Tre belle “vergogne” langarole5 min read

Durante la nostra ultima riunione plenaria nell’Astigiano e in Langa  non potevamo esimerci da alcune visite. Bisogna ammettere che ben tre,  dalle 13 alle 22, con annesse degustazioni numericamente importanti nonché pranzo e cena possono mettere a rischio anche il palato (e il fegato) più allenato.

Quelli di noi più  deboli si stanno riprendendo adesso (dopo oltre un mese)  da questo trittico e quindi mi sembra giunto il momento di trarre da queste visite alcuni insegnamenti di cui “non bisogna assolutamente vergognarsi”. Proverò a condividerli, oltre che con i redattori di Winesurf presenti , anche e soprattutto con voi.

In sintesi potremmo riassumere così le tre vergogne di cui non vergognarsi, anzi!

  • Abrigo Giovanni a Diano d’Alba, ovvero quando non ci si deve vergognare di fare Dolcetto
  • Giacomo Fenocchio  a Monforte, ovvero quando non ci si deve vergognare delle lunghe macerazioni
  • Monchiero a Castiglion Falletto, ovvero quando non ci si deve vergognare delle annate minori.
Diano d’Alba

Di cosa non si vergognano gli Abrigo

In Langa ormai molti ormai si “vergognano” a produrre Dolcetto, perché è poco remunerativo e difficile da vendere:  le vigne così  diminuiscono a favore del nebbiolo e chi produce, come gli Abrigo,  Dolcetto di Diano deve superare ostacoli di ogni tipo per vendere un vino di una bontà spesso unica.

Ce lo ha dimostrato il giovane Giulio Abrigo,  facendoci assaggiare sia  il Dolcetto di Diano  Sorì dei Crava che il Diano Superiore Garabei (che noi premiamo sempre  sulla nostra guida… ndr) . Di fronte a questi vini si rimane veramente impressionati da come oramai le mode (positive o negative) indirizzino molto del nostro quotidiano.

Giulio Abrigo durante la degustazione con la nostra redazione.

Mentre assaggiavo il Garabei 2018 mi è venuta in mente una cosa strana: fare una candid camera in un qualsiasi ristorante italiano , dove il cameriere offre un calice di Garabei a dei clienti, senza naturalmente dirgli che vino sia. Sono convinto che succederebbe questo: i clienti farebbero le lodi al vino, magari chiedendone un secondo bicchiere e quando il cameriere gli dice che vino hanno bevuto i clienti rimangono mooolto stupiti. A quel punto il camerieri deve chiedere “Se non ve lo avessi fatto assaggiare l’avreste ordinato dalla nostra carta”? E sono convinto che il 99.9 delle risposte sarebbe “Assolutamente no!”

Ecco, bisogna avere un grande orgoglio e una certezza nei propri mezzi per continuare produrre dei Diano di questa levatura, vini che possono maturare per diversi anni ma soprattutto  hanno una piacevolezza assoluta nei primi 3 o 4, specie se il prezzo, come in questo caso, è particolarmente piacevole.

La cantina sta facendo grandi passi avanti anche con i nebbioli ma permettetemi di rendere omaggio al loro “Dolcetto di Diano Pride”, che andrebbe maggiormente conosciuto e valorizzato.

Di cosa non si vergogna Claudio Fenocchio

La Langa all’imbrunire vista dal terrazzo di Fenocchio

Di cosa non si vergogna Invece Claudio Fenocchio? La prima risposta potrebbe essere semplicemente “Di fare un gran Barolo” ma il discorso è più complesso e  per farlo bisogna andare  un po’ indietro nel tempo, diciamo almeno 7-8 anni.

Mi ricordo di una visita da Claudio in cui ci spiegava di aver riadottato la tecnica “piemontesina”, cioè una macerazione postfermentativa con il cappello sommerso. In un momento in cui i nebbioli da barolo sviluppano delle tannicità da accoppare un toro macerare per 40-50-60 giorni in più poteva equivalere a ritrovarsi con vini “quadrati” che avevano bisogno di secoli per arrotondare i tannini. Claudio non la pensava così e aveva ragione.

Ce lo ha dimostrato  durante l’ultima visita quando, dopo averci fatto degustare Castellero, Cannubi, Villero e Bussia del 2016 è andato in cantina a prendere due campioni dalla botte, uno di barolo macerato 60 giorni sulle bucce e uno 100 giorni. Prima ci aveva incuriosito dicendo “Vedrete che quello di 100 è molto più rotondo di quello di 60, tanto da poter essere bevuto per cena”.

Ora che un barolo appena nato sia già pronto da bere per me era nuova ma mi sono dovuto ricredere, perché quel  vino spillato dalla vasca dopo oltre 100 giorni di macerazione era non solo molto più rotondo e armonico del 60 giorni ma era veramente vellutato nei tannini, pronto non dico per essere bevuto per cena ma sicuramente per maturare con calma in grandi  botti di rovere per diversi anni.

Quindi ha fatto bene Claudio a “non vergognarsi” di macerare per tempi lunghissimi, segnando una strada che oggi è seguita da molti altri produttori, non solo langaroli.

E i Monchiero? Di cosa non si vergognano, per fortuna?

La cantina di invecchiamento di Monchiero

Dopo la visita da Claudio abbiamo fatto pochissima strada e siamo arrivati dai Monchiero a Castiglion Falletto, territorio per me che attribuisce ai nebbioli un’eleganza e una finezza di altissimo livello. Iniziamo la degustazione con i vari vini aziendali e arriviamo ai barolo: naturalmente si parte dai 2016 per passare poi a qualcosa di qualche anno più  vecchio.

La 2014 viene saltata a piè pari e se non fosse stato perché ho intercettato un’occhiata tra Vittorio e suo figlio Luca ci saremmo persi una grande lezione . Dopo questo scambio di occhiate guardo Vittorio  un po’ incuriosito e  lui ammette “Sapete, mio figlio ha una passione per la 2014, ma…” Non lo facciamo finire e in un minuto abbiamo nel bicchiere il Montanello 2014, che a suo tempo avevamo valutato bene ma non certo al livello del 2014 Rocche di Castiglione, a cui avevano dato ben 90 punti (e per noi son tanti!).

Vittorio Monchiero e la redazione in degustazione

Aveva ragione il giovane Luca, che da poco tempo lavora a tempo pieno in cantina, a non vergognarsi di quel vino e di quell’annata: una finezza e una struttura ancora con grandi potenzialità, un naso dove sentori floreali sono stabilmente presenti. In poche parole è stato il vino non previsto ma più bevuto e apprezzato nella cena che ha seguito l’assaggio.

A questo punto , dopo aver sbandierato tre belle “vergogne” dobbiamo mettere in campo la nostra:  specie quando c’è di mezzo Riccardo Gabriele e le sue aziende il tempo per la discussione nelle nostre riunioni si accorcia moltissimo.

Ci dovremmo vergognare ma non credo che lo faremo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE