Un ricordo da vecchio: le vendemmie ad ottobre e le mode negli altri mesi4 min read

Mi ricordo, era attorno alla metà degli anni ottanta e  avevo cominciato da poco tempo a girare per cantine: mi aveva colpito il tono finto-scocciato di un produttore di Suvereto che doveva tornare dalle ferie attorno a Ferragosto per vendemmiare una piccola vigna di pinot bianco, che però vendeva in toto al Gambero Rosso a San Vincenzo. Allora vendemmiare ad agosto era una frase a effetto, perché di vendemmia  in Toscana (ma in generale in Italia), fossero state anche uve bianche, se ne parlava verso la fine di settembre.

Voglio andare ancora indietro e ricordare quando da studente liceale saltavo la scuola nei primi dieci giorni di ottobre per vendemmiare: spesso in quei giornate ancora tiepide  si facevano solo le uve scelte per il vinsanto e si raccoglieva l’uva bianca. Questo ricordo si piazza alla metà degli anni settanta, ma tornando repentinamente avanti rammento il dispendio di mezzi per presentare, verso i primi  anni novanta, il progetto Chianti 2000, che prevedeva varie cose ma fondamentalmente lo studio di cloni di sangiovese che maturassero prima.

Penso queste cose mentre mi arrivano i primi comunicati stampa sulla vendemmia: in  Franciacorta, Sicilia e sicuramente in qualche altro posto stanno vendemmiando.

A proposito di Sicilia e sempre sull’onda dei ricordi: era il 1975 e nella stupenda Salina quello che ad agosto ci vendeva il vino (e pure i capperi) in un antro chiamato cantina, non vendemmiava mai prima di settembre.

Insomma da quando mi occupo di vino ad oggi  la vendemmia è stata anticipata mediamente di un mese, naturalmente non solo in Toscana o in Italia ma praticamente in tutto il vecchio e nuovo mondo enologico.

Non so se sia un bene, un male o un modo per fare i conti con madre natura, ma tanto non è di questo che voglio parlare.

Voglio parlare di mode nel vino: di quelle che mi ricordo naturalmente, che ho vissuto e superato. Voglio parlarne prendendo spunto dal pezzo che il vignaiolo Corrado Dottori ha scritto in questi giorni.

Corrado parla in maniera molto chiara della deriva che sta prendendo una parte del  “vino naturale”, con produttori improvvisati, stimolati magari da distributori meno improvvisati, che producono vini improvvisati per consumatori improvvisati.

Leggo quanto scrive e mi accorgo che la sua frase iniziale, che fa dire ad un ipotetico amico/distributore/consigliere sgamato/giornalista di moda/enologo di moda:

“Prendi dell’uva e raccoglila prematura così da avere un pH basso (così puoi anche non aggiungere solforosa).Prendi dell’uva rossa e raccoglila presto, poco importa la maturazione del vinacciolo, tanto farai una macerazione carbonica con il grappolo intero”

Potrebbe essere tranquillamente lo sviluppo nel tempo di:

 “Prendi dell’uva  bianca, l’importante è che sia chardonnay. Prendi dell’uva rossa, l’importante è che sia cabernet sauvignon”.

Oppure

“Prendi dell’uva bianca, l’importante è che non sia chardonnay. Prendi dell’uva rossa, l’importante è che non sia Cabernet Sauvignon.” Con la variante “Prendi uva bianca o rossa, l’importante è che sia autoctona”

oppure

“Prendi dell’uva bianca, l’importante è che fermenti in acciaio e venga un vino bianco carta/versus/Prendi dell’uva bianca l’importante  è fermentala solo in legno o macerarla così da avere un vino giallo aranciato.”

Oppure

“Prendi dell’uva rossa, l’importante è fermentarla e maturarla in barrique perché sappia di legno/ versus/Prendi dell’uva rossa, l’importante è non fermentarla o maturarla in barrique perché non deve sapere di legno.”

Quante mode ci sono state da quando vendemmiavo le uve bianche ad ottobre per fare un vino giallo aranciato e già quasi ossidato, che a marzo era da dare alle vacche se stavano male?  Moltissime, e la mia speranza adesso è che quanto detto dal bravissimo Corrado e appena accennato da me, non si riferisca ad una moda, ma alla fine di una moda, che genera proprio l’ennesimo piccolo mostro prima di inabissarsi definitivamente.

Una cosa ho notato infatti in questi anni: tutte le volte che il dibattito sui temi sopra accennati assumeva toni convulsi e quasi farseschi era perché si stava esaurendo, lasciando spazio ad un più maturo e serio ragionamento.

Se questo è vero, tanto quanto una moda è quella cosa che passa di moda, allora il cosiddetto vino naturale sta finalmente per cambiare pelle e assumere uno status più serio e posato, non più dettato da chi lo ha visto come un modo, pardon una moda, per guadagnare due lire.

Poi ci saranno sempre produttori improvvisati, stimolati magari da personaggi meno improvvisati, che produrranno vini improvvisati per consumatori improvvisati, ma questa non è moda, è una certezza!

 

La foto iniziale è di velvetstyle.it.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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