Stampa estera. La Revue du Vin de France n.647: biodinamica a 360°5 min read

 E’ quasi monografico questo numero principalmente  dedicato al tema della Biodinamica, annunciato con un titolo in grande al centro della copertina. Altri argomenti : Grand Prix della RVF 2021, lo champagne bio di Jean-Baptiste Lécaillon, vins jaunes del Jura, Porto Vintage 2017. Dopo aver accennato alle notizie  del mese (la nuova fronda contro il classement dei crus bourgeois; il dr. Conti, Rudi Kurniawan, il grande truffatore, di nuovo in libertà ; il viraggio di Yquem  verso la biodinamica;  gli esperimenti dell’infaticabile 86 enne vigneron gaillacois  Robert Plageoles sulle vigne sauvages), partiamo naturalmente dai vini biodinamici.

Annunciati dall’édito di Denis Saverot, di vini biodinamici si parla in quattro grandi servizi. Il primo, firmato da Fabien Humbert e Baptiste Charbonnel, si propone di spiegare in termini essenziali la storia e i dibattiti sorti intorno alla biodinamica: quali sono state le sue origini, come si è diffusa in Francia, che differenze ci sono tra vini biologici e biodinamici,  quali sono e in che cosa differiscono i due principali marchi certificatori (Demeter e Biodyvin), qual è il peso attuale dei vini biodinamici in Francia, che cosa ne dice la scienza e quali sono le critiche che le si rivolgono. Accanto a posizioni di tipo pragmatico (Thomas Duroux, di Château Palmer, afferma di utilizzare metodi biodinamici avendo constatato che i suoi vini miglioravano in espressione e precisione, senza però aderire alla sua cornice esoterica, avendo una formazione scientifica), le osservazioni critiche non mancano affatto: Pascal Chatonnet, enologo e vigneron nella Gironda, esprime la sua insofferenza per gli atteggiamenti da guru di alcuni seguaci del metodo  biodinamico, Jacques-Frédéric Mugnier, del noto  Domaine borgognone che porta il suo nome,   sottolinea l’incompetenza agraria del fondatore, Rudolph Steiner, le cui conoscenze si limitavano alla lettura dei testi di Goethe. Nel secondo servizio gli stessi autori  interrogano  sei vignerons che l’hanno adottata perché spieghino che cos’è per loro la biodinamica e quali cambiamenti e difficoltà ha comportato adottarla. Rispondono: Pierre Vincent (Domaine Leflaive), Stéphane Tissot (Domaine André et Mireille Tissot), Jean-Pierre Fleury (Champagne Fleury), Jean-Dominique Vacheron (Domaine Vacheron), Hélène Thibon (Mas de Libian), Nicolas Raffy (Mas Amiel).

Tutti insistono sulla diversità degli approcci alla biodinamica e sul loro carattere individuale, sulla necessità di adattarla alle diverse parcelle (non tutte rispondono allo stesso modo), esprimono (con qualche differenza) una certa diffidenza verso gli aspetti più esoterici  che l’ hanno accompagnata,  ma ritengono che essa abbia cambiato profondamente il loro modo di trattare la vigna e il gusto dei vini prodotti: più armonia, una maggiore mineralità, miglior equilibrio  a livello dell’acidità e della maturità fenologica, più finezza, più energia. Ciascuno racconta il proprio percorso verso la biodinamica e le difficoltà incontrate, i gesti che ama maggiormente,  il proprio  approccio alle macchine e alla modernità. Nella sua inchiesta  Denis Saverot raccoglie le opinioni di cinque “palati fini” sul tema in oggetto. Se Pierre Citerne afferma che, dal punto di vista del degustatore, l’approccio adottato è indifferente, se il risultato gustativo è ugualmente positivo, Éric Beaumard sostiene che conta più la personalità del vignaiolo che l’adesione o meno ai principi della biodinamica, per Bruno Quenioux  il fattore cruciale non é la biodinamica ma l’evoluzione dei vignerons (“ne me parlez pas de biodynamistes. Pour moi un vigneron est d’abord un paysan”).

Il quarto ed ultimo servizio consiste in una maxidegustazione , raccontata da Karine Valentin, Alexis Goujard, Roberto Petronio e Jean-Emmanuel Simond,  a seguito della quale sono stati scelti 187 vini biodinamici che li hanno entusiasmati. I degustatori hanno individuato tre stili differenti, che riassumono così. Ci sono innanzitutto quelle che chiamano “le interpretazioni pure del terroir”, di cui la massima espressione è lo Château Pontet-Canet (97/100  al vino del 2014).  Ci sono poi le cuvées classiche  (dal “giusto” gusto e che seducono): il Gevrey-Chambertin Ostrea dei Trapet e il Saumur-Champigny La Marginale del Domaine des Roches Neuves  ne sono gli esempi più tipici. Infine ci sono le cuvées audaci, che  cercano nuovi codici. Degli esempi? Il Coulée de Serrant Savennières di Joly, l’Île de Vergelesses Premier cru di Pernand-Vergelesses del Domaine Chandon de Brialles, l’Alsace Complantation di Marcel Deiss. Di biodinamica, infine, parla anche la columnist Pascaline Lepeltier nella sua pagina, che ne esamina lo scenario mondiale e i personaggi più rappresentativi.

Naturalmente- a parte le consuete rubriche e lo spazio dedicato agli accordi, agli spirits, e alle aste- c’è anche altro. Innanzitutto i premi 2021 della RVF. La personalità dell’anno questa volta non è in senso stretto un uomo del vino: é’ un avvocato parigino, Eric Morain, noto per aver difeso con successo tutti i David della vigna, che si sono scontrati contro le burocrazie e  i colossi del vino. E’ anche considerato  uno dei padri della prima “certificazione” dei vini naturali con l’etichetta “Vin Méthode Nature”. Il vigneron dell’anno è invece una donna, Sylvain Fadat, del Domaine d’Aupilhac, in Languedoc e a una donna va anche il premio di miglior négociant (Jane Eyre, enologa australiana dal cuore borgognone). Ci sono poi i Porto Vintage della favolosa annata 2017, che perpetua, con 1937, 1977 e 1997 la magia delle annate “in 7”: 100/100 al Vintage di Nieport e 99 al Quinta Nacional e al Quinta do Noval e al Vinha Vielha de Vargellas di Taylor’s.

Ancora: i rari Vin Jaunes del Jura delle annate tardive 2012 e 2013 degustati alla cieca (97/100 allo Château Chalon 2012 del Domaine Chevassu-Fassenet), la verticale dello Château Haut-Bailly, gemma di Pessac Léognan , curata da Pierre Casamayor, dal 1998 al 2017 (98/100 per  i vini delle annate  2009, 2010,2015 e 2016, tutte le altre annate degustate tra 92 e 97/100), il confronto tra i bianchi e i rossi di cinque annate (dal 2011 al 2019) dei Domaines Léon Barral e  Le Conte des Floris in Languedoc per la serie “Une appellation, deux styles”. Infine Sophie de Salettes guida i lettori della RVF alla scoperta del terroir di Tavel e dei suoi famosi rosé: il più meridionale dei 17 crus delle Côtes du Rhône, 960 ettari tra Tavel, che copre il 95% dell’AOC,  e Roquemaure .

Prima di chiudere  con la “bouteille mythique” ( il Martha Vineyards di Heitz Cellars 1966) e il consueto “Débat autour d’une bouteille “ (questa volta si confrontano Alexis Gojard e Jean-Emmanuel Simond  a suon di bicchieri Zalto, sul Riesling Les Jardins 2018 del Domaine Ostertag), giusto un accenno all’ intervista che invece apre il fascicolo, a Jean-Baptiste Lécaillou, grande architetto della cuvée Cristal della maison Roederer, che discute di  champagnes bio, della certificazione HVE, dei limiti dell’INAO e della necessità di liberare energie invece di ingessarle, degli esperimenti condotti con le vigne franc-de-pied.

 

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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