Taste Alto Piemonte: quando la storia insegna4 min read

Oramai lo sanno anche i sassi che l’Alto Piemonte, circa 100 anni fa, era pieno di vigneti e che i territori che adesso hanno nemmeno dieci ettari allora avevano più vigne che la zona di Valdobbiadene in questi anni.

A fianco di questa certezza c’è una constatazione personale, frutto di numerosi assaggi in questi ultimi anni, che vede  i maggiori passi avanti dal punto di vista qualitativo proprio nelle denominazioni quasi estinte in passato o che comunque adesso hanno pochissimi ettari vitati.

In particolare Bramaterra, Boca, Fara, Sizzano, Lessona hanno nei nostri assaggi mostrato una crescita qualitativa maggiore rispetto alle molto più blasonate Ghemme e Gattinara. A questo discorso vanno aggiunte quelle denominazioni che, sbagliando, vengono considerate  minori (Colline Novaresi, Coste della Sesia, Valli ossolane) e che invece racchiudono ottimi produttori ed uno spirito innovativo che ha portato a buoni risultati e sicuramente porterà a traguardi ancora maggiori. Per questo quando Taste Alto Piemonte ti propone una degustazione di vecchie annate non puoi fare altro che gioire e sederti al tavolo per assaggiare.

L’elenco dei vini in degustazione lo trovate qua sotto e già da quello si possono capire alcune cose: le denominazioni scomparse erano REALMENTE scomparse, tanto che su 20 vini presentati solo 9 non vengono dalle due docG (cioè Ghemme e Gattinara).

Inoltre solo due su 9 presentavano vini antecedenti al 2000. Insomma, se dobbiamo dire qualcosa è che le DOC  che molti consumatori e appassionati amano sono risorte da non più di 10-15 anni: questo è bello perché vuol dire che stanno facendo passi da gigante, però bisogna ammettere che il retaggio storico è una memoria quasi esclusivamente scritta o parlata, non certamente ancorata a vigneti tramandatisi negli anni (qualche pezzo qua e là di maggiorina a parte). D’altro canto invece a Ghemme e Gattinara, anche loro comunque passate attraverso lunghi anni di vacche magrissime una tradizione storica realmente legata alla vigna è rimasta viva.

Uno dei pochi vigneti a maggiorina rimasti in zona.

Gli assaggi, suddivisi per gruppi legati alle denominazioni hanno ancora più chiarito quanto ho detto sopra: la maggior parte delle vecchie annate provenienti dalle denominazioni “più estinte” hanno mostrato o problemi legati proprio alla mancanza di esperienza dei giovani produttori o, all’opposto, ad  un modo di fare vino “da ultima trincea” da produttore arroccato in un suo piccolo mondo che non cerca e non trova (anche perché , forse, non c’era) una comunicazione che lo aiutasse a crescere, a migliorarsi.

Invece passando a Gattinara e Ghemme il senso della storia reale, legata comunque ad un mondo del vino che bene o male era sopravvissuto alle “Piaghe d’Egitto”, è chiaro e si presenta con luci nette e quasi sfolgoranti. Luci che permettono anche di inquadrare sfaccettature diverse dovute non solo alla mano del produttore ma a veri e propri periodi storici, marcati da modi diversi di intendere e fare vino: da una parte i vini delle annate più lontane,  tannici, magari ruvidi, che solo il tempo adesso ha reso distesi ed eleganti e dall’altra i vini più recenti, dotati di maggiore concentrazione e grassezza  dovute ad un modo diverso di lavorare in vigna e in cantina. In entrambi i casi questo breve excursus storico mi ha permesso non solo di inquadrare bene il territorio e la sua storia, ma di degustare alcuni vini di assoluto livello.

Su tutti permettetemi di citare tre vini : il primo è il Ghemme Ronco al Maso 1997  di Platinetti, vero e proprio esempio di un mondo enologico che magari non esiste più ma che adesso ti stupisce per complessità olfattiva e impressionante “rustica finezza tannica” in bocca. Il secondo è il Ghemme 1999 di Ioppa, ancora con note agrumate al naso e con una dolcezza gustativa che dimostra dove possa arrivare un nebbiolo di queste parti. Il terzo è il Gattinara Osso di San Grato 2005 di Antoniolo, un vino con gambe antiche e testa moderna: maggiore concentrazione non ha scapito della finezza del tannino, naso su belle note balsamiche con possibilità di maggiore complessità nei prossimi anni.

Concludo con una considerazione su come il mondo enologico di un territorio possa subire grandi rivoluzioni in breve tempo: infatti la degustazione delle giovani annate in commercio adesso e gli assaggi ai banchetti dei produttori mi hanno presentato una situazione molto diversa da quella proposta dalle vecchie annate. In generale infatti “le denominazioni scomparse” hanno fatto veri e propri passi da gigante e oggi non hanno niente da invidiare a Ghemme e Gattinara. Queste due ultime invece, pur con  bei nomi che tengono alto il prestigio, hanno percepito solo in parte  la grande spinta al miglioramento che tanti piccoli e giovani produttori stanno portando avanti. Insomma, la rivoluzione è in atto e sicuramente ne “berremo delle belle”!

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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