Con queste righe Roberto De Viti inizia la sua collaborazione con Winesurf. Pur essendo stato avvertito dei rischi non ha sentito ragioni…. a parte gli scherzi, siamo molto felici ed onorati di averlo nelle nostre file. Roberto è abruzzese e abita all’Aquila: così ci è sembrato giusto, incrociando vino, gastronomia e storie di tutti i giorni, dedicare una serie di articoli, intitolati “TERRA TREMULA”, a come hanno reagito e reagiscono questa terra ed i suoi abitanti al terremoto. Eccovi il primo.
“Cala novembre e le inquietanti nebbie / gravi coprono gli orti / lungo i giardini consacrati al pianto / si festeggiano i morti / si festeggiano i morti”. Riecheggiando la gucciniana “Canzone dei dodici mesi”, strimpellata o cantata a squarciagola da molti di noi e da molti delle giovani generazioni, chissà perché non mi sono mai intristito.
Da queste parti, in quella "terra tremula” ai cui capricci siamo affidati, novembre è un mese prezioso. Nei suoi primi giorni fioriscono i bulbi del Crocus Sativus: lo zafferano. O meglio, lo “Zafferano dell’Aquila”, Dop dal 2003. I fiori si raccolgono al mattino presto, quando sono ancora chiusi e proteggono i preziosi pistilli (tre per ciascun fiore) tra i petali violacei. Poi bisogna “sfiorare”, cioè estrarre i tre stimmi rosso scarlatto da ciascun fiore e metterli ad asciugare su un setaccio, sopra la brace del camino. Durante la tostatura perderanno i 5/6 del peso. Non stupisce, quindi, che per ottenere un solo grammo della preziosa spezia occorra raccogliere circa duecento fiori.
Intanto, in vigna, i viticoltori seguono con apprensione lo stato di salute e il grado zuccherino delle uve. Qui, il Montepulciano d’Abruzzo esprime identità e diversità: nomi e cognomi che lo nobilitano e lo distinguono dal gran guazzabuglio di una Doc che copre in pratica tutto il territorio regionale, spiagge escluse e per la quale (1968) venne scelto un nome destinato solo a generare confusione.
In questi terreni quasi montani, magri e ricchi di scheletro, le maturazioni sono molto lente e le vendemmie cominciano quando i “Novelli” sono già in circolazione per la gioia di alcuni e l’indifferenza dei più. Sono cloni particolari di Montepulciano, capaci di adattarsi ad un profilo pedoclimatico speciale: alle spalle il Gran Sasso, di là il mare, con fortissime escursioni termiche tra il giorno e la notte e fra l’estate e l’inverno, che qui nell’aquilano e ai confini pescaresi, è rigidissimo. Luoghi, dicevamo: Vittorito, Ofena, Popoli, Capestrano, Prezza. E nomi e cognomi: Pietrantonj, Cataldi Madonna, Gentile, Pizzolo, Pasquale. I loro vini di punta raccontano di questa terra così particolare e, invecchiando, perdono ogni rudezza diventando gentili, eleganti e pensosi come certi contadini di qui. Sono Montepulciano d’Abruzzo, ma quel che importa sono i loro nomi: Cerano e Arboreo, Tonì e Malandrino, Zeus e Zefiro, San Calisto e Valle Reale, Praesidium.
Da queste parti le famiglie contadine continuano la tradizione dei vini della festa: il vino cotto e la “ratafià”. Sono ottenuti per bollitura e concentrazione del mosto il primo; per infusione in Montepulciano d’Abruzzo di “visciole” (le ciliegie/amarene piccoline di qui) il secondo. Molti notai aquilani, nei loro studi ora diruti e deserti della città storica, ne tenevano una bottiglina nella credenza per sugellare, brindando con un bicchierino di liquore a base di vino e ciliegia un accordo o un contratto tra le parti: “Ut rata fiat”, siano ratificati gli atti.