Sardegna fantasma enoico6 min read

Siamo particolarmente felici di accogliere questo scritto di un bravissimo produttore sardo, Francesco Sedilesu. Grazie a questo e soprattutto grazie a tutto quanto da oggi in poi Francesco vorrà inviarci o farci conoscere, cercheremo di rendere un po’ meno “fantasma” una terra enoica che ha produzioni di altissima qualità ma di cui quasi nessuno parla. Grazie Francesco!

 

 

L’isola  ha da tempo attitudini da fantasma, iniziando dal caso leggendario di tanti anni fa del metereologo RAI che  nella carta geografica alle sue spalle la copriva con una delle sue orecchie a sventola. Più di recente il Sole 24 ore nel 2012 che pubblicava più volte la cartina d’Italia con il solo stivale, oppure in un salone internazionale dell’ortofrutta a Berlino nel 2012, su un pannello luminoso della Fedagromercati, non c’è l’isola. 

Per non parlare di ristoranti e negozi di food italiano a New York  che espongono solo lo stivale: questo evidentemente ha dato un calcio all’isola mandandola fuori vista.

 

Noi sardi memori di una storia che spesso ci ha visti succubi e dimenticati da potenti e dominatori, ci atteggiamo a vittime. La nostra reazione, per uscire da questa condizione di oblio, è spesso la ricerca di cose sensazionali , suggestive, che ci riguardano e  pensiamo possano richiamare l’attenzione su di noi e  magari ci rendano, a noi stessi, più fiduciosi, più sicuri della nostra identità, più forti.

Ecco quindi, l’isola oltre le colonne, la leggendaria Atlantide raccontata da Platone, altro non sarebbe che la Sardegna… oppure i nostri centenari e la zona blu, e venendo al vino  si racconta dei vinaccioli di 30.000 anni fa.  

 

Notizie alcune fantasiose, altre vere e rispettabili ma nel mondo reale, ad esempio del mercato del vino, come siamo messi? Conosciamo la nostra realtà? Sappiamo quali sono le nostre risorse e sappiamo valorizzarle? Se la misura del mercato del vino è oggi l’identità di un territorio i nostri vini sono identitari?  Tutti ci riempiamo la bocca di questi aggettivi riguardo al vino: identità, tipicità, territorio.

 

Crediamo  che la nostra isola, perdente in un mercato  di quantità a basso prezzo, sia fatta apposta per rispondere a queste nuove esigenze, perché  è un autentico paradiso fatto di alberelli secolari ancora a piede franco sulle sabbie del Sulcis , esposti ai venti salini sulle colline di Bosa e  sulle sabbie povere  della Gallura e sui monti a due passi dal mare dell’Ogliastra e della Romangia,  all’interno in Barbagia dove i vigneti ad alberello confinano con il Supramonte.

Dato reale che rischia però di essere soltanto un’icona folkloristica, in quanto i vini, dopo le chiacchere promozionali, devono raccontare questo territorio sia con le denominazioni che con la loro qualità. Se non lo fanno rischiamo di andare incontro, nel migliore dei casi, a una breve primavera, a una moda che passa presto.

 

Esempio: la Doc Cannonau di Sardegna non risponde per niente a questa necessità, è estesa a tutta l’isola. Isola che  Marcello Serra  definiva “quasi un continente”, tale è la sua varietà di territori. A poco serve  la zona classica indicata, dal disciplinare della DOC nel nuorese, in quanto, essa stessa, ancora troppo estesa e varia.  Le tre sottozone sono purtroppo poco valorizzate.

 

In vista del  Vinitaly di quest’anno è stata convocata dalla regione la Master of Wine Jo Ahearne che ha girato  in lungo in largo la Sardegna assaggiando i vari cannonau e relazionando su di essi a una tavola rotonda durante la manifestazione a Verona dicendo in soldoni che “C’è il cannonau di pianura e quello di montagna, quello delle coste e quello dell’interno, come si fa a riconoscere quello migliore?”  

 

L’assessore all’agricoltura della regione Falchi, ha pensato di risolvere il problema sollevato dalla Ahearne (che in sostanza chiedeva di nominare i diversi cannonau perché siano riconoscibili, eventualmente nell’etichetta perché così si fa, in ogni dove ), cancellando l’essere di questi vini legati al territorio, sostituendone  ad essi uno solo omogeneo, così degno di portare il marchio Sardegna: “Non bisogna confondere il consumatore, non serve differenziare i vari territori di origine, serve un prodotto omogeneo, deve diventare cannonau di Sardegna”.

 

Bisogna dire che noi Sardi non sempre ci piangiamo addosso, la sventura qualche volta  la buttiamo sul ridere, ma stavolta non ci resta che piangere e piangiamo  due volte in quanto dopo averla pagata, la consulente, abbiamo  preso al rovescio le sue indicazioni.

 

La verità è che l’assessore non parla a caso, questa Doc del Cannonau di Sardegna rappresenta  la precisa volontà del mondo del vino sardo di presentarsi sul mercato in forma orizzontale: tutti uguali e mediocri sotto il marchio Sardegna. Dappertutto invece ci si presenta a piramide dove la punta, che è la qualità, spacca il mercato e la base segue appresso e, cosa non trascurabile,  realizzando la maggior parte del fatturato.  Vedi Barolo e Brunello che trascinano le loro regioni e l’Italia tutta. Si lascia alla singola cantina il compito di distinguersi, ma allora a cosa servono le denominazioni? Tiriamo l’aratro con un bue solo.

 

Certo è, che di questo passo,  meritiamo di essere dei fantasmi  enoici ancora a lungo. La mala sorte della nostra terra rimossa dalle carte che vogliamo sconfiggere è solo uno spauracchio che utilizziamo per non dare all’altro un vantaggio, perché  ci fa paura e ci provoca invidia, invece che considerarlo una risorsa.

 

Neanche al buon Dio diamo ragione, reo di aver distribuito talenti diversi ai vari territori: a chi la quantità  ad altri la qualità. Non si può avere tutto. Negli ultimi quindici anni sono nate in Sardegna tante piccole e medie realtà spesso in zone altamente vocate; si fanno vini di territorio e il mondo del vino sardo risulta adesso più complesso, interessante e attira investitori dall’estero.

Queste nuove espressioni potrebbero dare un grande sviluppo alle DOC se riconosciute e inquadrate chiaramente in etichetta a vantaggio del consumatore. Il vino si sa, è lui che comanda, bisogna partire da un vino di quel dato territorio e non da valutazioni politiche: un vino real e non legal come dicono in Francia. Se si percorresse questa strada la realtà potrebbe andare a braccetto con la suggestione e fare della Sardegna, finalmente, un terra del vino appetibile agli altri come partner di cui fregiarsi non da dimenticare sulla carta geografica.


Francesco Sedilesu

Francesco Sedilesu è sardo, di Mamoiada. Produttore di vino ma anche penna profonda e grande conoscitore della sua isola.


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