Tua Rita, quei ragazzi della Via Gluck di Suvereto5 min read

Correva l’anno 1991 quando venni spedito, per conto dell’allora Arcigola, a Suvereto. Lo scopo era di selezionare almeno una cantina di questa sconosciutissima zona per farla partecipare ad una manifestazione internazionale. Ero con due amici “arcigolosi” e all’arrivo venimmo accolti quasi come i salvatori della patria, sindaco di Suvereto in testa.

 

L’assaggio vide scendere in campo una quarantina di campioni tra bianchi, quasi tutti a base Trebbiano, e rossi che spaziavano tra sangiovese e altri vitigni autoctoni toscani. Merlot, Cabernet Sauvignon, Syrah non esistevano.

 

Durante la degustazione ci rendemmo conto di quanto fosse tragica la situazione: vini con chiari e grossolani difetti enologici si succedevano a prodotti poveri, scarni, che definire semplici era fargli un grosso complimento. Alla fine, quasi disperati, selezionammo una cantina che dopo qualche anno avrebbe chiuso i battenti senza che nessuno ne abbia mai sentito la mancanza. 

 

In compenso Tua Rita e altre cantine oggi famose, allora non esistevano.

 

Quindi la zona di Suvereto nel 1991 era quanto di più arretrato ci potesse essere nel panorama enoico toscano e se qualcuno allora avesse ipotizzato che dopo dieci-venti anni in quella zona sarebbero nati vini di assoluto valore mondiale, sarebbe stato portato di corsa alla neuro.

 

Rita e Virgilio, partiti solo poco tempo dopo con il loro progetto,  forse lo sussurrarono soltanto per non essere portati in manicomio, ma credevano  fortemente in quello che per tutti era solo una pia illusione. Lo capii tornando più volte in quegli anni a Suvereto e osservandoli fondare dal niente, praticamente nel garage di casa, Tua Rita.

 

Le strade spesso si dividono ed io, non amando moltissimo  alcuni vitigni come appunto il merlot o il cabernet, ho seguito solo da lontano l’incredibile escalation di questi due sognatori concreti, di cui uno, Virgilio, è venuto a mancare nel 2010.

 

Ma se le strade si dividono poi tornano almeno a riavvicinarsi è così  mi arriva un invito da Tua Rita per una verticale, nientepopòdimenoche di Redigaffi, uno dei Merlot più famosi del mondo. 

 

Quale migliore occasione per visitare un territorio da cui mancavo da anni? Così venerdì 3 luglio, sotto una calura belluina, prendo la moto  e mi incammino verso La Val di Cornia , passando però dalla Toscana interna. Arrivo così a Suvereto non dal mare e mi accorgo subito di quanto siano cambiate  zona e cantine.

 

Parafrasando  Celentano nel ragazzo della Via Gluck, in Val di Cornia là dove c’era l’erba alta non c’è una città ma cantine moderne, quasi avvenieristiche, oppure classiche ma con tutto quello che la moderna tecnica richiede.

E naturalmente, arrivando alla quella che allora era Tua Rita-Gluck, entro  invece in una cantina modernissima, perfettamente attrezzata e con una grande attenzione non solo alla funzionalità ma anche all’estetica. Non per niente le barrique riposano in una sala-cantina dove vorrei stare di casa,  la sala dove si tiene la verticale è  sontuosa e i vigneti che attorno le fanno corona lo sono altrettanto.

 

Questi sono stati  piantati a partire dal 1994 con una fittezza “fin de siecle”, cioè con un numero di piante che negli anni novanta era quasi obbligatorio, ma che oggi verrebbe reputato eccessive per del  Merlot in zone calde (stiamo parlando di 9000 circa). Non per niente Luca d’Attoma, primo tecnico dell’azienda, lasciata poi per un certo numero di anni per poi tornarvi, ci parla di nuovi impianti a fittezze minori (attorno a 6500) e con allevamento non a cordone ma a guyot. Un cambio che prende atto di evoluzioni agronomiche e tecniche  avvenuta nel frattempo.

Dalla vigna alla cantina: Il mai dimenticato (per gli interisti) Mourinho sosteneva che per vincere ad altissimi livelli bisognava soprattutto curare i particolari: questa frase mi è venuta in mente quando Luca ha parlato della tostatura “allungata” delle barrique. Normalmente una barrique nasce in 40/45 minuti, mentre le loro hanno un tempo di lavorazione e soprattutto di tostatura quasi doppio: questo permette di usare una temperatura più bassa e di ottenere cessioni meno invadenti, come infatti si riscontra nel Redigaffi.

 

Ma non vi voglio più tediare e quindi vengo all’assaggio, anche se sono convinto rimarrete delusi, non dai vini ma dalle mie descrizioni. Non sono infatti uno di quelli che fa le pulci ad ogni vino degustato e quindi cercherò di proporvi il succo dell’assaggio . In campo prima nove poi undici annate, partendo dalla 1996, per passare alla 1999, poi alla 2003, 2004, 2005, 2006, 2010, 2011, 2012, con “aggiunta” successiva di 2013 e 2014.

Oramai sono già usciti articoli che hanno lungamente parlato di ogni vino e io non credo di avere molto da aggiungere se non una considerazione trasversale.

 

Siamo indubbiamente di fronte ad un rosso dotato di grande forza e profondità: se fosse un uomo sarebbe uno grande e grosso: ma se i primi Redigaffi  potevano essere paragonati a uomini grandi, grossi, un po’ grassottelli e quindi muscolosi,  arrivando ad oggi, la loro “immagine umana” si è trasformata in un uomo sicuramente muscoloso, ma molto più dinamico e con i muscoli meglio  scolpiti e precisi.

Fuor di metafora: le prime annate avevano quella che potrei definire “grassa potenza”  ma venendo avanti nel tempo questa grassezza si è trasformata  in una forza più elegantemente  dinamica: la prova provata è nelle ultime quattro annate, per niente monolitiche o pesanti al palato, pur avendo sempre alcol superiori ai 14° e tannicità (dolci) assolutamente importanti.

 

Forse il vino che mi ha stupito di più è proprio l’assaggio del campione di 2014, la vendemmia storicamente più avanti nel tempo a Tua Rita (verso la metà di ottobre, mentre normalmente si raccoglie nella prima metà di settembre), dovuta ad un andamento stagionale molto difficile. Nonostante questo ho trovato un vino fedele a se stesso, potente ma già profondamente elegante e complesso. Veramente un grande vino, naturale evoluzione di grandi vini.  

 

Se negli anni difficili fanno questo, vuol dire che quei “ragazzi della via Gluck” che conobbi quasi 25 anni fa ne hanno fatta tanta, ma tanta di strada.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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