L’ultima volta che ho visto Nicoletta Bocca, nel mezzo ad una marea di bottiglie di dolcetto d’annata che mi aveva aiutato a raccogliere, mi ha lasciato un cartone con diverse annate vecchie di San Fereolo dicendo “Vedi tu cosa farne.”
Era il suo modo pacato ma fermo di lanciarmi una sfida, sapendo perfettamente che sono sempre stato un sostenitore del dolcetto giovane, ogni tanto giustamente attratto da qualche eccezione, per esempio il suo 2001 assaggiato 5-6 anni fa.
Così mi sono portato in ufficio queste bottiglie rimuginando sul da farsi. Infatti mi conosco e so che prima o poi le avrei degustate, ma la mia paura era proprio legata a questo. E se non fossero andate bene? E se ne fosse uscita una condanna irreversibile verso questo modo pensato ma difficile di fare vino?
Del resto però Nicoletta aveva messo la pecorella nella gabbia della tigre, con tutti i rischi che potevano seguirne.
Devo dire che non mi vedo molto nei panni di una tigre e forse proprio per questo, una mattina di dicembre assieme a Maddalena Mazzeschi, ho stappato le bottiglie ( in verità in verità vi dico, le avevo aperte la sera prima) e le abbiamo assaggiate.
Guardavo le sette pecorelle sul tavolo (2001, 2003, 2004, 2005, 2006, 2007, 2008) e mi chiedevo cosa avrebbe potuto insegnarmi quest’assaggio di un vino che ha (il dolcetto in generale) grossi problemi di commercializzazione già da giovane, figuriamoci dopo 2-3 anni dalla vendemmia…e qui il più giovane era di “soli” 7 anni.
Ma forse era bene lasciare da parte ogni possibile risvolto commerciale, ogni possibile implicazione con la vendita e valutare solo e soltanto i vini , anzi i dolcetto, anzi i Dogliani, ponendosi alla fine il grande quesito del loro fare parte o meno della categoria “vini rossi da invecchiamento”.
San Fereolo 2001 Dolcetto di Dogliani Superiore 2001.
Iniziamo dal “conosciuto” 2001. Un punto fermo di tutti gli assaggi è il colore del vino: questo come gli altri sono più o meno color porpora, con unghie ben poco aranciate. Sicuramente un segno di giovinezza ed una dimostrazione che il Dogliani si mantiene “cromaticamente parlando” sempre molto giovane.
Passiamo quindi al naso e anche qui troviamo quella che da una parte possiamo definire come coerenza stilistica, dall’altra una naturale ritrosia ad aprirsi. Col tempo però, nel bicchiere, questo 2001 sviluppa altri registri, addirittura una nota di frutta fresca che colpisce piacevolmente. Ma è in bocca che questo Dolcetto stupisce: ancora fresco e profondo, con tannino giusto, piacevole. Una giovinezza (quasi) inaspettata, una bella lunghezza e profondità condita con un rimarchevole equilibrio.
La pecorella ha guardato negli occhi la tigre e questa è arretrata.
San Fereolo Dolcetto di Dogliani Superiore 2003
La solita tonalità di colore molto intensa che si declina in un vino figlio non degenere dell’annata. Infatti il 2003 è stata forse la vendemmia più calda del nuovo secolo e questo vino porta con se questo marchio sia al naso, dove la maturità si tramuta in lieve ossidazione, sia nella bocca calda e pastosa ma sicuramente meno elegante e spigliata del 2011. Se vogliamo dirla tutta oltre ad essere figlio dell’annata è anche figlio del momento enologico, visto che il legno si sente ancora e, al naso, nemmeno poco.
Un vino che mostra la sua età: se l’avessi bevuto 8-10 anni prima l’avrei quasi sicuramente classificato tra i dolcetto da non prendere ad esempio (alcol alto e marcante, legno a iosa, tannini ancora da smussare) ma oggi capisco che bisognava dargli il suo tempo, cioè almeno 3-4 anni in più.
La pecorella è arretrata di fronte alla tigre, ma lei non ha fatto il balzo definitivo y final.
San Fereolo Dolcetto di Dogliani Superiore 2004
Anche questo 2004 segue la falsariga dei precedenti e dei successivi, cioè dà il meglio di sé in bocca. Infatti il naso non ti fa impazzire: mantiene la sua linearità senza esprimersi in maniera evidente anche dopo diverso tempo nel bicchiere. In bocca mostra una bella freschezza che si declina tra tannicità per niente amara e un’acidità elegantemente sottotraccia. Per fortuna “il momento enologico” è passato alla svelta e infatti non si sentono note di legno sia in bocca sia al naso. La chiusura è dolce.
La pecorella si è fatta un breve pisolino e la tigre non ha infierito.
San Fereolo Dogliani Superiore 2005
Avevo parlato troppo presto: ci accoglie un forte sentore di tabacco dolce da pipa e, anche se lo amo, non lo sopporto nel vino. In bocca cerca di recuperare terreno e quasi ci riesce, sempre grazie ad una buona potenza dovuta a tannini dolci e armonici.
Questa volta la pecorella ha chiesto troppo al momento e una zampata se l’è presa.
San Fereolo Dogliani Superiore 2006
Un vino sorprendente sia in bocca che, per la prima volta, anche al naso! Spezie, frutta rossa, fiori si susseguono e non sentono il bisogno di fuggire anche dopo una mezz’oretta nel bicchiere. In bocca siamo rimasti sorpresi dalla complessità che mette in mostra. Se il 2003 era piuttosto gnucco e monocorde, questo è complesso e composito, lungo, vibrante. I tannini sono di notevole stoffa e il vino risulterà non solo il migliore dell’assaggio ma anche l’unico che mi sentirei, adesso, di ordinare a ristorante.
La tigre ha chiesto scusa alla pecorella per la zampata di prima.
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San Fereolo Dogliani Superiore 2007
Annata calda il 2007 e lo si sente dall’alcol piuttosto pungente al naso e alla chiusura in bocca. Per il resto lo troviamo abbastanza riottoso ad aprirsi. Quando lo fa mostra una bella ricchezza olfattiva mentre in bocca girella una sensazione acida non domata che, assieme all’alcol, non depone a suo favore, nonostante la solita dolce tannicità faccia sforzi leonini per riunire il tutto.
La tigre ha guardato la pecorella e ha detto “Solo perché ormai siamo amici…”
San Fereolo Dogliani Superiore 2008
Due bottiglie tutte e due non perfette, comunque entrambe caratterizzate da una discreta ossidazione e da una bocca piuttosto povera. Gli abbiamo dato le attenuanti generiche e abbiamo tolto la pecorella dalla gabbia prima che fosse troppo tardi.
Che dire? La pecorella è rimasta viva e i vini hanno superato l’esame della longevità, un po’ meno quello del perché I dolcetti debbano essere fatti per durare 10-15-20 anni.
Se infatti un Dolcetto o un Dogliani giovane ha una sua caratterizzazione (in particolare aromatica) molto precisa, maturando molti anni non porta nella terziarizzazione note aromatiche inconfondibili, mentre in bocca, pur facendogli tanto di cappello per come riesce ad essere rotondo ed elegante, gli manca la motivazione gustativa forte per cui uno al ristorante possa dire “voglio un Dogliani di almeno 10 anni”.
Detto questo, consideriamo i Dogliani maturi di San Fereolo vini di altissimo livello, con una precisa linearità aziendale e con tutti i carismi per poter durare nel tempo, come ad esempio un buon nebbiolo di livello.
Quindi possono far parte, almeno i suoi, della categoria rosso da invecchiamento, anche se non credo di fare un grande favore alla tipologia Dogliani inserendoli in quel settore.
Infatti per me (riferito non solo ai Dogliani di Nicoletta) sarebbe meglio berseli tra i 2 e i 5 anni dalla vendemmia senza stare tanto a sperare che la tigre non abbia fame…