Si scrive Vermouth di Istine, si pronuncia (a Radda in Chianti) Vermutte!3 min read

Fa una certa impressione leggere su un’etichetta la parola Vermouth insieme al nome di un’azienda vinicola chiantigiana, Istine (che si pronuncia ìstine, dev’essere roba etrusca…).

Fa impressione anche per quel “di Radda” scritto in rosso, a suggerire che il Vermouth in questione è legato a un territorio e alle sue caratteristiche.

Sembra esserci un po’ di sano orgoglio, insomma, nella specialità di Angela Fronti che ha messo queste (prime?) milleottocento bottiglie accanto alle sue quasi quarantamila di Chianti Classico. In un certo senso sono imbottigliamenti che vanno in direzioni opposte: da una parte Angela, come tanti altri bravi produttori, presenta i suoi vini come pura  espressione del territorio tanto che individua ben tre vigneti degni di etichette dedicate. Qui il terroir deve cantare da solo. Dall’altra c’è la voglia di esprimere qualcosa di più personale, di metter su una ricetta quasi artistica. Del resto il vermouth è il residuo di una tradizione secolare, che usava il vino come veicolo per altri ingredienti, spesso a scopo medicinale. Palestra di abilità per monaci e farmacisti, in tempi più recenti ha indubbiamente perduto smalto a favore appunto del “vino puro”.

Ma ci sono segni di rinascita. E’ partita l’anno scorso la pur discussa Indicazione Geografica “Vermouth di Torino”. E nel frattempo nascono iniziative insospettabili proprio nel nostro mondo del vino, come “Antica Torino” dove ha messo più che uno zampino Filippo Antonelli di Montefalco.

Angela è partita da un elemento più squisitamente locale, beninteso, quel suo vino base che alla fine costituisce un buon tre quarti del vermouth. Tuttavia non ha giocato da sola. Intanto l’idea nasce dallo stimolo di tre amiche: Stefania Pianigiani, Sabrina Somigli e Rachele Tondini, che vedete in foto. Amiche e gastronome, ma anche professioniste di talento: Stefania è nota giardiniera del Chianti (si definisce enogastrogiardiniera, e per fare un vermouth è difficile immaginare di meglio); Sabrina ristoratrice, con percorso familiare e poi personale; Rachele grafica (che in quanto tale ha dato più che l’ispirazione, come potete vedere dall’accattivante confezione). E di maschietti non ce ne stanno? Come no, qui entra in azione Fabio Antonini, barman e socio del ristorante I cinque sensi di Firenze. Fabio colleziona in particolare gin e vermouth, e una sosta nel bar di via Pier Capponi, giusto accanto al ristorante, ve ne può dare un’idea. Ha suggerito, discusso, provato e riprovato: il vermouth ha una ricetta, gli ingredienti vanno scelti, dosati e gestiti. Infine per la vera e propria realizzazione commerciale è partita la collaborazione con la storica distilleria Bordiga di Cuneo, una garanzia.

E il prodotto è convincente. La base è un rosato da Sangiovese 2016 di Istine, dal colore accattivante ben evidenziato dalla scelta del vetro trasparente. La retro etichetta dichiara l’uso di caramello, ma a vista non l’avrei nemmeno sospettato. Il profumo è decisamente floreale con freschezza quasi balsamica, quindi anche in sintonia coi ricordi del Chianti che possiamo avere, assaggiando i vini o calpestando l’elicriso durante una passeggiata lungo i vigneti. Leggo la lista delle “botaniche” snocciolate in etichetta e mi sembra di distinguere violetta, rosa e lavanda. In primo piano anche sentori erbacei classici, come genziana e naturalmente assenzio.

Molte altre essenze rimangono più sullo sfondo, e mi sembrano quelle (prevalentemente spezie ma non solo) che nella mia memoria caratterizzano più marcatamente tanti altri vermouth. Per i fanatici della degustazione variare la temperatura di servizio di un prodotto di questo livello può essere un gioco divertente che mette in risalto questo o quell’aroma. Il gusto è fine, molto equilibrato tra alcol e zucchero. Oltre che inevitabilmente amarognolo è fresco di acidità vinosa: un altro particolare di distinzione, che rende questo prodotto anche pericolosamente beverino. Pericolosamente per il fegato, la patente e il portafoglio.

Lo si trova – con un po’ di fortuna, vista la tiratura – sui venticinque euro per 0,75. Come prevedibile il finale aromatico è molto lungo, vale la pena di apprezzarlo in purezza. Astenetevi finché potete da noccioline, olive, patatine e quant’altro.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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