Una Sibilla non da ascoltare ma da gustare4 min read

Mare a destra, mare a sinistra e nel mezzo un promontorio verde che divide e sovrasta il verde, l’argento e il blu del Tirreno . Siamo a Bacoli, nei Campi Flegrei e il posto dove sono merita una visita  partendo da qualsiasi parte del mondo.

Visto che sono invece partito da Napoli, il viaggio verso questo lembo di terra circondato dal mare e coperto da bei vigneti, campi coltivati, orti e pini secolari non solo è stato breve ma, grazie a Vincenzo Di Meo, pieno di informazioni.

All’arrivo mi attendeva questo suggestivo angolo di mondo, dove la famiglia Di Meo ha piantato e coltiva le sue vigne: un luogo da visitare con piacere e grande rispetto. Con piacere perché passeggiare tra le vigne, con il mare in basso,  a destra e a sinistra è meraviglioso, con rispetto perché la bucolica bellezza che avrete davanti agli occhi nasconde tanta fatica, abnegazione, investimenti.

Vincenzo Di Meo

La Sibilla, cioè l’azienda dei laboriosissimi Di Meo, di fatica e investimenti ne ha richiesti e ne richiede tanti. Nessumo qui sta con le mani in mano: mentre Vincenzo ci porta a giro per vigneti, suo padre Luigi raccoglie fave e piselli per il nostro pranzo che la mamma e il fratello stanno preparando in una cucina attrezzatissima.

Ma lasciamo la cucina e gli odori che ne escono e veniamo ai vigneti: tutti su terreni sabbiosi e limosi, a pochissimi metri (da poche decine a quasi cento) sul livello del mare.  Quasi 12 ettari di vigneto tra proprietà e affitto e i vitigni principali sono falanghina e piedirosso, due uve che potrebbero essere considerate, a torto, solo per vini immediati e piacevoli da bere giovani.

In primo luogo fare vini piacevoli e immediati non è un difetto ma un grande pregio, in secondo luogo sia qui che da tanti altri produttori campani, la falanghina e il piedirosso hanno caratteristiche che li rendono subito bevibili ma con ottime possibilità di maturazione e evoluzione nel tempo.

Bisogna essere chiari: il fatto che tante  uve vengano considerate di scarso pregio perché i vini che danno non sanno invecchiare, è dipeso in passato molto spesso da come si coltivavano le uve e da come si facevano nascere e sviluppare i vini. Per cambiare radicalmente strada non c’è stato bisogno di tecniche da apprendista stregone, bastano rispetto, equilibrio, idee chiare e tanta fatica. Con questa ricetta, in questo luogo bellissimo dei Campi Flegrei, i Di Meo (e per fortuna non solo loro) stanno dimostrando quanto questi due vitigni possano dare.

Ma ritorniamo nei vigneti, perché da soli valgono veramente la visita e le foto che troverete nell’articolo credo  lo dimostrino. Come detto sono su  terreni sabbiosi, con temperature estive sicuramente alte ma con buone escursioni termiche giorno-notte e sono stati allevati per dare rese molto basse per pianta, cercando sempre di mantenere le piante in equilibrio.

La vigna la segue soprattutto papà Luigi, mentre Vincenzo, che segue la cantina dal 2010, è enologo ma soprattutto è uno con le idee chiare e la mano leggera e rispettosa sui vini. Per lui i due vitigni che coltiva non hanno bisogno di legno per esprimersi (in un caso ci sta provando, con risultati, anche per lui, non molto convincenti) e quindi i suoi vini, anche quelli “più da invecchiamento”  sono schietti ma non semplici, anzi. Alcune vecchie bottiglie degustate ci hanno fatto capire cosa possono dare e come possono maturare la falanghina e il piedirosso.

Per esempio la Cruna DeLago 2011,  falanghina in purezza che esce sempre in ritardo rispetto alla “base”, ha bellissime note di idrocarburi , una freschezza sorprendente, mentre la 2008 è sapida, stuzzicante, molto equilibrata e ancora giovanissima. Questi due vini daranno per tutto l’arco del pranzo delle continue e bellissime sorprese, cambiando spesso note aromatiche ma mantenendo e anzi approfondendo la loro complessità. Invece l’ultima annata, la 2016, è ancora un po’ “imbalsamata” ma piena di potenza e promesse, giovanissima. Tre vini che dimostrano cosa la falanghina possa dare.

Sul versante Piedirosso, il Vigna Madre 2011 sembra proprio un pinot nero di ottimo livello, anche e soprattutto nella vellutata componente tannica, mentre il 2013 per adesso è di una giovinezza impressionante e insiste su intensi aromi fruttati. Molto buono il Piedirosso (“base”) 2016 che mostra le classiche note pepate e speziate accanto ad una freschezza stimolante.

Ma il bello della degustazione dei vini della Sibilla  è stato che è continuata per pranzo e che pranzo! Sembrava di una semplicità unica ma è servito a farci capire i sapori e gli odori della loro campagna: siamo partiti con una verza ripiena di verdura, poi tagliatelle con i piselli freschi, uno strabiliante coniglio in umido concludendo con  formaggi giovani e fave fresche.

Aldilà della bonta dei piatti di mamma Di Meo la cosa bellissima è stato notare come sia le falanghina più vecchie, sia i piedirosso più maturi, fossero perfetti con tutti i piatti. Forse un sommelier mi vorrà smentire ma i vini, vuoi per sapidità e giusta freschezza, vuoi per corpo elegante e non invadente, riuscivano sempre a sposarsi  con le caratteristiche delle materie prime o dei piatti.

I vini non sono migliorati “grazie al cibo” ma si sono incontrati ed hanno creato un amalgama che fa riflettere su quanto sia importante fare vini come questi, nati per essere goduti a tavola con piatti estremamente diversi, ma perfettamente a loro agio nel tempo in degustazioni professionali.

Date retta a me, la Sibilla, più che ascoltarla, gustatela!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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