Settembre Rotaliano: il Teroldego all’esame di maturità6 min read

Tre vitigni autoctoni si dividono le valli trentine: il Marzemino, dal cuore della Vallagarina, la Nosiola dalla Valle dei Laghi e il Teroldego, principe della Piana Rotaliana.  Il Settembre Rotaliano, manifestazione svoltasi il 3-4 settembre scorso a Mezzacorona ci consente di fare il punto sulle produzioni di Teroldego.

Circondato da uve per bollicine il Teroldego estende le sue vigne principalmente in questa vallata solcata dal torrente Noce e dall’Adige, che nei secoli hanno contribuito a creare un suolo alluvionale di medio impasto arricchito dal calcare del monte franato a causa dell’erosione provocata dal Noce in zona di Mezzolombardo.
Goethe definiva la Piana Rotaliana “il giardino vitato più bello d’Europa” e non aveva tutti i torti anche se balza subito evidente che la bellezza delle pergole trentine ricche di grappoli di Teroldego segnala subito una evidente abbondante produzione. Tale abbondanza non inficia assolutamente la mole colorante di quest’uva, chiamata da austriaci e tedeschi Tirolgold, ovvero l’Oro del Tirolo, proprio per la grande capacità tintorea di quest’uva in un’area dai colori tenui. Del resto la leggenda vuole che questo vino sia il sangue del drago ucciso dal Conte Firmian a Castel Gottardo, sul Monte di Mezzocorona! Ma tanto valore epico coincide con un valore enologico ed organolettico all’altezzza della leggenda?

Le degustazioni tenute mi danno risultati ancora non assoluti. Conosciamo il Teroldego per la sua piacevolezza giovanile, colore impenetrabile,  aromi frutto/speziati con inflessioni floreali, vibrante acidità, medio tannino e una piacevole chiusura amarognola. La scommessa dei produttori è di poterne avere un vino che sappia sfidare il tempo, l’esame di maturità. Una interessante degustazione alla cieca condotta da Michele Benini ci viene in soccorso per capirci qualcosa.

Un po’ di esperienza l’abbiamo già, diversi teroldego già degustati negli anni, spesso di aziende non presenti in questo contesto. Ma qui siamo a Mezzocorona, nella vigna rotaliana, quindi ciò che è presente è assolutamente rappresentativo. 436 ha vitati a teroldego doc, più altri per l’igt evidentemente, visto che solo la Cantina di Mezzocorona ne produce di provenienza da 400ha circa, per la soddisfazione sia del canale Horeca che del canale moderno.
Si inizia con il 2010 di Cipriano Fedrizzi, vino facile e rappresentativo dei caratteri giovanile del vitigno. Bella vena speziata e amarognola, vivida acidità, approccio molto immediato e rampante. Gli assaggi del post degustazione della stessa azienda per l’annata 2009 mi hanno convinto di più, più pieni e persistenti, meglio equilibrati e comunque molto schietti. Infatti il vino seguente in degustazione, il Vigilius di De Vescovi Ulzbach, mostra più presenza olfattiva con toni più maturi, sentori anche di spezie dolci e boisèe oltre ai caratteri di lavanda e mirto, appena più amaro dei precedenti nel finale, una discreta ricchezza ma senza eccessi. Il Sangue di Drago ’08 di Marco Donati vorrebbe richiamare il passato epico ma non è coinvolgente come  la leggenda vorrebbe. Sicuramente è dotato di una bella verticalità olfattiva, con mirtillo, cannella e lavanda protagonisti, all’assaggio è inquieto, arrembante, con una chiusura decisamente aggressiva: il drago non è ancora domo!  Impostazione moderna e tonica per il Pini ’08 di Zeni, tintoreo nel bicchiere, con toni di china, liquirizia, rosmarino e un filo di piccoli frutti a bacca nera, il tutto avvolto da una coltre cioccolatoso/affumicata, bella potenza gustativa per corpo e tannini, discreta persistenza. Più espressivo e tipico Le Albere ’09 della stessa azienda, che esalta meglio gli attributi del vitigno.
Finora non possiamo parlare di vini con particolare longevità e da nessuno dei campioni è emerso un carattere terziario. Con i campioni dell’annata ’07 iniziano ad affiorare le prime evidenze. Gaierhof propone la Riserva 2007, piuttosto stanca con un tono affumicato e resinoso di troppo e un tannino che gratta ancora. Sarà la bottiglia? Anche il 2007 Maso Scari del Barone de Cles non sortisce l’ammirazione dei partecipanti: ottimo il colore,  confettura di frutti rossi, e frutti sotto spirito, cuoio ed erbe amare che completano anche un assaggio dal gusto amarognolo pronunciato.
Tutt’altra espressione dal Riserva Superiore Diedri 2007 di Dorigati. Frutti neri, carattere balsamico, rosmarino, lavanda, mirto, tutto in aspetto maturo ma ben disposto. Inoltre un bell’equilibrio nel corpo con ottimi tannini e buona acidità a fronte di un opportuno calore alcolico.  La Cantina Rotaliana di Mezzolombardo propone il Clesurae ’07: le aspettative sono importanti ma l’approccio al naso mi lascia perplesso per un eccesso di legno con toni “nescafè” e cacao molto evidenti che prevaricano tanto un buon vino con sentori di confettura di frutti neri, con un bel tannino ed una buona acidità, ma chiude di legno! Ed ecco il 7 Pergole di Villa Corniole. Anche ora un legno decisamente prevaricante, poco frutto al confronto, segnali di cuoio e tabacco e fondo cioccolatoso e all’assaggio sospette pungenze. È un 2006 in cui il vino sembra aver ceduto mentre sono ancora troppo vivide le risultanze dei legni. La chiusura di degustazione è positiva. Il Nos ’05 della Cantina di Mezzocorona rende grazia alla degustazione. Sei anni ottimamente portati, una apertura di credito per la maturità del Teroldego interessante. Una produzione tecnicamente molto attenta, forse ancora un po’ chiusa, con tannini ancora tosti, da addomesticare nel tempo, ma legati ad una acidità vigorosa ed a una rotondità alcolica opportuna. L’archetipo del descrittore mirtillo del teroldego, floreale di rosa appassita, balsamico, sentori di rosmarino selvatico e lavanda, chiusura di liquirizia.

Se la longevità del Teroldego dipendesse da questo vino espremerei subito un giudizio definitivo ma l’excursus tra vini più o meno vestiti tecnologicamente mi induce a rinviare al prossimo settembre per le conferme.

Le degustazioni seguenti, al banco di assaggio, hanno evidenziato nei miei appunti la piacevole rusticità del vino dell’Azienda Luigino Betta, semplice ma caratteristico, il tratto amarognolo del Teroldego di Elio Endrizzi contro la modernità nell’assaggio della Vitivinicola Endrizzi, forte di legno. Cavit conferma la sostanziale correttezza dei vini, tecnicamente ineccepibili ma forse senza troppa anima. Discorso a parte per Redondèl. Paolo Zanini, Vignaiolo “illuminato”, mi stupisce intanto per una sorprendente versione in rosato del teroldego, l’Assolto, dal tono speziato floreale intrigante intrecciato da sentori di erbe aromatiche. Il Dannato 2007 mostra una bellissima acidità;  legno grande, tannini intensi e calore alcolico con ottima persistenza dei sentori speziati tipici. Il Beatome pecca di eccesso di legno ma alla base il frutto c’è tutto e poi è un 2006 caldo e tonico. Un altro buon viatico per intravvedere le strade del Teroldego nel tempo.

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE