Stampa estera a portata di clic: En Magnum, n.12, agosto 20185 min read

In copertina una magnum di L’Irréductible, Bandol rosé del Domaine La Bégude, ad annunciare l’immancabile rassegna dei migliori rosé di Francia.

Ma il titolo più grande è per la domanda:” Il bio potrà salvare il mondo?”, sotto la quale sono tre diversi servizi dedicati al tema: i 20 migliori vini bio secondo Michel Bettane; Cina, il bio XXL; Vegano, la nuova moda verde.

Cominciamo dunque dai rosé: 42 quelli presentati nella master class dedicata a questa tipologia di vini. I migliori per la rivista? Naturalmente è la Provenza a spiccare tra le altre regioni della Francia. Di fatti il punteggio più alto (17.5/20), se escludiamo uno Champagne fuori-quota come La Grande Anné Rosé 2007 di Bollinger, irraggiungibile, con i suoi 19/20, tocca a due provenzali: un famoso Bandol, lo Château de Pibarnon,e un Côtes-de-Provence che, a quanto pare, quest’anno è piaciuto a tutti, il Cuvée Prestige Caroline del Clos Cibonne, del 2016.

Poco al di sotto, con 17/20, tra i rosé fermi, sono altri due provenzali, il Palette di Château Simone 2016, un altro Côtes-de-Provence, il Rebelle 2017 del Domaine de Rimauresq, e un vino della Languedoc,  La Villa di Château La Sauvageonne 2017, insieme con due Champagnes (il Celebris rosé 2007 di Gosset e l’RSRV Rosé Foujita di Mumm).

Come  si è detto, il tema monografico di  questo numero è la viticoltura biologica. Si comincia con un bel servizio fotografico dedicato alle vigne bio di tutto il mondo: dalla Nuova Zelanda  all’Argentina e al Cile, passando per il Belgio, dove Andy e Vanessa Wyckmans hanno creato un domaine vinicolo nel castello di famiglia, lo Château de Bioul.

Nella seconda parte della rivista ( “La nuova frontiera”) si concentrano gli articoli (ben 7) dedicati alla viticoltura biologica. Nel primo, Véronique Raisin fornisce le cifre di questa rivoluzione, con le regioni del Sud a fare da avanguardia e i vini rossi si aggiudicano la parte del leone, con più della metà dei vini bio scelti dai consumatori. Gilles Durand-Daguin affronta le contraddizioni  della vitivinicoltura biologica  in tre capitoli, dedicati rispettivamente alla Borgogna, a Bordeaux e nella Champagne. André Fuster parla dei pesticidi e del mercato della paura, poi ancora Véronique Raisin presenta la nuova moda vegana e le sue certificazioni,prima di  affrontare, in un altro articolo, il problema delle filtrazioni nel mondo del vino bio.

Un ampio servizio fotografico di Mathilde Hulot ci  conduce in Cina, nella provincia del Ningxia,dove il bio è extra-large, con ben 15.000 ettari, 100% bio, in produzione. Infine i migliori vini bio secondo Michel Bettane. Eccone alcuni:  Zind-Humbrecht e Albert Mann in Alsazia, Climens,  Smith-Haut Lafitte , Pontet-Canet, Durfort-Vivens e Château Fonplégade  a Bordeaux, Leroy, Christian Moreau, Joseph Drouhin, Bonneau-de Martray e Jean-Louis Trapet in Borgogna, Michel Chapoutier e Clos des Papes nel Rodano,la maison Roederer nella Champagne, e naturalmente Nicolas Joly   e Alphonse Mellot nella Loira.

Degustazioni e schede di assaggi: il pezzo forte è la verticale di Château Lacombes, Margaux:14 annate , dal 2001 al 2015. Il miglior punteggio: il vino dell’annata 2010, con 18/20, ma , appena mezzo punto sotto, ci sono 2001,2006,2011, 2014 e 2015. Poi le migliori magnum “en bio”: spicca un IGP Vaucluse, del Domaine Gourt de Mautens (18/20).E ancora: Pinot noir della Loira (En Grands Champs, Sancerre rouge di Alphonse Mellot 2015, 18.5/20) e Champagne “da invidiare” (Les Cintres extra-brut 2006 di Philipponnat, 18.5/20). Si chiude con i vini prix-plaisir. Molti i vini “medagliati”.

Tra gli ori, per soli 4.90 euro , ci si può portare a casa un AOC Graves-de-Vayre, lo Château Tillède rouge  2016, ma molti sono i vini compresi entro la fascia dei 6-8 euro, tra i quali un rosso del Médoc, Château Tartuguière rouge 2016 a 6 euro la bottiglia, o, allo stesso prezzo, un bianco da Grand Manseng e Petit Manseng del Domaine Lafitte del 2017.  I grandi servizi fotografici di questo numero: per la “soirée diapo”, Pascale Cassagnes presenta “Au tour de Midi”, immagini  dal Sud della Francia, mentre Nicolas de Rouyn  commenta le  foto-ritratto di Mathieu Garçon di “Têtes de cuvée # 12 (ad aprire la serie, Anne Le Naour, ovvero Meyney, Grand-Puy Ducasse e La Tour de Mons).

Per la gastronomia e i “buoni indirizzi”, “C’était le Sud” ci guida verso le buone soste cibo-vino della Vaucluse e del Gard: la ricetta, ovviamente bio, è di Manon Fleury, alla cucina del bistrot parigino Le Mermoz;mentre Antoine Pétrus , sommelier del Taillevent, dà i suoi consigli per  gli abbinamenti a due piatti della cucina tradizionale, la ratatouille e la tarte aux abricots.

Ma non è finita, perché subito dopo  Jean Dusassoy presenta il difficile accordo tra cognac e carne di bue. Tra  gli articoli brevi che completano questo fascicolo estivo, segnalo quello di Véronique Barbier dedicato ai vini “di sabbia” della Camargue. Nicolas de Rouyn intervista Jean-Baptiste Lécaillon, chef de cave della Maison Roederer, che parla della “caresse” del  Cristal e della conversione alla biodinamica. Nell’articolo che segue , Véronique Barbier  parla con Matthieu Bosset vigneron a Parigi: i suoi Vins de France sono vinificati nella capitale a partire da uve acquistate a Visan, nel sud del Rodano. Sei le cuvées prodotte, tra le quali Turbigo, da uve cinsault , che è piaciuta a Michel Bettane.

Le pagine degli editorialisti: Bettane , in “Addition? Parlons français” discute dell’attacco al vino da parte della lobby salutista-farmaceutica, mentre Nicolas De Rouyn parla delle nuove mode del vino: le cuvées per iniziati, i grandi formati, i pinot neri che  fuori della Borgogna… Per finire le divertenti bandes déssinées di Régis Franc sul popolo delle vigne e le interviste brevi  di Margot Ducancel a quattro giovani chefs che amano il vino.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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