Un bagno, senza costume, nei vini senza solfiti5 min read

E’ come fare il bagno senza costume! Così hanno spiegato l’effetto su un vino a cui non vengono aggiunti solfiti.

Se n’è parlato al Castello di Poppiano nell’ambito della presentazione del progetto Senza chimica aggiunta a cura dell’università di Pisa e di un gruppo di aziende toscanissime (Fattoria Dei Barbi, Casa Di Monte, Castello di Oliveto, Conte Guicciardini, Fattoria San Michele A Torri, Fattorie Giannozzi) che da alcuni anni stanno sperimentando il protocollo Sca in almeno uno dei loro vini.

Senza solfiti è riduttivo, perché non sono le uniche sostanze non aggiunte nel processo produttivo, ma sono senz’altro quelle che meglio rappresentano lo scopo di questo percorso.

E’ il consumatore che li chiede, a causa di crescenti allergie e di voglia di applicare alla filiera vitivinicola concetti già presenti nell’agroalimentare biologico made in Italy.

Qual è la principale criticità nel produrre vini senza solfiti aggiunti? I tempi di conservazione del vino. Detto questo la Regione Toscana, che finanzia il progetto nell’ambito di un PIF che riunisce le aziende partecipanti, ci crede tanto da volerlo proporre sul mercato come fiore all’occhiello del made in Tuscany.

Il progetto ha visto la luce nel 2015 e non nasce per demonizzare la solforosa, ha spiegato Stefano Cinelli Colombini, bensì per immettere un prodotto diverso che risponda ad esigenze diverse. Il 4 maggio sono stati presentati i primi risultati corali.

Cosa abbiamo trovato nei vini degustati? In primis colori intensi nonostante l’anima del Sangiovese ci dica che non è la sua caratteristica nel calice: rubino e punte di porpora per vini sì giovani ma 100% o quasi dal vitigno toscano per antonomasia. Soprattutto profumi inusuali: posare il naso su questi calici ha mescolato le carte dei descrittori che da sempre abbiamo nel nostro database sensoriale quando si parla di Igt Toscana con sangiovese in purezza o a forte base sangiovese.

Prima di raccontarvi gli aromi che non ci aspettavamo, una nota sulle tecniche produttive.

I processi sono stati tutti svolti in assenza di ossigeno, con l’utilizzo di argon anziché azoto per proteggere il vino. Perché argon? Perchè il suo peso specifico è nettamente superiore all’azoto, rendendolo una ‘coperta’ più pesante e sicura. Una sorta di bodyguard del vino.

La fermentazione: al momento si è sperimentata una macerazione breve (7/8 giorni), ma nulla esclude che cambiando i parametri del protocollo questa possa dilatarsi.

Il legno: per ovvi motivi, i legni utilizzabili all’interno del protocollo devono essere nuovi.

L’ossigeno: i vini lo vedono solo nel calice, e infatti la loro evoluzione in pochi minuti ha una parabola ampia. Piacevole. Nuova.

I tappi: ermetici al massimo.

A fronte di queste accortezze che sono solo alcune tra quelle previste dal protocollo, lo scopo è produrre in assenza di ossigeno e mantenere lo stile delle singole maison. E qui ci aspettiamo siano i terroir a dire la loro. Una delle possibili evoluzioni del progetto è produrre grandi quantità se non tutta la produzione in riduzione, e solo in seguito aggiungere la solforosa per proteggere il vino in base al mercato destinatario e alle eventuali esigenze di spedizione. Inutile dire che stiamo parlando di tutti vini Igt, perciò anche la valorizzazione della denominazione è una discriminante cruciale.

Il progetto Senza chimica aggiunta per continuare e non perdere i dati raccolti fin qui, ha bisogno di fondi, e per capire se l’interesse a trovarli c’è, vi diciamo cosa hanno scovato i nostri sensi.

La solforosa, ha spiegato la prof.ssa Angela Zinnai dell’Università di Pisa, tappa chimicamente i vini, perciò colori e sentori sono diversi perché diversa è la chimica che si ottiene (ripensate al bagno senza costume). Mediamente nei vini che abbiamo degustato emerge più la parte di erbe aromatiche, la balsamicità, e note vinose che richiamano a vini ‘giovani e genuini’, ma sottraggono eleganza.

Dato l’interesse crescente e la sua maggiore codifica nel mondo dei naturali, vedo questa tiplogia come un plus. I vini sono piacevoli, su questo non c’è dubbio, solo diversi. I tannini non sono mai mordenti e l’alcool è meno percepibile. La persistenza è presente in tutti i vini, pennellate di rabarbaro e liquirizia spuntano qua e là e, cosa ancora più originale, uno dei vini è risultato piccante in bocca. Si avete letto bene, un guizzo dinamico che accarezza le papille. Il frutto non è sparito ma non prevale: lo spettro aromatico è ricco e diverso. In blind tasting vi avrei sfidato a individuare il vitigno.

Questo aspetto mi ha fatto venire in mente un altro tipo di vino che non ricalca la nostra memoria olfattiva: quello da vitigni resistenti Piwi (Bronner, Solaris, Joanniter, Souvigner Gris, Helios ect…), e che sei produttori Lombardi (Nove Lune, Achille Dellafiore, Hermau, Alpi dell’Adamello, Pietramatta, Marcel Zanolari) stanno portando in giro per l’Italia con l’enotour La Carica dei super Bio e che noi abbiamo intercettato al Dolce Emporio di Firenze il 10 maggio scorso. Vini che oggi faticano a entrare sugli scaffali per la loro totale estraneità aromatica ai vitigni progenitori e un’acidità che li declina mediamente meglio spumantizzati.

Quindi, se dobbiamo avvicinarci a vini toscani Igt a base Sangiovese dai nasi differenti per un prodotto che vada incontro a una richiesta di mercato di allergici o integralisti (in senso buono), perché non aprire la porte a vini che nascono da vitigni che prevedono zero o poco più trattamenti tradizionali? Il top potrebbe essere vini Piwi senza solfiti-

Nicola Biasi, enologo specializzato in vitigni Piwi, ci dice che non esistono ancora vini Piwi prodotti senza solfiti, e la professoressa Angela Zinnai ci dice che la cosa è possibile.

Nuove enofrontiere in arrivo?

Barbara Amoroso Donatti

Appassionatissima di vino e soprattutto “liquidi con qualche grado in più”. Punto di riferimento del giornale per tutto quanto riguarda il mondo dei superalcolici.


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