Fabrizio e Laura Bianchi, Castello di Monsanto: un pezzo di storia del Chianti Classico11 min read

Intervista a due voci, quella di Fabrizio Bianchi e di sua figlia Laura, proprietari del Castello di Monsanto. Fabrizio è uno dei “Grandi Vecchi” del Chianti Classico e da diversi anni è sempre più  affiancato in azienda dalla figlia Laura. Con loro parliamo del passato e del presente di questo meraviglioso territorio, puntando soprattutto sulla storia di questa cantina, nata ben sessanta anni fa.”

Winesurf: “Buongiorno Fabrizio e Laura. Fabrizio se hai qualche amuleto usalo: ti intervisto perchè oramai sei uno dei Grandi Vecchi della zona del Chianti Classico e non ne sono rimasti molti.”

Fabrizio Bianchi “Tocco ferro!”

Winesurf “Fai bene e comunque visto che sei uno dei produttori che oramai può vantare quasi 60 vendemmie in Chianti Classico è fondamentale ascoltare la tua storia.”

F.B. “Essendo nato nel 1938 qualche storia ho da raccontarla e comunque ho ancora tantissimi amici della mia età.”

W. ” Se sei del 1938 hai vissuto in prima persona la Seconda Guerra Mondiale: gli anni della guerra dove li hai passati?

F.B. “Sono nato a Gallarate ma sin da quando avevo un anno, compresi gli anni della guerra, “ho fatto” la vendemmia nella zona di Tortona, a Garbagna, dove era nato mio nonno e dove avevamo vigneti. Nei filari c’era quella che allora chiamavano “timorassa” e tante alte uve: barbera, dolcetto, nebbiolo e altre ancora”.

W. “Quando sei arrivato la prima volta a Monsanto?”

F.B. “A Monsanto sono arrivato nel 1961 ed è una storia abbastanza particolare. Anche se vivevamo nel nord Italia mio padre e la sua famiglia erano originari di San Gimignano e così nel 1960  vennero invitati a Poggibonsi per un matrimonio. In quest’occasione gli fecero vedere un piccolo podere lungo la strada per andare da Poggibonsi a Monsanto. Lo volevano vendere perché, come stava accadendo in quegli anni di spopolamento delle campagne, erano andati via i contadini per andare a lavorare in fabbrica. Così i miei lo comprarono e mi dissero “Questo lo mandi avanti tu!” In realtà quel piccolo podere lo rivendemmo quasi immediatamente ma fu l’occasione per tornare in zona e così sapemmo che era in vendita  anche la Fattoria Villa Palloni, che noi poi chiamammo Monsanto. Era di proprietà delle due sorelle Palloni ma mio padre non ne voleva sapere di comprarla. Poi, un giorno, ci portarono sul terrazzo della villa, da dove si vede mezzo mondo, un bel pezzo di Chianti Classico, tutta la Valdelsa e San Gimignano e così mio padre si convinse.”

W. “Di quanti poderi era composta Monsanto?”

F.B. “C’erano quattro poderi ma dopo poco tempo divennero quattordici perché comprammo sia la parte della seconda sorella Palloni sia altro terreno davanti al Castello della Paneretta (che si trova a meno di un chilometro n.d.r.).”

W. “C’erano sempre i mezzadri in questi poderi?”

F.B. “In alcuni si e in altri no”.

W. “E quanti ettari di vigna c’erano?”

F.B. “Pochissimi, perché era tutto terreno promiscuo (dove si coltivava la vite assieme ad altre colture e in diversi casi si facevano pascolare gli animali. n.d.r.). La prima vendemmia nel 1962, da uve provenienti solo da vigneti promiscui, fu fatta con strumenti arcaici: L’uva veniva portata alla villa in tine in legno di castagno da circa cinque quintali, sopra un carro trainato dal bue e come follatore si usava un bastone da cui spuntavano chiodi rugginosi.. Noi ci domandavamo come il tutto sarebbe riuscito a fermentare. Naturalmente ci riuscì e quando lo assaggiamo ci rendemmo conto di avere di fronte un prodotto già molto, molto buono anche se fatto con quei sistemi.”

W. “C’era anche uva bianca naturlamente.”

F.B. “Certo, trebbiano e malvasia. Pensa che nella vigna del Poggio, fino a 15-20 anni fa, c’era un trebbiano spettacolare: quand’era maturo sembrava uva rossa.”

W. “Una curiosità: voi siete arrivati nel 1961, ma quando vi hanno attaccato il telefono?”

F.B. “Negli anni settanta, mi pare. Ce l’avevamo solo noi e la piccola bottega del borgo: questa addirittura mi pare dal 1966. Spesso la gente che abitava in zona, quando la bottega era chiusa, veniva a telefonare da noi.”

Laura Bianchi “Telefono a parte mi ricordo che quando arrivai in azienda negli anni ’80 gli ordini dagli Stati Uniti arrivavano via telex in banca a Poggibonsi e dovevamo andare in banca sia per prenderli che per rispondere.”

W. “Torniamo ancora indietro Ma quando avete iniziato a piantare vigne e ha cambiare le botti?”

F.B. “Iniziammo utilizzando le botti che c’erano già e fino al 1967 facevamo il vino lavorando alla vecchia maniera, cioè schiacciando l’uva con i raspi. Negli anni  settanta, con i Piani FEOGA si piantò a filari, ma il disciplinare obbligava ad usare anche una percentuale di uve bianche che però producevano molto più delle rosse.”

W. “In che anni hai visto che cominciavano a cambiare veramente le cose?”

F.B. “Diciamo che qualcosa cominciò a cambiare verso la metà degli anni ’70, con il definitivo abbandono dei poderi lavorati a mezzadria.”

W. “Laura ma quando sei arrivata in azienda?”

L.B. “Vivevo a Gallarate e ho fatto l’università a Milano. La prima vendemmia in cui ho dato una mano è stata quella del 1989, ma sono entrata in pianta stabile nel 1991.”

W. “Figurati che cambiamento, che tragedia! Dalla vita di Milano a quella in campagna nel Chianti Classico di allora.”

L.B. “No, a me piaceva da morire stare a Monsanto! Avevo già capito che la vita da avvocato non era il mio sogno. Il mio cuore era già a Monsanto.”

Laura Bianchi

W. “In varie cantine negli anni sessanta c’erano pavimenti in terra battuta e lampade ad acetilene per l’illuminazione. A Monsanto quando arrivaste voi cosa c’era?”

F.B. “C’era già il cemento in terra. Probabilmente quando avevano fatto due vasche in cemento avevano anche fatto il pavimento.”

L.B. “La prima cantina che avevamo, quella di cui sta parlando mio padre è quella sotto la casa, dove adesso c’è l’archivio storico.”

W. “In cantina cosa c’era quando arrivasti a Monsanto?”

F.B. “Delle botti di castagno da 25 ettolitri e, appunto, due vasche di cemento da 50 ettolitri.”

W. “Laura mi parlava del telex degli anni 80, ma gli anni precedenti al telex com’erano? Arrivavano turisti, c’era movimento?”

F.B. “Non molto veramente. Il movimento è iniziato nel 1985-1986, dopo lo scandalo del metanolo.”

W. “Adesso vi dico alcune annate e voi due mi dite cosa vi viene in mente: 1985.”

F.B “Fu l’anno in cui tutti cominciarono a capire di dover produrre bene.”

L.B. ” .Mi ricordo benissimo quest’annata, perché noi vendevamo il Poggio 4-5 anni dopo, quindi ero già in azienda e c’era una richiesta incredibile . Si parlava finalmente di Toscana, di una grandissima annata. I giornalisti  da tutto il mondo cominciarono a considerarci.”

F.B. “Venne più apprezzata all’estero che in Italia.”

W. “Avete parlato di giornalisti: quando l’avete visto il primo giornalista a Monsanto?”

L.B. “Mio padre ha sempre avuto rapporti con Veronelli fin dall’inizio.”

W. “In effetti negli anni sessanta era l’unico giornalista italiano che si occupasse di vino.”

F.B. “Ti racconto una cosa di Veronelli che forse non sai. Si era formato, complice Veronelli, una gruppo di assaggiatori che si ritrovava nell’Enoteca Solci a Milano. Erano 10-15 persone che si incontravano circa una volta la mese per assaggiare vini e dare dei giudizi, che Veronelli prendeva molto in considerazione. C’ero io,  Piccinardi, Giacomo Bologna, Giorgio Grai.. Un gruppo di persone molto interessanti.”

L.B. ” Comunque, per tornare alla domanda da noi i primi giornalisti ad arrivare attorno agli anni ’80 furono americani, perché avevamo iniziato ad esportare negli Stati Uniti nei primi anni ‘70.”

W. “Quindi, Veronelli a parte, prima sono arrivati gli stranieri degli italiani.”

L.B. “Sai Abbiamo un po’ sofferto in quegli anni perché allora il nostro sangiovese non era quello che richiedeva il mercato e la critica italiana… la storia la conosci meglio tu di me.”

W. “Una curiosità: si parlava di 1985 ma adesso è meglio il vostro 1985 o il 1986?”

L.B. “Per me 1986! Il 1985 è un vino di grande estrazione mentre il 1986 è molto più elegante e fine.”

F. B. “Anche per me il 1986 , che però fu un’annata difficile. Ne  vendetti anche 50 quintali ad una cantina famosa.”

W. “Torniamo ai giornalisti: mi dicevate che arrivarono per primi gli americani, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80. Ma già si parlava di supertuscan?”

L.B.” Secondo me si è iniziato a parlarne veramente verso la fine degli anni ‘80.”

F.B. “Comunque, a proposito di americani,  nel 1990 Parker mi scrisse scusandosi perché nel 1977 aveva assaggiato il 1974 e allora non gli era piaciuto, mentre riassaggiandolo nel 1990 l’aveva trovato molto buono.”

W. “Hai parlato di 1990, a parte le scuse di Parker cosa è successo in quell’anno?”

F.B. “E’ stata un’annata di quelle super. A parte il sangiovese abbiamo fatto uno chardonnay eccezionale.”

L.B. ” Erano anni in cui si cominciava tanto a parlare di Toscana, grazie anche ai Supertuscan che l’avevano fatta conoscere. Quindi la Toscana, nel mondo enoico internazionale, venne conosciuta non tanto grazie al sangiovese ma ai vitigni più famosi a livello internazionale.”

W. “Però le vigne erano sempre quelle dei piani Feoga degli anni ’70.”

L.B. “Si. Da noi e credo in gran parte del Chianti Classico i vigneti erano sempre quelli piantati  dall’inizio degli anni ‘70, anche se il cabernet sauvignon  è stato piantato più tardi.”

W. “Veniamo al 1997: cosa vi ricorda?”

L.B. “Mi viene in mente che venne definita l’annata del secolo per la Toscana, sia dalla stampa estera che da quella italiana. Per esperienza diretta posso dirti che è stata facilissima da vendere. Se l’avessi potuta prendere da un rubinetto ne avrei venduta non so quanta (ride). Dopo si è dimostrata una buona annata ma ce ne sono molte altre sicuramente più interessanti.”

W. “Anche perché si veniva da una serie di annate molto difficili e ci voleva una “grande” annata per rialzarsi. Poi l’annata del secolo, dal punto di vista mediatico,  si è ripetuta nel 2000.”

F.B. ” La 2000 non lega nemmeno le scarpe alla 2001 e comunque gli anni ’90, escluso il 1990 e il 1999 non è che si siano avute grandi annate.”

L.B. (scherzando) “Su questo non sono d’accordo con lui, ma oramai per mio padre è un dato di fatto. La 1997 e la 2000 sono state annate che potrei definire generose, calde fin dall’inizio, dove il sangiovese aveva meno acidità ed era più godibile nell’immediato.”

W. “A proposito di sangiovese: negli anni ’60-70 quando lo finivate di vendemmiare?”

F.B. “In quegli anni sempre molto oltre la metà di ottobre.”

W. ” E adesso?”

L.B. ” Adesso sempre molto prima, ma quest’anno con la 2019 siamo andati molto in là, finendo nella terza settimana di ottiobre.”

F.B. ” Per Monsanto c’è anche da fare un discorso di microclima diverso: mi ricordo che nel 1972-1973 litigai con il consorzio del Chianti Classico perché mi fecero aspettare troppo per iniziare a vendemmiare. Allora infatti la vendemmia non si poteva iniziare prima di una certa data e così, purtroppo, feci “un buon Chateau d’Yquem rouge” il primo anno, mentre nel secondo persi tantissima uva.”

W. “Scusami perché questa non la sapevo: nel 1972-1973 ci voleva il via libera del consorzio per vendemmiare?”

F.B.” Si, mi pare fosse scritto anche sul disciplinare.”

W. “Una domanda per Laura.  Secondo te, con il problema Covid-19 cambierà il modo di proporre e commercializzare il vino? In che modo?”

L.B. “Questo è un cambiamento epocale: vedo un incredibile aumento di seminari online. Pensa che ieri ho incontrato, via web, 150 venditori tra il Massachusetts e il Rhode Island. Neanche se ci vado fisicamente 40 volte riesco a metterli tutti assieme. Puoi dire che non è la stessa cosa che fare una degustazione seduti a un tavolo, ma uno strumento che ti permette questo non andrà certamente perso in futuro. E’ ovvio che manca un po’ l’anima perché il vino va condiviso, però poter fare ogni settimana seminari dalla Danimarca al Giappone, agli Stati Uniti è una notevole opportunità.”

W. “Ultima domanda per tutti e due: qual è stata l’annata più grande di Monsanto in assoluto?”

L.B. (scherzando) “Vediamo se su questa cosa andiamo d’accordo.”

F.B. “Io la farei decennio per decennio.”

W. “No solo una, quella che amate di più.”

F.B. (Silenzio per qualche secondo) “Una delle annate più grandi che abbiamo fatto è il 1976, ma Laura non me ne fa mai bere una bottiglia (e si mette a ridere).”

L.B. (ridendo) “E ti pareva non fosse colpa mia! Per me comunque l’annata che ancora mi emoziona di più è il 1988, ma ce ne sono tante…”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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