Oltrepò Pavese: buoni segnali, specie da Bonarda e metodo classico5 min read

Sono un po’ terrone, lo ammetto. Per me toscano cresciuto a pane e Paolo Conte Broni e Stradella erano paesi perennemente intrisi di nebbia, dove si poteva arrivare solo seguendo il suono di qualche fisarmonica. Per questo la mia prima volta “enoica” in Oltrepò Pavese è stata una vera, positiva, scoperta. Un territorio collinare verde e vario dove la vite si sposa benissimo con i seminativi e il bosco. Un campagna che ha mantenuto una sua rusticità, per niente “ammorbidita” da un turismo che per la verità stenta a scoprire le sue bellezze.  Tra queste ci sono le molte migliaia di ettari di vigneto che spesso non portano ad una remunerazione adeguata. Fare grandi vini passa soprattutto dalla vigna e purtroppo da queste vigne nascono prodotti che(pur essendo di altissimo livello, vedi Bonarda)  non riescono a spuntare prezzi adeguati all’impegno profuso.
Non per niente piano piano il baricentro si è spostato su un vitigno indubbiamente più nobile come il Pinot Nero, che di nobiliare però ha anche la classica ritrosia dei blasonati nello scendere a compromessi con il volgo. In altre parole è un vitigno molto difficile da coltivare.
Ma prima di addentrarci nei commenti enoici devo ringraziare sia il Consorzio dei Vini Oltrepò Pavese sia il direttore/carissimo amico Matteo Marenghi per averci ospitato ed organizzato la degustazione delle tre tipologie di vini più importanti del territorio: Bonarda, Pinot nero e Spumanti metodo classico.
Così in due delle più calde giornate di questa calda estate ci siamo ritrovati (con me erano Gianpaolo Giacomelli e Simona Migliore) a degustare un centinaio di vini di queste tre tipologie.
Partiamo dai blasonati e quindi prendiamo in considerazione il Pinot Nero, prima vinificato in rosso e poi spumantizzato
Pinot Nero
Ci dispiace molto dirlo ma ci aspettavamo di più. Non sappiamo se il risultato non certo confortante sia dovuto a tecniche viticole ancora da affinare, ad annate non eccezionali o a cantine e metodi di cantina che ancora devono trovare la quadra, ma i Pinot Nero che abbiamo assaggiato poche volte ci hanno dato sensazioni positive. I nasi erano spesso poco espressivi e la bocca mostrava  una tannicità eccessiva e in qualche caso anche scomposta. Le note positive sono che alcuni ottimi esempi li abbiamo trovati e questo vuol dire che lavorando bene si può arrivare a livelli veramente alti. Però questi esempi andrebbero maggiormente condivisi e forse sarebbe il caso che il Consorzio organizzasse serate tra produttori dove discutere senza remore davanti ai propri prodotti. Nel frattempo la media stelle ottenuta dai pinot nero è la più bassa del gruppo con 2.29 stelle.
Pinot Nero metodo Classico e Cruasé
Sul discorso Pinot Nero “in bollicina” cioè metodo classico le cose migliorano e non poco. Eravamo molto curiosi di assaggiare i Cruasè, cioè spumanti rosé di Pinot nero: curiosi anche se la fiducia negli spumanti rosè italiani (e non solo) non è mai stata, dati alla mano, molta.
Considerando che siamo quasi agli esordi per la tipologia le cose non sono andate male. Nasi abbastanza ben espressi e  strutture di buon livello sono due importanti punti a favore: bocche ancora piuttosto scomposte con bollicine non finissime e colori poco uniformi sono invece le voci a sfavore ma complessivamente, considerando anche i prezzi interessanti a cui vengono quasi sempre proposti ci sentiamo di consigliarne l’assaggio.
Ancora meglio le cose sono andati con i metodo Classico vinificati in bianco: sarà la molta più esperienza nella vinificazione in bianco ma qua i risultati sono stati veramente molto interessanti. In diversi casi si riesce a sposare finezza con struttura, le bollicine sono di notevole finezza e la complessità al naso e al palato non è certo un sogno o un qualcosa a cui solo pochissimi possono arrivare. Qui soprattutto si vede quanto il Pinot nero sia importante per fare degli ottimi spumanti. Lo dimostra la media stelle “avulsa” dei soli metodo classico in bianco che arriva a 2.73, (per i Cruasé ci siamo fermati a 2.36) sicuramente molto alta e al livello delle altre importanti zone spumantistiche italiane. Insomma se i Cruasé erano consigliabili i metodo classico di Pinot Nero sono “fortemente consigliati” anche per il prezzo sicuramente competitivo.
Bonarda
Forse è troppo facile dire che il vero vino dell’Oltrepò è LA Bonarda (mi scuso con gli esegeti locali. So che dovrei usare l’articolo al maschile ma l’estrema piacevolezza del vino mi porta a connotarlo in campo femminile) ma a conti fatti se c’è un prodotto che in oltre il 60% dei casi ci ha dato grandi sensazioni è proprio questo vino, dove la Croatina è in purezza o sposata ad altri vitigni particolari come Vespolina e Uva Rara. Ma questo 60% riguarda solamente la versione frizzante, assolutamente l’unica su cui, secondo noi, dover puntare in futuro. Purtroppo un vino così profumato, piacevole equilibrato e perfetto a tavola non riesce a spuntare cifre adeguate e questo è il vero problema di questa terra. Il voler fare un buon prodotto si scontra con la realtà che vede bottiglie di Bonarda vendute a poco più di un euro al supermercato. Non molti riescono ad imporre un prezzo giusto per questo vino e nonostante il consorzio cerchi di muoversi la situazione non è prossima a un deciso miglioramento. Ma le Bonarda buone sono un vero piacere per chi ama il vino! Lo ripeto perché ne sono convinto, come sono convinto che i vini a cui noi abbiamo dato 4 o 3.5 stelle meritano di essere premiati da tutte le guide e considerati a tutti gli effetti come grandi vini. La media stelle di 2.52 sta a testimoniare inoltre di una qualità media molto alta, la stessa qualità che andrebbe meglio remunerata. Chiudo dicendo che una bottiglia di Bonarda dell’Oltrepò Pavese non solo e “fortemente consigliabile” ma è assolutamente obbligatorio provarla.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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