E’ un numero molto denso, questo n.21 della rivista di Bettane & Desseauve. Impossibile rendere conto di tutti i servizi, le inchieste, gli incontri, le degustazioni di questo trimestre. Tre dei servizi principali riguardano territori francesi (i grands crus di Gevrey-Chambertin, Côte-Rotie, Corsica) e altri due di altri paesi (Sud Africa e Libano); le degustazioni, oltre a quelle delle consuete rubriche (le magnum di “En Magnum”, e i “cartoni da sei”, questa volta dedicati rispettivamente ai riesling alsaziani e ai liquorosi della Loira), comprendono diverse “verticali”, vediamole. Haut-Marbuzet, 30 annate, dal 1961 al 2018; Canon-Pécresse, 11 annate , dal 2009 al 2019; Montviel a Pomerol, anch’esso le stesse 11 annate, e poi i Corton di Bouchard Père et Fils, 22 annate dal 1959 al 2019, e i millesimi del Domaine Leflaive (dal 1989 al 2012)-entrambe firmate da Bettane- e , infine, i Pinot noir di Bollinger (la nuova cuvée PN VZ 15 a confronto con il Vieilles Vignes Françaises 2009, La Grande Année 2012 e la Special Cuvée Brut).
Numerosi sono anche gli incontri e i report brevi dalle aziende: le ambizioni di Ivan Massonnat (Domaine Belargus) e i vini della Loira; Eric Monneret e il rilancio dello Château La Pointe a Pomerol; Émilien Boutillat, nuovo chef da cave a meno di 30 anni da Piper-Hedsieck , che sostituisce il carismatico Regis Camus; Château Lagrange, ormai nelle mani del gruppo giapponese Suntory, un bilancio eccellente dei primi 40 anni; Jean D’Arthuys fa accelerare Terrebrune a Bandol.
In un’ampia intervista Vitalie Taittinger, dagli inizi dello scorso anno al comando della storica Maison, spiega perché Taittinger , ritenuta da molti la grande ambasciatrice del classicismo champenois, sia ben più moderna di quel che si immagini.
L’intervista a M.me Taittinger segue a un bel servizio fotografico (il primo di quelli di questo numero) sull’inverno nella Champagne. Un altro riguarda le più belle immagini di Roberto Alvares de Dios dedicate agli champagne (“L’oeil baroque”) su Instagram. Poi naturalmente prosegue, con la sua 21esima puntata, la saga di #Tete de Cuvée, come sempre dedicata ai personaggi del mondo del vino e della gastronomia sui quali si discute di più.
Un rapido accenno ai due itinerari (come sempre molto belle le foto) di “Orizzonti lontani” dedicati ai vini sudafricani (di Louis-Victor Charvet) e del Libano (di Hicham Abou Raad) e al reportage di Nicolas De Rouyn su ciò che si muove sulla “terrasse d’enfer” della Côte-Rotie, prima di soffermarci un po’ di più sulla Corsica e su Chambertin (noblesse oblige).
Il Sudafrica: 130 mila ettari di vigna, il pinotage emblema dell’orgoglio nazionale, poi i Bordeaux blends e lo chenin, il bianco del futuro; gli indirizzi più interessanti, da Klein Konstantia col suo Vin de Constance, Ken Forrester, il genio dello chenin blanc, il tocco francese con le proprietà di Advini a Stellenbosch, Kanonkop, l’ambasciatore del pinotage nel mondo, La Motte a Franschoek, infine gli assaggi che hanno colpito di più l’autore.
Il vino del Libano: una storia plurimillenaria anche se non antica quanto quella georgiana (bellissime le immagini della pressa fenicia scoperta nel Sud del Libano e della cantina chilometrica di Château Ksara), un presente drammatico, nel quale purtuttavia un pugno di produttori resistenti si sforza di produrre vini di alta qualità. Attorno all’emblematico Château Kefraya, portabandiera del vino libanese, al suo quindicesimo lustro di vita, lo Château Ksara, lo Château Marsyas, Coteaux du Liban, il Domaine des Tourelles, Ixsir.
Infine la Côte Rotie, vista attraverso i ritratti di dieci vignerons d’eccezione, alcuni già famosi, altri emergenti: da Stéphane Ogier a Christine Vernay , figlia di Georges, il “salvatore” del viognier di Condrieu, De Rouyn riferisce sulla loro visione di questo bellissimo terroir.
E’ ancora De Rouyn a parlare di Corsica, in un altro reportage, nel quale riferisce sul suo incontro con quattro personaggi della nuova scena corsa. Non i pionieri, come Arena, Imbert o Abbatucci, ma vignerons che danno un’immagine nuova e diversa della viticoltura dell’isola, fin qui stretta dagli stereotipi che la vogliono solo una terra di mirto e cinghiali. Sono uomini come Gérard Courregès, patron del Domaine de Vaccelli, situato nella zona di Sartène. Proveniente da una famiglia proprietaria di un grande domaine in Algeria, Gérard , oggi a 40 anni, firma alcune cuvée ormai ricercate dagli intenditori di tutto il mondo: quelle “haut de gamme”, come Granit 60 e Granit 174 ormai solo per allocation. O come Gilles Seroin, proprietario di Sant’Armettu (il Santo Eremita), che, coadiuvato dal figlio e presto anche dalla figlia, elabora vini di grande personalità nei tre colori, tra i preferiti di Bettane e Desseauve.
La sua famiglia era arrivata dall’Algeria negli anni ’60, e Gilles cominciò come caviste a Aix-en-Provence, prima di dedicarsi alla proprietà paterna in Corsica: solo 12 ettari di terra le cui uve erano consegnate alla cooperativa, gli inizi in una specie di hangar agricolo, nel quale si faceva tutto. Oggi continua il lavoro di ristrutturazione e reimpianto delle vigne, prossima tappa la conversione biodinamica. Sant’Armettu è un luogo affascinante, ancora selvaggio, tra le foreste e il mare, popolato da colonie di cinghiali, dal quale nascono vini puntuti e la sorprendente cuvée L’Ermite (Armettu, in corso). Infine, soprattutto la coppia costituita da Yves Canarelli , proprietario del Clos Canarelli a Figari, e Patrick Fieramonti, associati nell’avventura di Tarra de Sognu (terra di sogno), che hanno visto nei suoli calcarei di Bonifacio la possibilità di creare vini diversi da quelli prodotti sui suoli di granito di altre aree della Corsica. Per i bianchi si usa un assemblage di vermentinu, carcagholu neru,rimenese, biancu gentile e genovese). Tre sono le varietà impiegate per i rossi (sciaccarellu, carcagholu neru e minustellu, questi ultimi due appartenenti alla famiglia ampelografica del mourvèdre). Tarra de Sognu (18,5/20 il 2017) è un assemblage delle tre varietà a bacca rossa citate, ma Canarelli sente forte il fascino dei vini parcellari alla borgognona e progetta di crearne altri da selezioni parcellari a partire da ciascuna delle uve in purezza: sciaccarellu, afferma, è più nello stile di uno Chambolle-Musigny, il carcagholu neru dà vini più in stile Vosne-Romanée, minustellu si avvicina più a un Nuits-Saint-Georges.
Eccoci infine alla “Pychanalyse d’un terroir” di Bettane: questa volta nientemeno che quello dei grands crus di Gevrey-Chambertin. Si può dire qualcosa di nuovo al riguardo? Le osservazioni di Bettane sono sempre calzanti, mai banali . Per lui, ad esempio, nel grande derby che mette a confronto Chambertin e il Clos de Bèze, quest’ultimo spesso prevale quanto a finezza aromatica, ma lo Chambertin raggiunge con l’invecchiamento, una sottigliezza e una finezza di dettaglio ineguagliabili. Gli appassionati troveranno di seguito la scheda di ciascuno dei nove grands crus di Gevrey-Chambertin, ognuno caratterizzato da proprie specificità illustrate in un breve ma efficace ritratto sintetico e accompagnato dal dettaglio dei vari exploitants, e delle singole parcelle, ivi incluse quelle di poche are di vigna: come ad es. il “piccolo” Griotte-Chambertin, solo 2.73 ettari compresi tra il Clos de Bèze e Chapelle, nel quale più della metà (1.6 ha.) appartiene al Domaine Mercier (Domaine des Chézeaux), due parcelle affittate rispettivamente a Laurent Ponsot e André Leclerc, mentre la restante parte è suddivisa tra altri quattro proprietari (solo 800 mq. , sufficienti solo per poche centinaia di bottiglie, per il Domaine Joseph Roty).
Resta poco altro: le notizie, le pagine dei columnist, le vignette sulfuree de “Le peuple des vignes” di Régis Franc.