Volcanic Wines: la strada è giusta ma…2 min read

Il cambio del logo ed il nuovo nome (Volcanic Wines)  di questa interessantissima manifestazione, dedicata ai vitigni del vulcano, non è un semplice restyling. L’adesione di nuovi soggetti che vanno ad aggiungersi a quelli storici, primo fra tutti il Consorzio di tutela del Soave da cui è partita cinque anni fa  l’idea, è una conferma di quanto interesse stia suscitando questa iniziativa, nel frattempo  diventata itinerante.

 

Questa edizione 2014 si è svolta come l’anno scorso tra Montefiascone, Pitigliano ed Orvieto, presentando “più di  200 vini da 100 aziende delle DOC vulcaniche italiane”.

 

Apprezzabile lo sforzo organizzativo ed anche l’inusuale fare squadra tra Consorzi, produttori ed istituzioni di regioni diverse, dimostrando di aver ben compreso come  la lettura di questi vini legata alla particolarità dei terreni può essere non solo una chiave interpretativa ma anche una concreta possibilità di affrontare i mercati, soprattutto internazionali. Ma il tutto è ovviamente legato alla particolarità dei vini, alla loro riconducibilità ad un comune denominatore rappresentato dal suolo di origine vulcanica. Si coglie questo nei vini?

 

In verità, in verità vi dico che trovare un denominatore comune, un filo che leghi questi vini é quasi impossibile per la diversità dei vitigni,  differenze pedo climatiche e  per sistema di allevamento.

 

La parola che ricorre spesso  nelle degustazione di questi vini, abolita quella super abusata di mineralità,  è sapidità o salinità. Potrebbe essere un descrittore comune se non lo fosse anche per moltissimi vini bianchi provenienti da suoli diversi da quelli vulcanici. Insomma sulla analisi organolettica occorre ancora lavorare come mostra l’interessante ricerca condotta dal prof Conticelli dell’Università di Firenze tesa ad individuare l’impronta digitale del terreno del vino (e da noi presentata più di due anno fa. n.d.r.).

 

 “L’identificazione di una certa provenienza è necessaria per tutelare il valore del territorio. Gli studi presentati, frutto di un lavoro sperimentale condotto su particolari territori italiani, hanno evidenziato un legame tra il prodotto finale e i territori di allevamento dell’uva attraverso l’analisi isotopica degli elementi pesanti”.

 

Come tutto questo possa poi  tradursi in una riconoscibilità sensoriale resta un problema ancora aperto ed al momento irrisolto.

 

Ma al di là di questo resta la validità della manifestazione, un’ulteriore opportunità offerta a territori particolari, che proprio “giocando” sulla loro diversità potrebbero avere una nuova chance sui mercati. Solo operazione di marketing quindi? Anche se fosse, che male ci sarebbe?

 

Finalmente un’operazione intelligente e creativa e ci meraviglia moltissimo che altri territori come ad esempio il Vulture non mostrino sufficiente interesse per una manifestazione che rappresenterebbe un occasione per uscire dall’isolamento in cui molti sembrano  essersi cacciati.

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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