visita di un territorio vocato e l’assaggio dei vini di produttori  che  fanno o no bandiera di essere naturali ma, lo sono veramente, è da vivere. Decidete voi dopo l’assaggio, ognuno di voi adesso, chi buttare dalla torre, se serve e pacatamente.

 

Articoli che hanno preceduto questo con tematiche simili:

http://www.vinodabere.it/vini-naturali-unomologazione-al-contrario-ne-parliamo-con-francesco-sedilesu/

http://www.winetaste.it/lignoranza-e-peggio-dei-lieviti-e-dei-solfiti/

https://www.lucianopignataro.it/a/luigi-moio-lieviti-indigeni-lieviti-selezionati-vino/129269/

www.slowfood.it/sloine/elogio-del-vigneto-spettinato-non-dei-vini-trasandati-trascurati/

http://www.doctorwine.it/Firmato-DoctorWine/Firmato-DW/La-natura-non-fa-vino

 

 

Tutte le foto nell’articolo sono di Sara Muggittu, che ringraziamo.

Francesco Sedilesu

Francesco Sedilesu è sardo, di Mamoiada. Produttore di vino ma anche penna profonda e grande conoscitore della sua isola.


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