Stampa estera a portata di clic: En Magnum n.157 min read

Una magnum di La Tour Carnet , cru classé  dell’Haut-Médoc, di proprietà di Bernard Magrez, riempie la copertina, di grande formato, della rivista, come sempre affastellata di molti titoli. Il più grande di essi è  comprensibilmente “Spécial Bordeaux” (ad aprile si è consumato il rito annuale delle primeurs), articolato in quattro servizi diversi : “Il vigneto mai battuto”, “Prova per quattro” (millesimi),”Figeac ritorna”,”La masterclass dei super-Bordeaux”.

Altri titoli più in basso sono  per i vini della Savoia, la cattiva reputazione dello zolfo, le tavole della guida Lebey. In alto: le finezze della grenache e le bandes déssinées di Régis Franc”.

Cominciamo, come è giusto, da Bordeaux . Dopo l’”antipasto” di un bellissimo servizio fotografico  di immagini  di vigne bordolesi , ad aprire è l’appassionato articolo di Michel Bettane  (cuore di questo numero, che si potrebbe sinteticamente  intitolare “dito medio al Bordeaux bashing”) contro il “falso processo” all’appellation più desiderata del mondo.

Per dimostrarne l’ infondatezza , l’articolo che segue, sempre di Bettane, prende in esame quattro millesimi emblematici ( la finezza del 2012, l’equilibrio del 2014, la gloria del 2015 e la razza del 2016) e quaranta etichette di cui innamorarsi.  A completare  il quadro è Thierry Desseauve, con il suo servizio dedicato alla rinascita del grande malato, Figeac, amato dagli intenditori perché i suoi sono vini di lunghezza più che di spessore, come dice Desseauve.

I dieci millesimi “per la storia” di Figeac  sono  l’eterno 1959, il 1998 , “l’anno” di Saint-Emilion,  le sorprese 2001 e 2004, 2009 e soprattutto 2010 , poi la perfezione di  2015 e 2016 , il difficile  ma buon 2017.

Il quarto servizio dedicato ai Bordeaux è  la passerella finale del grand tasting, con le molte etichette di valore a prezzo contenuto del 2016, quelli che Bettane & Desseauve chiamano “super Bordeaux”: accessibili, immediati, di grande piacevolezza, buon potenziale, prezzo contenuto.  Trascurando i nomi più famosi , mi piace segnalare  due Fronsac, appellation ingiustamente trascurata: lo Château La Dauphine ( 25 euro) e lo Château Les Trois Croix, della famiglia Léon  (20 euro), e un “piccolo” Saint-Estèphe, lo Château Capbern  (24 euro)  .

Naturalmente c’è anche il La Tour Carnet (34 euro), a cui è concesso l’onore della copertina. Tra  quelli più costosi, è  impressionante Château Beau-Séjour Bécot 2016 (95 euro).

Non è tra gli articoli annunciati in copertina, ma Bordeaux è ancora protagonista della verticale 1942-2016 di Château Canon , uno degli Châteaux più importanti di Saint-Emilion, oggi di proprietà Chanel. Commentata da Michel Bettane, le degustazione  ha evidenziato un sublime 1952, dopo un 1950 ancora vivo, ma troppo acido e senza l’armonia del precedente, e le due annate degli anni ’40 (1942 charmant, 1948 non valutabile). Un ottimo 1961   anticipa un 1962 magistrale e un 1966 delicato e sensuale. Tra le altre annate intermedie, spicca un magnifico 2001 (ma è stato necessario aprire una seconda bottiglia, essendo la prima difettosa), mentre  la 2010, densa e dai tannini nobilissimi,  è la star delle annate più recenti, anche se  è ancora presto per apprezzare  appieno 2012, 2015 e 2016, anch’esse di grande  spessore.

Il discorso su Bordeaux non è però ancora chiuso, dal momento che occorre citare  anche le  divertenti  bandes déssinées di Régis Franc, questa volta dedicate a “Bordeaux e alle sue tribù”, e la pagina di Wine Lister, che riporta i dati, dieci anni dopo, della grande annata 2009 dei vini di  Bordeaux. Il miglior rapporto qualità-prezzo è quello dei vini del nord (Saint-Estèphe e Pauillac), che si fanno preferire ai Pomerol, che hanno il prezzo medio più alto. Quanto alla qualità, Margaux precede tutti, seguito da tre vini del Libournais (due Pomerol, Pétrus e Lafleur, e Château Ausone, Premier grand cru classé A di Saint-Émilion). Solo quinto, sia pur di misura, un vino di Pauillac,  Mouton-Rotschild.

Della Savoia si occupa Véronique Raisin nella sua “Psychanalyse d’un terroir”: 2100 ettari vitati, tre appellations (Savoie, 88% della produzione, Roussette-de-Savoie, 9%, e Seyssel, 3%, eventualmente completati dal nome del cru), in maggioranza bianchi (70%). Venticinque le varietà coltivate: tra quelle a bacca rossa spicca la mondeuse. Il servizio è completato dalle schede dei “12 apostoli” (i produttori migliori) della Savoia.

E’ ancora la Raisin  a parlare , nell’articolo “tecnico” di questo numero, dello zolfo, il grande imputato di questi ultimi mesi. I solfiti non sono soltanto nel vino, ma dappertutto (nei legumi secchi, nei crostacei, nei pesci seccati, e-l’avreste detto?-in quantità record  nelle albicocche secche).  Per quanto riguarda il vino, lo zolfo lo si incrocia durante  l’intero processo di vinificazione: alla vendemmia, durante la fermentazione, nell’imbottigliamento.  Fa male? L’INSERM ha indicato nello 0,26% la percentuale di francesi intolleranti ai solfiti.  A partire da 11mg. per litro chiunque è in grado di rilevarli,  anche se l’acidità e il maggior grado alcolico tende a renderli meno  riconoscibili.

Gli effetti possono esservi oltre 0,7 mg. per chilo di peso corporeo , ovvero un terzo di bottiglia di vino bianco che ne contenga 200mg./litro. Se ne può fare a meno? Lo si può certamente limitare, e alcuni produttori hanno elaborato cuvées senza solfiti aggiunti. Tra i produttori di Champagne sono ad es. Drappier (Brut Nature) e Fleury (cuvée Sonate), ma gli esempi sono numerosi in tutta la Francia (Loira, Borgogna, Alsazia), e persino a Bordeaux (Château Le Puy).

La grenache è la protagonista de “Le génie du vin”:  una  grande varietà mediterranea, diffusa soprattutto nelle regioni del Sud d’Europa (Spagna, Francia e Italia), dalla straordinaria “ampleur”, dalla tessitura sensuale e l’ incredibile capacità di raggiungere un perfetto equilibrio nonostante la sua elevata gradazione alcolica. Michel Bettane  ne delinea il carattere, riportando 10 grandi espressioni della grenache.  Non vengono solo dal Sud del Rodano (anche se sono la metà), ma anche da Spagna , dalla California e dall’Australia, e soprattutto dalla nostra Sardegna (Bettane cita il Dule di Gabbas e il Nepente di Oliena della Cantina Gostolai).

L’ultimo articolo annunciato dai titoli di copertina è quello dedicato al movimento perpetuo  della  “Tour de Tables”:  sei ristoranti di Parigi più tre”recalés” della Guide Lebey, che smentiscono il principio alla base della Guide: “Se un ristorante è buono è nella Guide Lebey, se non c’è, non lo è”.

E naturalmente i promossi, presentati da Margot Decancel,  nella parte finale della rivista. La sezione gastronomica della rivista comprende anche gli accordi “perfetti”  proposti da quattro sommelier per altrettanti grandi piatti di ristoranti e i suggerimenti di Antoine Pétrus, direttore generale de Le Taillevent per accompagnare  scampi e rabarbaro.

Tra le costanti della rivista,  ci sono i servizi fotografici: il primo, della serie “Grande schermo” è  dedicato  alla culla del vino (Armenia, Georgia, Azerbaidjan);  la “soirée diapo” si concentra su “ciò che è sopra” le grandi cantine cistercensi della Côte d’Or (lussuose sale di degustazione,ristoranti, ospitalità di charme); infine la quindicesima puntata di “Tête de cuve”, foto dei personaggi del vino, che si apre con quella  (mefistofelica) di Michel Rolland  (per fortuna seguita dal volto angelico di Caroline Letrive, Chef de cave di Champagne Ayala).

Poi ci sono le rubriche: le notizie di Mondovino, i ritratti, dedicati a Guillaume Deglise, ex-Direttore di Vinexpo, che va in Borgogna da Albert Bichot , e  al Domaine Laroche, di Chablis,  e la sua ricerca costante della “précision”, sotto il comando del suo Presidente, Thierry Bellicaud, e del direttore tecnico, Gregory Viennois.

Seguono le consuete selezioni delle magnum di En Magnum e i “cartoni da sei” (sei Beaujolais, sei Côtes-du-Rhone e sei whisky da provare).

Ovviamente senza dimenticare le pagine  “di opinione” di Bettane , Nicolas De Rouyn e Michel Puzo. La prima , dal titolo  “Le radici del male”, parla  della tristezza e dell’incompetenza dei nuovi  sacerdoti dei vini devianti spacciati per originali e naturali, che Bettane accosta a certi  discutibili adattamenti modernisti delle grandi opere musicali.

Tema della pagina di De Rouyn sono invece le fake news, che non tralasciano neppure il mondo del vino , come quelle che vorrebbero l’imminente vendita di Bouchard da parte di Henriot (che invece investe in nuovi impianti e nell’acquisto di Beaux Frères in Oregon) e di Château Angélus, anch’essa assolutamente insussitente.

Puzo, infine, commenta il “recupero”, da parte di Hennessy della sigla XXO per i suoi cognac invecchiati (“Più vecchio del vecchio”). Ed è tutto.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


LEGGI ANCHE