Stampa estera. Decanter n° 12: tanta Italia “in rosso” e non solo8 min read

Le  nuove releases dei rossi toscani, i vini del triangolo di Agulhas, e naturalmente molto altro (rosé di Provenza, Albariño e Alvarinho, Pouilly-Fuissé, Asti e Moscato d’Asti).  Non compresi nei titoli di copertina: il profilo del Mas de Daumas Gassac (“gli eroi dell’Herault”), il Perfect Pairing (i vini per le “Tomates provençales”), gli “spirits” (vodka aromatizzate), cocktails d’estate, gli  indirizzi per i wine-lovers a Soho, le pagine didattiche di “Wine wisdom”, i vini giornalieri e per il week-end, il “Market Watch” con i trends dell’investimento, l’incontro con Shane Jones, wine and sake educator, e naturalmente le news di “Uncorked”,  le lettere dei lettori e le “column” di Jefford (occorre una manutenzione per le denominazioni dei vini) e Johnson  (difesa delle mezze bottiglie).

Tra tutti questi temi ho scelto le nuove annate dei rossi toscani e i bianchi da uve alvariño.

Prima però un rapido accenno al profilo  regionale di questo mese, riguardante  il territorio  del triangolo di Agulhas, all’estremità meridionale del Sud Africa, dove si incontrano i due oceani, Atlantico e Indiano. Si tratta di terre battute dai venti oceanici che frustano continuamente la linea costiera di Strandveld, caratterizzate da condizioni climatiche estreme: 284 ettari di vigna, per la maggior parte di sauvignon blanc  e shiraz, che ne coprono da sole circa i tre quarti . IL resto è distribuito tra merlot, pinot noir e semillon. Malu Lambert, che firma l’articolo, presenta i “suoi” dieci vini . Va da sé che quelli di vertice, tra i bianchi sia  un assemblage semillon/sauvignon blanc , l’Elim 2018, di Trizanne Signature, e per i  rossi un syrah riserva (stesso nome, Elim red 2017 e stessa winery).

Mas de Daumas Gassac

Il profilo del produttore, questo mese, è affidato a Andrew Jefford, l’esperto di Decanter per la Languedoc, e riguarda il Mas de Daumas  Gassac della famiglia Guibert. Scomparso il padre, Aimé (lo ricorderete nel film “Mondovino” di Lassiter), questa vasta proprietà, comprendente, oltre al nucleo originario del Mas, quella, più ampia del Moulin de Gassac, ad Aniane, è ora retta da quattro dei suoi cinque figli, che continuano l’opera del padre. Il Mas de Daumas Gassac rouge fu negli anni ’80 il primo grande rosso della Languedoc, nato dall’intuizione di un professore di geologia di Bordeaux, Henri Enjalbert, che, visitando nel 1971 la proprietà vi vide le premesse per un cabernet sauvignon eccezionale. Nacque così , con la consulenza del grande Émile Peynaud, il Mas de Daumas Gassac rouge, insolito blend in gran maggioranza cabernet (70-78%), in assemblage con le uve di altre 25 varietà, tra le quali anche il pinot noir e il nebbiolo.”Scoperto” dal giornalista del Figaro Michel Plot, che lo definì il primo grand cru della Languedoc, fu definitivamente consacrato da Gault e Millau, che lo battezzarono come “il Lafite della Languedoc”, introducendolo  nelle carte dei vini dei maggiori ristoranti parigini. Un grande rosso certamente, ma Jefford dubita che possa essere definito un grande rosso della Languedoc, per la sua atipicità rispetto agli altri migliori vini regionali, tra i quali quelli delle Terrasses du Larzac, nel cui territorio potrebbe rientrare: questo giudizio, dovuto alla presenza del cabernet, andrebbe però temperato dal fatto che la Languedoc, nel corso degli ultimi 50 anni, ha totalmente rivoluzionato la scelta delle sue varietà prevalenti. Oltre al Mas rouge e alla cuvée dedicata a Peynaud (100% Cabernet), i Guibert producono  un pregevole Mas de Daumas Gassac bianco e una pressoché sterminata quantità di vini  nell’immensa proprietà del Moulin de Gassac.

Passiamo ora alla degustazione dei rossi toscani, completata, immediatamente di seguito, da un itinerario a Siena di Sarah Lane: a parlarne è Micaela Morris, che ha degustato 232 vini toscani, oltre ai 30 (Brunello e Chianti Classico) descritti nel servizio in oggetto, tra i quali 23 Nobile di Montepulciano.  L’annata 2016 del Brunello è stata a cinque stelle: caldo non eccessivo, piogge nei periodi giusti  e nella quantità necessaria, elevate escursioni  termiche. Benché con temperature meno estreme che in altri anni, la 2016 ha rispettato il  trend generale di riscaldamento  di Montalcino (anche le vigne situate a oltre 600 m., finora ritenute inadatte al sangiovese, sono state ammesse nella denominazione), ma i produttori,  nel corso degli ultimi anni, hanno adattato la conduzione delle vigne  all’innalzamento delle temperature.   I vini del 2016 sono strutturati, profondi, con una rinfrescante acidità, molto piacevoli . Non sono altrettanto immediatamente accessibili come quelli del 2015, ma non bisognerà attendere molto per goderli. Tuttavia essi hanno densità, acidità viva e tannini che li rendono adatti a durare nel tempo. Se il Brunello di Fuligni ha ottenuto la valutazione-monstre di 99/100, quelli dei Conti Costanti e  il Madonna delle Grazie del Marroneto sono appena un punto al di sotto, a 98, e vi sono ben 7 vini che inseguono a quota 97: La Casaccia di Canalicchio di Sopra, il Tenuta Nuova di Casanova di Neri, Le Chiuse, il Vigna Vecchia di Le Ragnaie, quello di Padelletti e Sesta di Sopra, l’Helichrysum di San Polino. Le migliori riserve del 2015, con 97/100, sono quelle di Fuligni e Padelletti, un punto al di sotto (96) le riserve di Canalicchio di Sopra, La Magia ,  Lisini e Phenomena di Sesti.

Quanto al Chianti Classico, la degustazione è focalizzata sull’annata 2019 con una rivisitazione del 2018. I vini del millesimo 2019 appaiono di livello eccellente : lungi dall’essere dei semplici  vini entry-level, sono i più trasparenti nel rivelare le caratteristiche specifiche dei diversi territori (altitudine, esposizione, suoli)  e offrono un ventaglio ampio di ottime opportunità a prezzi ancora relativamente contenuti. A soffrire la loro posizione intermedia tra i Chianti classico e le ambiziose Gran Selezione sono le riserve. Alcuni produttori hanno rinunciato a produrne, altri però continuano a proporne di eccellenti, di livello Gran Selezione. Nella personale classifica della Morris il vertice è occupato da un Chianti Classico  Gran Selezione  2016 , il Vigneto San Marcellino di Rocca di Montegrossi (96/100). A quota 95/100 sono poi altre quattro Gran Selezione , rispettivamente il Poggio del Castello di Monsanto e l’Aluigi de Le Cinciole del 2016, il Colonia di Felsina e  il Vigna del Sorbo di Fontodi  del 2017. In loro compagnia è però anche la Riserva Sa’etta 2017 di Monte Bernardi, mentre il punteggio più alto tra i Chianti Classico , con 93/100 , tocca al Castello di Ama 2018 e al Tenuta di Carleone 2018.

Gli Albariño e gli Alvarinho (rispettivamente i nomi spagnolo e portoghese  di questo vitigno) sono l’oggetto del Panel Tasting compreso nella “Buying Guide” di Decanter. Sono compresi nella degustazione i vini  prodotti a partire da questa varietà delle ultime tre annate (2018-2020). Gli Albariño spagnoli provengono fondamentalmente dalle Rias Baixas galiziane, soprattutto nella subregione del Sanés, un terroir umido decisamente marittimo, mentre gli albarinhos portoghesi sono alla base dei Vinhos Verdes prodotti nel Monçao e nel Melgaço,  a quote più alte e  con uno spiccato carattere continentale, con l’eccezione della zona del  Douro. Quest’uva (oggi ammessa anche nell’area di Bordeaux  e presente nel Sud della Francia, in Nuova Zelanda e Uruguay), predilige particolarmente i suoli a base di granito  e ha una notevole sensibilità  alle differenze climatiche dei due terroir. L’albarinho  del Monçao e Melgaço è alla base dei Vinhos Verdes che riportano in denominazione questa sottozona, ma è anche uno dei componenti di quelli provenienti dall’area del fiume Minho, generalmente un blend, etichettati come Vinho Regional Minho: dal 2021 tutti i vini di questo territorio prodotti con albarinho al 100% possono accedere alla DOC. Gli albariños spagnoli sono generalmente più omogenei, sono vini ricchi, dal caratteristico aroma di albicocche, pesche , agrumi maturi e fiori, mentre  gli albarinhos mostrano maggiori differenze tra i migliori e le versioni più semplici. Gli uni e gli altri sono resistenti all’invecchiamento . Sono ben 7 i vini ritenuti “oustanding” (cioè con una valutazione di 95-97/100). In questo gruppo dei migliori, hanno ottenuto 96/100 due vini delle Rias Baixas (il Don Alvaro de Bazan 2018 di Grambazàn e il Veiga de Princésa 2019) e due Vinhos Verdes di Monçao e Melgaço (la selezione Granit Mineral 2019 della Quinta de Soalheiro  e la Reserva 2019 di Santos da Casa della stessa annata).Gli altri tre outstanding, a quota 95, sono altri due alvariños delle Rias Baixas  e un Vinho Verde di Monçao e Melgaço. La qualità dei vini degustati (83) è generalmente molto buona: sono infatti ben 29 i vini “Highly Recommended” (90-94/100) , e solo quattro sono stati valutati “Fair” (82 punti o meno).

Tra gli altri articoli di questo numero, va menzionato quello di Charles Curtis, che presenta un quadro sintetico delle ultime annate (2017-2019) dei Pouilly-Fuissé, unica appellation del Maconnais a potersi fregiare di premier cru. Nella degustazione che  correda l’articolo  quattro vini raggiungono il “classic score” di 95/100 (il Le Clos 2017 dello Château-Fuissé, il La Roche 2014  di Eric Forest,  il Les Ménétrières 2020 di JA Ferret, l’En Vigneraie 2019 del Domaine Leflaive) , e altri quattro, tra i quali il mio “coup de coeur” https://www.winesurf.it/i-22-di-pouilly-fuisse-ovvero-come-ottenere-i-premiers-crus-e-vivere-felici-seconda-parte/, Il Clos des Quarts 2018 dello Château des Quarts , si attestano a 94 punti.

Prima di concludere, occorre dare almeno un cenno agli Asti e  ai Moscato d’Asti, oggetto della degustazione dell’Expert’s Choice (in questa occasione James Button) e ai rosé provenzali, che aprono questo numero . I vini  astigiani assaggiati sono stai apprezzati per la loro freschezza, aromaticità e scarsa alcolicità, rappresentando un relativo unicum nel settore dei vini e degli spumanti dolci. Vini Top sono risultati il Dolce (non millesimato) della Araldica e il Millesimato Dolce 2017 della Cuvage, con 91/100, ma altri cinque hanno raggiunto quota 90 e nessuno dei vini descritti nella degustazione ha riportato un punteggio inferiore a 88/100.

Quanto ai rosé della Provenza, ben 27 hanno raggiunto una valutazione di 90/100 e i due al vertice, il costosissimo Garrus dello Chateau d’Esclans e la Cuvée Prestige Caroline del Clos Cibonne, entrambi del 2019 e della appellation Côtes de Provence, l’unica (a parte quelle con indicazione della sottozona, come Sainte-Victoire) rappresentata nella degustazione, a parte la quasi impercettibile presenza di alcuni vini di altre denominazioni, come i Coteaux d’Aix-en-Provence, i Coteaux Varois en Provence o Les Baux de Provence. Del tutto assenti i rosés di Bandol, Cassis, Bellet o Palette.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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