35 sfumature di paradiso6 min read

Da buon toscano ho un rapporto molto personale con il Vin Santo, fatto non tanto di odio/amore, ma di gioia/tristezza: gioia quando lo bevo e tristezza quando mi accorgo che un prodotto di tale particolare bontà non trovi sbocchi sul mercato, se non quello di ridursi a liquido dove inzuppare un biscotto alla mandorla.

Non riesco a capire bene perché si parli da ogni parte di vini del Jura o di vini naturali dove la volatile è un requisito base e quando si mette sotto il naso un vin santo molti arretrano quasi inorriditi.

Eppure quella “spinta” che fa volare aromi che vanno dalla frutta secca al miele, ai fiori a tutte le note della terra toscana, passando spesso per le pasticcerie dove il cacao buono è di casa, quella spinta è l’anima di un vin santo, è il suo saluto al mondo, il suo ruvido ma solare modo di esprimersi.

Per chi non l’ha ancora capito amo il vin santo  e così quando ho visto che tra le centinaia di vini presenti alla Chianti Classico Collection facevano bella mostra di sé ben 35 Vin Santo del Chianti Classico non ho resistito e ho dedicato un pomeriggio all’assaggio di questa straordinaria tipologia che sembra oramai sradicata da ogni logica aziendale che preveda il termine “guadagno”.

Del resto qual è per voi la caratteristica principale di un  vin santo, nella fattispecie di un Vin Santo del Chianti Classico? Per me è il tempo! tempo che permette sia alle uve di appassire nel giusto modo, sia ai vini di crescere e svilupparsi nei caratelli, sia a quel miracolo che esce dopo anni dai caratelli di affinarsi in bottiglia.

Non per niente ben 23 vini su 35 campioni  avevano almeno 10 anni (e di questi 9 ne dichiaravano più di 15) e con questa caratteristica “temporale” diviene logica e reale l’impossibilità congenita per una qualsiasi forma di commercializzazione con profitto.

Ma lasciamo da parte il profitto e veniamo alle uve: la tradizione recita trebbiano e malvasia e in effetti questi due vitigni la fanno da padrone essendo le uniche due uve presenti in 24 dei 35 vini e entrando, singolarmente o a coppia, in qualcun altro. A proposito: solo cinque  vini sono composti da tre uve (con la terza sempre rossa) e solo cinque sono da monovitigno. Di questi  tre composti al 100% da sangiovese e quindi potevano chiamarsi Occhio di Pernice (per farlo deve esserci almeno 80% di sangiovese) .

Questo quadro abbastanza chiaro, con due-tre uve a guidare le danze diventa un meraviglioso labirinto gustativo e olfattivo quando si passa all’assaggio. L’ordine di servizio non era facile da fare anche perché il vin santo è un prodotto che rifugge dalle regole di un vino normale e fa un po’ quello che gli pare: ogni cantina ha la sua ricetta e il suo risultato finale (che spesso è diverso di anno in anno),che può essere secco o dolce, ambrato o paglierino dorato, potente o suadente, asciuttissimo e delicato o dolcissimo e roboante. Per questo sperare di gustrare i 35 in una scala adeguata era praticamente impossibile.

Inoltre una regola non solo non esiste ma non deve esistere, perché poi l’invecchiamento porta con sé mille componenti in più, a partire dai legni utilizzati, dalla “madre” presente o assente, dal modo e dal luogo in cui vengono appassite le uve e tenuti i caratelli. Una profumatissima diversità che è stata il filo conduttore della degustazione e che mi ha messo di fronte ad un panorama unico, un vero tesoro che andrebbe rivalutato e proposto al mondo come la vera quintessenza di questo territorio.

Alla fine dell’assaggio i vini buonissimi erano molti e scegliere è stato veramente arduo, però sono riuscito a restringere la rosa di quelli “da non perdere” a 10 grandi Vin Santo del Chianti Classico e tra questi quattro mi hanno portato nel Nirvana del degustatore, facendomi venire in mente una battuta di un caro amico fatta di fronte a un grande vin santo: “I giovani si drogano perché non hanno mai provato questo!”

Eccovi la mia personalissima selezione, dove convivono Vin Santo del Chianti Classico completamente diversi l’uno dall’altro ma tutti dal buonissimo in sù.

I quattro dell’Ave Maria (nel senso che bisogna ringraziare la Madonna perché esistono)

 

Vin Santo del Chianti Classico 2004, Castello di Cacchiano (malvasia bianca 85%, canaiolo 15%)

Ambrato cupo ma brillante. Naso molto profondo con  miele, frutta secca, mandorle e prugna ma è in bocca che ti fa quasi piangere da quanto è buono, complesso, concentrato ma equilibrato, dotato di una dolcezza ricamata dall’acidità. Infinito! Vale in viaggio in ginocchio a Cacchiano e ritorno.

Vin Santo del Chianti Classico Luigi Basilio Chiostri 1995, Fattoria di Vegi  (trebbiano 90%,  malvasia bianca 10%)

Ambrato. Il naso è prorompente e mostra un’alcolicità viva in cui si fondono profumi di noci, nocciole, erbe secche e cacao. In bocca è secchissimo, profondo, elegante, quasi sferzante e di una nettezza assoluta, lascia il palato (e il degustatore) inebetito da tanta austera piacevolezza. Chi ama il Vin Santo secco non può perderselo e chi ama quello dolce… lo assaggi lo stesso!

Vin Santo del Chianti Classico 2008,Santo Stefano (malvasia bianca 100%)

Nonostante i 13 anni ha un colore molto diverso dagli altri, un bel dorato brllante. Naso con  fiori di campo, fiori secchi, cacao. La volatile è importante  e avvicina il vino ad alcune Manzanilla di alto pregio. Corposo, ritornano le note di cacao accanto ad una grande  rotondità. Un Vin Santo particolarissimo.

Vin Santo del Chianti Classico 2007, Vignamaggio (trebbiano 50%, malvasia 50%)

Ambrato.  Nota volatile in spettacolare evidenza che sublima aromi di  mandorle, frutta secca, caramello e  china. Potente ma asciutto, palpitante nella sua godibilissima austerità. Lunghiiiiiiiiissiiiiimoooooo.

Adesso troverete gli altri sei grandi Vin Santo del Chianti Classico. Premetto che essendo in una tipologia particolare dove il giudizio è fortemente personale, molti potrebbero preferire questi ai quattro precedenti. La cosa non mi sorprenderebbe: l’importante  è gustarsi e far gustare un buon Vin Santo del Chianti Classico (e non solo).

Vin Santo del Chianti Classico 2011, Badia a Coltibuono (trebbiano 50%, malvasia bianca 50%

Ambrato. Naso infinito con  frutta secca, fico, miele, prugna secca, cioccolato ma  anche fungo, terra bagnata, tabacco secco. In bocca ha freschezza abbinata a concreta dolcezza, molto lungo e  persistente. Un Vin Santo che io definirei “all’antica” e questo per me è un complimento.

Vin Santo del Chianti Classico 2010, Castello della Paneretta (trebbiano 70%, malvasia 30%)

Ambrato brillante. Intense note di frutta secca, cacao, mandorle, nocciole. Corposo e pieno ma nello stesso tempo  fresco e delicato, con acidità viva che bilancia perfettamente la dolcezza.

Vin Santo del Chianti Classico 2011, Cinciano (malvasia 50%, trebbiano 50%)

Ambrato. Ampi e goduriosi aromi  di miele, mandorle, cioccolato, cacao amaro, funghi e note terrose. Una grande delicatezza e profondità aromatica . In bocca è molto lungo, persistente, equilibrato, con l’alcol che aggiunge una nota do potente freschezza al tutto.

Vin Santo del Chianti Classico La Chimera 2007, Castello di Monsanto (trebbiano 50%, malvasia 50%)

Uno dei miei preferiti da sempre! Ambrato brillante , frutta secca, fiori passiti e note di miele sono i primi aromi che arrivano di un naso cangiante e infinito. Acidità viva che rende ancora più austeri ma appaganti i toni asciutti e profondi al palato. Persistenza infinita.

Vin Santo del Chianti Classico 2012 La Vigna di San Martino ad Argiano (malvasia 50%, trebbiano 50%)

Nonostante qui ci siano quasi 300 gr. di zucchero litro tutto si declina in potenza e rotondità, con una lineare freschezza che è comunque presente. Frutta secca di ogni tipo al naso.

Occhio di Pernice  del Chianti Classico 2011, Viticcio (sangiovese 100%)

Ambrato. Naso intenso con note di  caramello, miele, mandorle e noci. Buona potenza con “secca” e asciutta eleganza che ti accompagna per lunghi,  gustosi, infiniti secondi.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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