Una spruzzatina di oliva.4 min read

Potrebbe essere il suggerimento finale per un Martini rivisitato, e invece è prassi ormai comune in tante cucine del mondo: l’olio spray si presenta moderno e salutista, pratico e pure economico. Una nuvoletta di grasso va a depositarsi sull’insalata o sulla melanzana appena grigliata, sparata come un tocco di lacca per capelli. Dà l’impressione di essere molto “leggera” agli occhi di chi non è cresciuto con le damigiane di olio di oliva in casa. Un amico mi ha portato recentemente dall’Australia questa bella bomboletta della Bertolli, tutta in bianco-rosso-verde come l’origine del marchio lascia intendere. Che poi il marchio non sia di proprietà italiana poco importa e pochi lo sanno. Quanto all’origine dell’olio, le informazioni riportate non si danno la pena di riferirla.

Il prodotto si presenta come “Extra light olive oil”, e la parola “ligth”, leggero, è ripetuta con enfasi sulla confezione, riferita al gusto ma forse anche genericamente alle caratteristiche dell’olio. Che comunque grasso rimane, sono sempre le solite 9 kilocalorie a grammo e da qui non si scappa!. Certo è che spruzzando si risparmia in quantità, vista anche la ridotta portata del getto.  “Non contiene sale ne colesterolo” è il messaggio forte su sfondo rosso, ma più in piccolo sul retro si rassicura che non c’è traccia nemmeno di alcol, e così anche l’Esercito della Salvezza può stare tranquillo. Viene rimarcato pure che il prodotto è “enviromentally safe”, innocuo per l’ambiente, non contenendo fluorocarburi come propellenti alla nebulizzazione. L’assaggio si è rivelato inevitabile. Per cominiciare è occorsa un’ insistenza notevole per concentrare in fondo al biccherino la quantità minima che di solito mi verso. Lì per lì, nella foga, ho prodotto addirittura un certo perlage, e chissà che l’olio di oliva petillant non possa esssere una nuova frontiera. Quanto al colore, è praticamente impercettibile, e la trasparenza assoluta.  Il profumo – per usare un parolone – è perfettamente coerente cioè bassissimo. Nessuna traccia di fruttato sotto il naso, niente di niente. Forse un vago sentore di “chiuso” , ma devo dire che è nulla in confronto agli odori di stantio che mi capita di sentire in tanti e ben più pretenziosi prodotti. A questo punto l’effetto in bocca ve lo potete immaginare. Offre una certa morbidezza grassa nemmeno invadente, ed è pure scorrevole: tutto qui. Di retrogusto neanche a parlarne. Sembra, per chi ha fatto l’esperienza, di assaggiare un olio di oliva rettificato prima che venga miscelato con un minimo di vergine come avviene durante la confezione degli “Oli di Oliva”. Insomma non potrà certo entusiasmare, ma in compenso non può dispiacere a nessuno : è la logica del globale. Da parte mia, l’utilizzo finale è stato sugli ingranaggi del cambio della bicicletta, che è tornato in piena forma.

E intanto, mentre la Carapelli di cui all’articolo precedente è adesso in mani spagnole, la Bertolli è saldamente Unilever, altro colosso che non ha proprio nulla di italiano. Il tutto dimostra che il mercato dell’ olio di oliva, extravergine o no, è un settore appetitoso, e non solo in senso organolettico (anzi, in questo senso è ancora troppo spesso deludente….). I consumi stanno aumentando decisamente a livello globale, e gli australiani stessi pensano di diventare a breve esportatori, producendo più di quanto possono consumare: uno scenario già visto per il vino, che porterà a diffondere extravergini dall’Oceania di decente qualità a prezzo contenuto, e verosimilmente anche qualche corrispondente del Grange o dell’ Hill of Grace. La strada, però, appare ancora in salita: i potenziali extravergini dell’Oceania sembrano infatti contenere percentuali di acido linolenico decisamente sospette agli occhi dell’ eurocentrico International Olive Oil Council , che per ora detta legge presso il Codex Alimentarius (Codex per gli amici). Questo è un istituto fondamentale in epoca di globalizzazione, che definisce gli standard alimentarcommerciali, affiliato all’Onu e punto di riferimento del WTO. Se dovessero rispettare il limite dell’1% molti australiani non potrebbero essere esportati come extravergini. Da una parte si sostiene che una percentuale superiore può essere segno di adulterazione,  e che comunque l’acido grasso in questione non è dei più stabili. Dall’altra si argomenta che è il terroir a dettare l’anomalia….

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE