Trefiano dal 1999 al 2015: sulle orme di un grande vino4 min read

La Villa di Trefiano prende nome da una località nel comune di Carmignano, in direzione della frazione di Seano: colline piene di viti e ancora più di olivi, con ampia vista sulla pianura di Prato e Firenze. L’edificio monumentale ha quattrocentocinquant’anni, realizzato su disegno del Buontalenti per volontà dei Rucellai di Firenze che ne rimasero proprietari molto a lungo.

Oggi è  possedimento dei Contini Bonacossi di Capezzana e tuttavia staccato dalla cantina e dall’altra villa, quella che da sempre ha dato il nome all’etichetta-bandiera dell’azienda. Per quanto ci riguarda è un cru, con un’etichetta dedicata. Le uve provengono infatti da circa quattro ettari intorno, su diversi appezzamenti: sangiovese in maggioranza, cabernet sauvignon e canaiolo 10% l’uno.

È stata una bella verticale quella organizzata a Lucca intorno al vino di Trefiano, all’interno dell’ultima edizione dell’Anteprima Vini della Costa Toscana. Anche con i dettagli tecnici giusti, come ha sottolineato Ernesto Gentili che l’ha condotta: direzione dal più vecchio al più giovane e servizio con caraffe contenenti il mix di tre bottiglie di ogni annata, così che il vino da assaggiare fosse identico per tutti.

Accanto a Gentili sedevano Beatrice e Serena Contini, rispettivamente sorella e figlia di quel Vittorio che ci ha lasciato poco più di un anno fa e che nel ’79 fu l’ideatore di questo vino. Trefiano è stato infatti il territorio d’elezione di Vittorio Contini Bonacossi, come ha raccontato proprio Serena che ci ha abitato. Sua la scelta stilistica di base, poco interventista in cantina e in vigna; scelta che ha finito col permeare l’intera produzione aziendale convincendo tutta la famiglia. Oggi la conduzione biologica copre l’intera tenuta di Capezzana, extravergine compreso.

Abbiamo cominciato col ’99, millesimo generalmente assai apprezzato per i toscani anche se qui decisamente evoluto nel profumo.

Buona vena acida in bocca, ma anche buona stoffa: un equilibrio che sarà in qualche modo la costante della degustazione. Persino il torrido 2003 che è seguito ha sfoderato un’insospettabile freschezza oltre ai più prevedibili calore e asciuttezza.

Il Trefiano di due anni (2005) dopo è stato invece il frutto di un’estate piovosa, tuttavia ha offerto la classica sapidità di un sangiovese di classe, con frutto ancora godibile.

A questo punto Gentili ha commentato positivamente, anticipando anche il resto, la capacità di questo cru di esprimere una certa costanza pur nell’altalena delle annate assai diverse come le tre assaggiate fino a quel momento.

A maggior ragione ci è piaciuto assai il 2006, considerata peraltro annata ideale in tutto il granducato: intenso al naso, floreale e gentilmente balsamico, si è rivelato forte al palato con grande armonia e persistenza. Per quello che ho percepito dagli umori della sala, forse il più apprezzato.

Beatrice Contini ha dato un quadro del cru che a parte la mano enologica può spiegare queste caratteristiche così ricorrenti. Ha riportato anzi le parole dello stesso Vittorio che descriveva i diversi lotti di terreno come esposti nei modi più diversi e composti dai terreni più diversi: sabbia, argilla, tufo, galestro, calcare. Un aiuto lo dà anche il vento frequente che spira giù dal Montalbano, sempre protettore della sanità di viti e grappoli.

Il 2008 ha espresso nel profumo un timbro anche speziato, raggiungendo notevole complessità. Molto lunga la persistenza.

È seguito il 2010, annata a macchia di leopardo da queste parti e conferma che a Trefiano tutto può filare liscio: gran carattere floreale e ottima replica aromatica al palato, gusto ben bilanciato. Quanto al ’13 mi è sembrato un sangiovese canonico, elegante e sapido, quasi snello ma con persistenza ragguardevole. Ernesto Gentili ritrova specie in queste ultime annate la mano leggera di Vittorio, e dire che per quanto emerso in quest’occasione il decennio precedente non sembra aver risentito più di tanto della dilagante tendenza di quegli anni a fare il vinone.

In ogni caso e curiosamente il figlio con questa riserva spingeva verso il mantenimento di uno stile tradizionale, mentre il padre Ugo sembrava preferire piuttosto l’innovazione e l’esplorazione di strade diverse, come la creazione del Ghiaie della Furba dimostrava.

Ultima uscita il 2015, che ha ricordato al naso fiori, spezie dolci e anche un certo fruttato; al centro bocca stoffa già setosa e grande sapidità, che ne fanno un prototipo di sangiovese di razza. Finale garbatamente asciutto.

E qui c’è un dettaglio nuovo sull’etichetta: se il colore blu della fascia bassa evoca dalla prima edizione gli spazi marini – Vittorio era un appassionato velista – questo 2015 è intestato esplicitamente a lui.

 

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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