Viticoltura in Val di Non: “non” uno scherzo!6 min read

Se si parla di Val di Non l’accostamento con la coltivazione delle mele che ha decretato la fortuna dei coltivatori locali è facile, ma se ci si riferisce alla Terza Sponda, sopra il Lago di Santa Giustina, in quello che è il nuovo comune di Novella (Revò, Romallo, Cagnò, Cloz, Brez), la storia racconta anche qualcosa di diverso.

Qui la viticoltura era diffusa già dai primi anni del Novecento, infatti la Cantina Sociale di Revò nel 1983 era tra le prime in Trentino e produceva oltre 50.000 ettolitri di vino. Lo si deve ai Reti che coltivavano un vitigno a bacca rossa, il “groppello”(geneticamente differente dal groppello del Lago di Garda), così chiamato poiché la forma del grappolo aggrovigliata ricorda un nodo, “grop” in dialetto trentino.

Ne derivava un vino piuttosto rustico dal colore rosso rubino intenso, il bouquet ricordava frutti di bosco e profumi vegetali di rovo ed erbe selvatiche. Al palato pare avesse un sapore deciso, leggermente tannico e pepato con un finale austero, che conservava nel tempo la sua storica impronta: ed ebbe grande lustro alla corte di Vienna ai tempi dell’ Impero austro-ungarico. Questo periodo florido e fortunato per la viticoltura ebbe termine tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento per una serie di concause: la fillossera distrusse gran parte dei raccolti, la Grande Guerra cambiò gli assetti commerciali, l’emigrazione ed infine la concorrenza dei vini di altre regioni (soprattutto veneti) ne decretarono progressivamente il cambio di coltivazione con le mele.

Per inciso altro vitigno autoctono, questa volta a bacca bianca, è il “maor” (groppello bianco), presente fin dal Cinquecento e recentemente recuperato dalla Cantina “El Zeremia” grazie ad alcune vigne vecchie dalle quali sono state replicate barbatelle utilizzate nei nuovi impianti. Il vino si presenta di colore giallo verdolino, con note floreali bianche, fruttate di pera e mela golden, fresco, sapido, dotato di spiccata acidità, si presta anche ad essere spumantizzato. Tra l’altro El Zeremia è responsabile anche del recupero e rilancio del groppello.

Vigneti in Val di Non

La tenacia di alcuni piccoli produttori ha permesso di preservare la viticoltura, e di evitare la scomparsa dei suoi vitigni autoctoni. A causa del cambiamento climatico nasce l’esigenza di alzarsi di quota e di effettuare una diversificazione della produzione per preservare la biodiversità e per fronteggiare i rischi (economici) derivanti dalla monocoltura. Da qualche anno il Consorzio Melinda ha promosso progetti come quelli per i piccoli frutti e alcuni agricoltori hanno rafforzato l’orticoltura.

Per questi motivi la coltivazione della vite sta progressivamente tornando a diffondersi in Val di Non, recuperando proprio la sua zona d’origine, terra che risulta avere idonee caratteristiche per creare vini di qualità, grazie ai terreni di origine glaciale con struttura franco-limosa in superficie e franco-sabbiosa in profondità, ricchi di magnesio e bario, e dalle favorevoli condizioni climatiche. Oltre ai vitigni autoctoni sono presenti altre varietà: kerner, sauvignon blanc, traminer, müller thugau, pinot nero, ma trovano spazio anche varietà resistenti (Piwi) come solaris, pinot regina e johanniter che richiedono minori trattamenti in vigna.

Per fare il punto sulla viticoltura della Val di Non il 28 e 29 luglio a Casa Campia (Revò) è stata organizzata la seconda edizione della Rassegna dal titolo “Viticoltura eroica della Val di Non”, un evento voluto dal Comune di Novella, ideato e curato da Trentino Alto Adige Wine.

Se nella prima edizione l’attenzione era rivolta al dare visibilità alle Cantine che vinificano in Valle, nella seconda edizione si inizia a delineare un concreto futuro sullo sviluppo di un progetto che di fatto è già partito grazie ad una decina di Cantine. Attualmente la viticoltura in Val di Non vede interessare una superficie di 10 ettari, spesso in zone dove diventava quasi impossibile impiantare meleti per via delle difficili esposizioni.

La presenza del Professor Attilio Scienza ha aiutato a fare un ragionamento su come gestire una viticoltura che di fatto sta muovendo i suoi primi passi, in un territorio che ancora non organizzato. Il suo seminario dal titolo “Viticoltura Val di Non: voltarsi indietro per guardare al futuro”, è stato seguito con interesse anche da membri della politica trentina, forse perché in questo periodo siamo in campagna elettorale per la nuova nomina del Presidente della Regione.

Di fatto il suo invito è stato quello di evitare il fai da te, che si sta attualmente verificando, e di creare da subito un progetto comune, possibilmente coinvolgendo la Fondazione Edmund Mach, per individuare le migliori tipologie di vitigni da poter impiantare. A suo parere oltre che mantenere la coltivazione dei vitigni autoctoni recuperati è bene concentrarsi  prevalentemente sui vitigni a bacca bianca e base spumante, e magari ritagliarsi un’identità con i vitigni resistenti, visto il particolare contesto topografico, puntando a prodotti di altissima qualità. A questo riguardo Nicola Biasi ha portato la sua esperienza su sostenibilità e vigneti resistenti con il suo riuscito “Vin de la Neu” da uve johanniter. Inoltre grazie a Sandro Sangiorgi, giornalista, scrittore e divulgatore, e a Giovanna Morganti, enologa e produttrice, sono state fatte delle riflessioni sulle difficoltà di gestione dell’agricoltura dei vini naturali.

Rimane la questione delle autorizzazioni a nuovi impianti, un nodo da sciogliere con ragionamenti che devono essere fatti nelle sedi opportune a livello provinciale. Se il progetto, poi, trovasse attuazione, e la produzione venisse effettuata non solo da agricoltori che possiedono una cantina a carattere familiare, ci sarebbe la necessità di valutare la costruzione di una Cantina Sociale. In questo caso il Consorzio Melinda si sarebbe reso disponibile a fare da capofila o coordinatore, nonché occuparsi della commercializzazione della nuova cantina sociale.

Tante ipotesi che devono trovare uno sviluppo rapido prima che l’arte dell’improvvisazione, alimentata dal brand Val di Non (che già si vende da solo), possa sprecare la possibilità di un buon rilancio economico per la Valle, che trascinerebbe ulteriormente il comparto del turismo, nonché delle mele – di fatto il principale volano dell’economia nonesa.

Letizia Simeoni

Beata la consapevole ignoranza enologica. Finchè c’è ti dà la possibilità di approcciarsi alla conoscenza! Prosit.


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