Valpolicella: alla ricerca del brutto anatroccolo3 min read

Seguire sempre le stesse strade non è per noi. Quest’anno, in occasione dei nostri assaggi in Valpolicella abbiamo deciso di non assaggiare i Valpolicella Superiore (Ripasso e non) e di dedicarci anima e corpo agli Amarone e soprattutto al Valpolicella, quello “base”, quello che 30 anni fa rappresentava il  75% del vino prodotto in zona e ora arriva a malapena al 25-30%.

Abbiamo  voluto approfondire la situazione non solo qualitativa di questo vino, che sembra essere diventato da anni il brutto anatroccolo della Valpolicella. Tutti (o quasi) infatti lo fanno ma pochi ci credono e lo spingono, attirati dalle sirene dei ripassi facili che possono essere venduti al doppio o al triplo senza grossi problemi.

Per farsi una prima idea basta dare un’occhiata alle nostre degustazioni: a fronte di più di sessanta aziende che hanno inviato Amarone solo una quarantina scarsa hanno inserito il Valpolicella. Quando poi siamo andati nelle cantine a chiedere informazioni alcuni ci hanno candidamente confessato che “Non ce lo chiedono, non lo vogliono nemmeno assaggiare”, altri invece continuano a farne poco senza crederci troppo.

Solo qualcuno ci punta ancora in maniera seria anche se il nuovo presidente del consorzio, Christian Marchesini, è in prima fila tra quelli che vogliono rivalutare e riproporre questo vino.

Ma adesso, il Valpolicella, com’è? Come è cambiato rispetto a quel “vinellino” che diversi anni fa non era certo un vanto del territorio tanto che per “aiutarlo”era stato inventato il Ripasso?

Un produttore ci ha fatto il quadro preciso dicendoci “Credo di fare un Valpolicella buono e forse potrei farlo anche molto più buono, ma non voglio. Il Valpolicella deve essere e rimanere un buon vino da pasto, da bersi in tranquillità, piacevole, equilibrato e profumato!”

Questa frase riassume  i grandi pregi di un vino che però da anni vengono visti quasi come difetti. In altre parole il Valpolicella nella migliore delle ipotesi è relegato nel mondo dei buoni “vini quotidiani”, mentre, anche tra produttori di spicco è spesso quel vino  “che non puoi non fare”, a cui però non dedichi sicuramente le uve migliori.

Capisco  sia difficile in tempi di “amaroneripassomania” far capire che la storia ha un senso e un significato da considerare e tramandare, e che un territorio che si chiama, per l’appunto, Valpolicella non può mettere nel dimenticatoio il vino che gli da il nome e da cui tutto nasce. Ci avevano quasi provato nel Chianti Classico negli anni Novanta, quelli dei Supertuscan che ti portavano via di cantina a prezzi di affezione e ancora adesso, passata la sbornia,  stanno cercando di ritrovare un equilibrio tra immagine e vendite.

Ma adesso voi vi chiederete come sono andati nell’assaggio questi Valpolicella. Vale veramente la pena di  distogliere per un attimo l’occhio dagli altri vini di zona per bersene un calice? Premettiamo che questi Valpolicella dovrebbero essere comunque “il top di gamma” della tipologia, anche se alcuni punteggi alti dati a vini prodotti in grandi numeri ci fanno ben sperare  per la qualità media di quello che troviamo normalmente nei supermercati più che in enoteca.

In campo c’erano quasi tutti campioni del 2011, annata non certo adatta per dei “vini base”. Comunque la media stelle è stata di 2.54, certamente non altissima ma non certo bassa, specie se consideriamo che i vini costano attorno ai 7-8 euro in enoteca. Su 43 vini degustati (escludendone 3 per problemi di tappi) trovare due vini a 4 stelle,  cinque a 3.5 e dieci a 3 vuol dire che oltre il 40% dei vini degustati  è di alto livello costando poco. Inoltre il bello di questi vini è che puoi abbinarli a moltissimi piatti senza problemi e ovviamente svolgono in maniera perfetta la funzione di vino da tutto pasto. Insomma, cosa volete di più da un brutto anatroccolo?

Magari volete un Amarone e allora cliccate pure qui .

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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