Starwine 20066 min read

Starwine 2006.

Sono stato abbastanza fortunato da essere tra i “prescelti”, per prendere parte per la seconda volta in tre anni ad uno degli eventi che potenzialmente avrebbe tutte le carte in regola per essere il migliore al mondo nel suo genere.

Starwine è una grande degustazione che ha luogo in America: le prime due edizioni sono state tenute a Philadelphia, mentre l’ultima (18-22 Ottobre) ha avuto luogo a New York.

Il concetto è questo: i produttori di ogni angolo del pianeta iscrivono i loro vini a partecipare a questa degustazione, pagando una quota di partecipazione per ogni vino. I vini vengono poi degustati da panels di professionisti fatti arrivare appositamente da tutto il mondo: quest’anno, per la precisione, 45 assaggiatori di 15 paesi diversi. Alla fine delle degustazioni, vengono assegnate le medaglie d’oro/ argento /bronzo ai vini, e vengono anche nominati i “Best of Class”, ovvero i migliori vini per ogni categoria. Come detto, le prime due edizioni (fino all’anno scorso) si sono svolte a Philadelphia, con il patrocinio del PLCB (Pennsylvania Liquor Control Board) che è l’ente-monopolio dello Stato della Pennsylvania e compra tutti gli alcolici in vendita nello Stato rivendendoli agli esercenti: praticamente il singolo acquirente più potente di tutti gli States. I vini che venivano premiati con un medaglia d’oro, fino all’anno scorso, venivano acquistati in enormi quantitativi dal PLCB, dunque per i produttori il tutto poteva avere un grande riscontro di vendite. Quest’anno la manifestazione si è svolta a New York, senza il coinvolgimento del PLCB, perché si sta tentando di fare di Starwine un evento di portata nazionale, piuttosto che non confinato ad un singolo Stato. In futuro le ambizioni sarebbero di varcare i confini degli States, per divenire un evento mondiale, ed a giudicare dalle capacità dei palati impegnati nelle degustazioni, le premesse sono ottime.

La selezione dei professionisti è curata da Michelle Chantome, già organizzatrice del famoso Trophée Ruinart che una volta ogni due anni nomina il miglior Sommelier d’Europa. Beh, 3 giorni di degustazioni gomito a gomito con “Migliori Sommelier d’Europa/del Mondo/ di diverse nazioni” e ancora Masters of Wine e Master Sommelier, valgono già da soli la fatica del viaggio, quest’anno reso particolarmente “faticoso” dalla incredibile vita notturna che offre New York in confronto a Philadelphia.

L’America è un grande paese, e l’idea (onerosa) di un organizzazione di questo genere poteva essere concepita solo qui. Starwine è finanziato da 4 grandi sponsor e dalle partecipazioni private di un manipolo di intrepidi spendaccioni appassionati di vino, che quest’anno sono riusciti per la prima volta su tre (almeno così sembra dai primi calcoli) a non andare in rosso. Si, d’accordo, non c’era questa volta la “grandeur” delle due edizioni precedenti, ma se questo può aiutare a far si che un altr’anno Starwine esista ancora, ben venga la stretta di cinghia.

La cosa più importante, e al centro dell’interesse reciproco dei degustatori, non è tanto l’appeal faraonico della manifestazione, quanto il poter confrontare il proprio modo di degustare con quello di colleghi da tutto il mondo: che non è cosa da poco. Come degusta un vero professionista cinese? Lo so cosa state pensando, ma vi sbagliate: ce ne sono, esistono, e anche parecchio bravi da quello che ho visto a New York.

Per raccontare tutto ciò che ho visto in questi quattro giorni ci vorrebbero…Diciamo quattro giorni. E’ meglio dunque affrontare un solo aspetto dell’evento fra i tanti possibili. Fra le modalità della degustazione, l’organizzazione della stessa o i suoi risultati, credo che l’aspetto più curioso sia il primo. Come si doveva degustare? Con che testa (o palato) bisognava pensare? Quali erano di un vino i “tratti somatici” desiderabili e quali quelli indesiderabili?

L’ordine di scuderia è stato non “votate i vini secondo voi più buoni”, ma “votate i vini che pensate che possano riscuotere più successo fra i consumatori”. Strano quanto volete, ma il ragionamento, dal punto di vista di un americano, ci sta tutto. L’America è un paese che ha benevolmente viziato i suoi abitanti, abituandoli al “comodo”, e al “facile”. Piuttosto che tentare di fare un po’ di cultura del gusto, magari spiegando che in un vino “il tannino è si, magari un po’ evidente, ma è perché l’uva con la quale è fatto ha quelle caratteristiche”, li si tende a preferire un’altra strada, ovvero: preferire un prodotto nel quale le caratteristiche “scomode/difficili” di quell’uva siano state addomesticate in qualche maniera. E’ un po’ un discorso “pappa pronta”, cioè: ti do quello che tu vorresti che io ti dessi, senza tentare di spiegarti che in effetti sarebbe meglio che fossi tu a fare uno sforzo per fare diventare “adulti” i tuoi gusti. Estremizzando molto, sarebbe come se io dessi a mia figlia nutella a pranzo e cena, solo perché lei la preferisce ai broccoli.

Detto questo, devo anche dire che: nel caso noi degustatori avessimo degustato ognuno secondo il proprio palato, ci sarebbe stata una disomogeneità di giudizio tremenda. Cosa che invece non è avvenuta: tutti sapevamo molto bene quali sarebbero stati i vini più graditi dal palato americano, e in questi giudizi eravamo in totale sintonia anche con i degustatori americani. Quindi se un americano acquisterà in enoteca una bottiglia di un vino “medaglia d’oro Starwine”, può essere certo che gli piacerà moltissimo.

Sarà interessante vedere come si aggirerà questo ostacolo non da poco, nel caso in cui Starwine diventasse davvero un evento di portata mondiale, ma ci porremo il problema quando sarà tempo.

Come sono dunque i gusti degli americani? Si sono notevolmente ridimensionati sul legno (ed era ora) e sui bianchi, che in realtà qualche anno fa erano ambrati, si sono notevolmente alleggeriti anche in termini di estrazione. Sui rossi, specie sui Cabernet Sauvignon, il residuo zuccherino auspicabile è decisamente in crescita, ma il frutto e una certa primordiale idea di complessità cominciano a farsi strada nei palati dei consumatori.

I vini italiani complessivamente hanno ben figurato, ma da italiano ho accusato il colpo quando, durante un pranzo organizzato e sponsorizzato da Wine Australia (www.wineaustralia.com) ho assistito ad una presentazione dei vini autraliani (in generale) fatta così bene da farmi sentire male: quando riuscirà l’Italia a proporre qualcosa del genere, abbattendo sciocche divisioni e controproducenti litigiosità? La platea era appetibilissima (giornalisti/importatori/buyers) ed i vini italiani degustati nelle varie batterie avrebbero solo confermato il pranzo-spot: un’altra piccola ma importante occasione mancata. Niente paura, ci si potrà sempre lamentare della concorrenza sleale dei paesi emergenti…

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE