Stampa Estera: Decanter, vol 47. Borgogna 2020, Roussillon, Pinotage e… tanta Italia11 min read

In copertina: I vini dell’anno, Borgogna 2020, Roussillon e Pinotage sudafricani, i vini da bere nelle ricorrenze. Non annunciati tra i titoli di copertina: le invisibili influenze delle vostre scelte in materia di vini, Château Grillet, Top value wines, itinerario di viaggio a Cordoba, il “perfect match” con lo stufato creolo. E poi, naturalmente, le solite rubriche di “Uncorked”, le notizie, le pagine educative di “Wine Wisdom”, gli “spirits” (il paradosso dei liquori senza alcool) e l’occhio al mercato dei vini (nessun rallentamento alla domanda di Champagne), le pagine dei columnist, i vini della settimana e quelli per il fine settimana. Non finisce qui, perché a questo numero è aggregato anche il corposo supplemento annuale dedicato ai vini italiani. Come si può facilmente constatare, c’è molta carne a cuocere. Io mi limiterò a tre piatti (Borgogna, Château Grillet e Pinotage), e del resto farò un cenno.

Cominciamo dagli articoli che non approfondirò, e in particolare i vini dell’anno scelti da Decanter. Alla fine viene un po’ di noia a guardare la lista dei vini prescelti, ciascuno accompagnato da una scheda sintetica, molto inclinata verso quelli del Nuovo Mondo, coerentemente con la tradizione mondialista di Decanter, molti sconosciuti ai più e neanche importati nel nostro paese. Mi limiterò perciò a dire che nel gruppo di testa c’è anche il Primo Terlaner Grande Cuvée 2018 della Cantina di Terlano (98/100), e che tra i vini presenti nella lista (in tutto 51 ) ce n’è un’altra dozzina del nostro paese, tutti con punteggi tra i 95 e i 97/100, mica male. Tra i piemontesi, i toscani e i veneti  solitamente presenti in queste classifiche ci sono anche un Prosecco superiore (il contrada Granda extra-dry   La Masottina) e un Primitivo di Manduria (il Feudo Croce Imperio LXXXIV di Tinazzi 2019) entrambi gratificati di 95/100.

In compenso, nell’altra classifica dei vini Top Value del mondo, con almeno 95 /100 di valutazione o più, al di sotto dei 15 pounds, tra i quali brilla l’astro portoghese, questa volta non c’è alcun vino italiano.

Ma eccoci alla Borgogna e al millesimo 2020, col quale si completa una triade di annate (2018, 2019 e appunto 2020) molto calde e molto secche, ma notevolmente buone: 4 stelle e mezza su 5 la valutazione di Decanter per i rossi nell’annata 2020 come nella 2019, mezza stella in meno nella 2018; quattro stelle invece per i bianchi nelle ultime due annate, tre e mezza per la 2018. Nel report di Charles Curtis il carattere più saliente dell’andamento climatico dell’annata, oltre al calore (millesimo caldo ma non più dei due precedenti, con  solo un picco di calore nella seconda settimana di agosto), è stata la siccità, soprattutto in Côte-d’Or , con il 62% di precipitazioni in meno della media (più a sud, in Côte-Chalonnaise e nel Maconnais , solo il 28% in meno). Le condizioni ambientali eccessivamente secche sono state all’origine di un blocco delle maturazioni, di una veraison ritardata e di una notevole concentrazione. Gradi zuccherini elevati (tra i 12°5 e i 16-sic!- secondo la zona) compensati da livelli elevati di acidità tartarica, a fronte di valori bassi di malica. Alla fine, comunque si è avuto  un calo delle rese mediamente del 40%. Chi sperava in una diminuzione dei prezzi, si prepari perciò al contrario, finché la domanda e le rese continueranno ad andare in direzioni opposte. Qualità eccellenti per entrambi i colori e risultati eccezionali nei climat più importanti, a fronte di colorazioni più intense, inusuali nei pinot borgognoni.

Gli assaggi riportati di seguito, ovviamente molto parziali (mancano numerosi produttori di primo piano),  vedono spiccare le denominazioni più importanti e i grand cru della Côte -d’Or, poi c’è spazio (decisamente minore) per le altre denominazioni della Côte-Chalonnaise  e del Maconnais. 100/100 sono stati attribuiti al Musigny Grand cru di Roumier (99 al suo Chambolle-Musigny 1er cru Les Amoureuses), al La Tâche. 99/100 è la valutazione degli Chambertin del Domaine Dujac e del Domaine Trapet, del Musigny del Comte de Vogüe, dei Richebourg di Anne Gros e del Domaine Hudelot-Noëllat e del Montrachet del Comtes Lafon , mentre si fermano a 98/100 lo Chambertin di Dugat-Py, il Clos de Bèze Les Ouvrées Rodin di Faiveley, i Clos de la Roche del Domaine Ponsot e del Domaine Lignier, il monumentale Clos de Vougeot Hommage à Jean Morin di Château de la Tour, La Romanée del Comte LIger-Belair e il Romanée-St. Vivant di Dujac, e, tra i bianchi, il Montrachet del Domaine Fontaine-Gagnard. Potrei continuare, ma non credo sia il caso, elencando i numerosi vini, specie della Côte de Nuits, che hanno raggiunto la comunque ragguardevole valutazione di 97/100 (mi limito a segnalare, tra questi, il Nuits-Saint-Georges Les Saints Georges di Thibault Liger-Belair, tetto dell’appellation).

Voglio invece soffermarmi  sulle belle note delle denominazioni meno importanti: ad es. i 93/100 del Saint-Romain blanc Sous la Velle di Gilles et Henri Buisson, i 96/100 raggiunti dal Santenay Les Gravières del Domaine Jessiaume, il più alto punteggio raggiunto da un rosso delle denominazioni minori della Côte de Beaune, e, tra le appellations regionales, la conferma del Bourgogne Montrecul del Domaine de la Cras (93/100) e dell’incredibile Bourgogne Passetoutgrains L’Exception del Domaine Lafarge (92/100). Infine i Domaine “under radar” per il loro debutto  schioppettante in questa rassegna, la Maison Millemann (97/100 al suo Corton Charlemagne) e il Domaine Violot-Guillemand (96/100 al suo Corton rouge Clos du Roi e a un fantastico Pommard premier cru del Clos de Derrière-St. Jean).

Château Grillet: situato nell’area della Côte-Rotie, contigua  al terroir di  Condrieu, con i suoi soli 3.5 ettari,  è la più piccola denominazione del Rodano settentrionale, coincidendo con il Domaine con il suo stesso nome. Al tempo in cui nacque l’appellation (nel 1936) era sufficiente che la proprietà avesse un paio di torrette e che fosse denominata Château e che le vigne lo circondassero  in un sol blocco perché si potesse chiedere una appellation a sé. E fu proprio quel che accadde in questa storica proprietà, che il Presidente americano Jefferson visitò nel 1787 in occasione del suo viaggio in Francia e che il grande gastronomo Curnonsky , negli anni ’30, incluse, con Montrachet, Yquem, Château-Chalon e il Clos de la Coulée de Serrant a Savennières , nel gruppo dei 5 migliori vini bianchi del mondo. 

Chateaua Grillet (foto di bonvivantetplus.blogspot.com)

La sua fama più recente, negli anni 60-90 fu assai più altalenante, ma iniziò la sua risalita quando nel 1994 da André Canet Grillet passò nelle mani della figlia Isabelle Baratin-Canet e con l’arrivo come consulente di Denis Dubourdieu. Poi, quando nel 2011, la proprietà fu acquistata dal miliardario François Pinault, l’ascesa di Grillet ricevette una spinta decisiva. Pinault avviò subito la conversione delle vigne alla coltivazione organic , affidando nel 2019 la sua direzione alla talentuosa Jacock Cramette. Oggi, accanto al costosissimo Château Grillet, viognier in purezza, il Domaine produce dal 2017 anche un  secondo vino, il La Carthery,  da vigne comprese nella denominazione Condrieu, confinanti con quella del cru, e un terzo, sotto la denominazione generica di Côtes-du-Rhone.  La porzione maggiore della vigna si trova su terrazze di granito su un ripido anfiteatro esposto a sud, che declina da 250 a 150 metri . Si tratta di un suolo molto caldo e soleggiato appena mitigato da un vento settentrionale.

Che cosa distingue Château Grillet da Condrieu, visto che il primo è praticamente compreso nell’area della denominazione maggiore e che entrambi sono viognier in purezza? I Condrieu sono bianchi molto intensi e aromatici, generosi e relativamente poco acidi sul palato, con una spina minerale che riesce però a creare un senso di struttura e di freschezza. Lo Château Grillet è lievemente meno  corpulento e meno intensamente aromatico, ma si distingue per una maggiore salinità, intensità e tensione sul palato. Inoltre nel prezzo, superando abbondantemente i 300 euro la bottiglia.

Vigneti in Sudafrica

Il Panel Tasting dedicato ai Pinotage. Il pinotage, figlio del pinot noir e del cinsault, è la varietà che più di tutte forse restituisce il senso del luogo da cui proviene, il Sud Africa. Ha smesso ormai, come dice Greg Sherwood nel suo report, di essere considerato poco più che un vino da pentola, cioè buono per cucinare. Dalla prima degustazione dedicatagli da Decanter, nel 1999, i passi avanti verso la qualità sono enormi, come testimoniano anche i dati di questo Panel: nessun vino “exceptional” (con una valutazione di 98-100/100), ma ben sette “outstanding” (almeno 95/100) e 69 (quasi la metà dei 142 vini assaggiati) “altamente raccomandabili”, che hanno cioè raggiunto o superato i 90/100, con nessun campione valutato povero o insufficiente o difettoso. La coltivazione di questa varietà ha tratto enorme beneficio dalla sua adattabilità a territori diversi e praticamente a tutti i tipi di suolo sudafricani (sabbie antiche, scisti o graniti decomposti), e a una varietà di stili diversi: sia che si cerchino soluzioni più light, più leggere di alcool e più sottili, sia più robuste e alcoliche, ma sempre ricomposte in una notevole armonia. Mi limito a citare i sette Pinotage ritenuti outstanding, tutti a quota 95/100: Stellenbosch 2019 di Beeslar Wines; Winemaker Reserve, Stellenbosch 2018 di Beyerskloof, Chocoholic, Darling 2020 di Darling Cellars, Private Cellar, Tulbagh 2015 di Rijck’s, Seaward, Coastal Region 2020 di Spier Wines,  Rserve 2017, Coastal Region di Windmeul, Swartland 2020 di Wolf & Woman. Ma ci sono poi altri 7 vini che hanno raggiunto il punteggio di 94/100 e una dozzina i 93/100. Niente male per vini in vendita per la maggior parte sotto i 20 pounds e spesso poco sopra i 10.

Per completezza, dò  giusto un accenno all’altro Panel Tasting, dedicato ai rossi del Roussillon, di tutte le denominazioni. Anche questa degustazione testimonia i notevoli progressi compiuti da questo territorio fino a non molto tempo fa conosciuto soprattutto per i suoi Vins Doux Naturels (Banyuls e Maury in testa). In questo caso sono stati solo due i vini valutati come “oustanding”, entrambi però con un punteggio molto elevato, ai limiti degli “Exceptional” (97/100): Il Cavalcade 2019 , un Cotes-du-Roussillon Villages Les Aspres dello Chateau de Corneilla, e il Cotes Catalanes 2014 di El Soula. A controprova degli ottimi risultati raggiunti, 69 vini su 122 degustati, cioè oltre il 56%, ha raggiunto o superato la fatidica soglia dei 90/100.

Franciacorta

A conclusione di questo resoconto, darò poco più che il sommario del fascicolo dedicato ai vini italiani. Come annuncia la copertina: i vini e le vendemmie migliori, i nomi che bisogna conoscere assolutamente e i luoghi da visitare questa estate. Quanto ai personaggi, c’è l’articolo di Susan Hulme sui sei winemaker più importanti del nostro paese: Cotarella, D’Attoma, Ferrini, Falsini, Colombo e Leoni. Per quanto riguarda gli itinerari vacanzieri, Carla Capalbo conduce i lettori di Decanter in Franciacorta. Tra i vini di maggior prestigio per Decanter ci sono sicuramente i supertuscan, giunti al loro primo mezzo secolo di vita (ne parla Aldo Fiordelli nell’articolo  che apre il supplemento), e i grandi Barolo e Brunello. Grandi vini da invecchiamento che occorre attendere diversi anni dalla vendemmia. Quali sono le annate da bere oggi? Risponde Micaela Morris: per il Barolo, 2001, 2006 e 2013; per il Brunello, 1999, 2007 e 2012. Che altro c’è? Monferrato, i comuni del Chianti Classico, l’ascesa del Prosecco, Marche, Abruzzo e Molise, la diversità dell’Etna e i suoi migliori vini bianchi e rossi, l’”altro” sangiovese , quello romagnolo. Infine Michael Garner celebra l’arte del “blending”: i grandi bianchi che assemblano uve di varietà diverse nel Friuli e in Alto Adige.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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