Forse le sfide più esaltanti del vino sono quelle contro la banalità: ci sono uve segnate dal passato abbondate e sempliciotto e da un presente di metamorfosi se pensi nel caso nostro a quanto Montepulciano d’Abruzzo sia servito in altre regioni negli ultimi anni.
Ora se voi siete in viaggio sull’autostrada Roma e Teramo notate all’altezza di Popoli l’abbassamento della temperatura: qui, nello snodo tra la Maiella, il Gran Sasso e i monti della Laga c’è Valle Reale, l’azienda di 70 ettari condotta da Luciano Pizzolo fondata nel 1999 con dieci vendemmie imbottigliate alle spalle. Una delle cinque (Pietrantonj, Cataldi, Gentile e Presidium) della piccola tribù del Montepulciano venuto dal freddo.
Leonardo è qui da dieci anni, da Verona la famiglia lo ha catapultato qui in Abruzzo dove si è ben acclimatato e fatto le sue esperienze riuscendo anche a fare radicali correzioni di rotta, come espiantare l’inutile merlot che su questo piccolo altopiano a 350 metri di altezza veniva anche un po’ male.
L’idea è quella di fare un Montepulciano estremo, si punta sulla vecchia vigna San Callisto con il classico tendone abruzzese piantato su terreno sassoso a calcareo 40 anni fa. Vigne vecchie, dunque.
La sfida alla quantità che si fa tra il mare è la montagna, dentro questa valle, è piena di rischi: si vendemmia sempre nella prima settimana di novembre, l’ultimo grappolo della 2004 fu tirato giù il 17 novembre per la precisione. Inoltre l’azienda è a conversione biologica.
Quali sono le conseguenze di questa cornice: l’acidità totale vicino a 7, l’estratto sui 30, l’alcol a quota 13,5.
I numeri si possono tradurre usando la papilla come scanner: il San Calisto, nelle versioni 2004 e 2006 che abbiamo provato, ha una prepotente spinta acida, assolutamente opposto alla morbidezza a cui ci ha abituato il senso comune di questa uve nelle sue banali e diffuse espressioni, grande bevibilità e leggerezza, tannini presenti ma ben risolto. E, devo aggiungere, con il legno ben dosato dopo la fermentazione alcolcica che dura poco meno di venti giorni. Dopo 18 mesi in barrique e 6 di bottiglia il San Callisto si presenta con il fascino dei vini di montagna: sottile e bevibile, senza però perdere il carattere ruspante del Montepulciano.
Il legno ci appare molto ben dosato: al naso non è invasivo, resta in bella evidenza una frutta scura. Si affaccia con un po’di spezie e notarelle balsamiche che però non dettano il tema olfattivo, ma lo ingentiliscono e lo rendono cangiante. In bocca poi l’ingresso non ha mediazioni dolci, l’acidità gratifica il palato rinfrescandolo con piacevoli rimandi al fruttato avvertito dal naso, la chiusura è pulita, lievemente amarognola.
Un Montepulciano non da meditazione (questa espressione mi rimanda chissà perchè a forme di onanismo), ma da bere tosto su capretti, agnelli, paste al ragù napoletano in una cucina senza se e senza ma.
Abbiamo voluto presentarvi questo rosso nel Nord del Regno delle Due Sicilie per offrirvi un altro esempio, oltre a quelli già noti e consolidati negli anni ‘90, di come questa uva sia davvero straordinaria e ricca di potenzialità. L’importante, in questo come in tutti i casi che riguardano la viticoltura in territori vocati, è non rassegnarsi alla banalità, cercare carattere e, soprattutto, non avere l’ossessione di piacere a tutti.
Parlo dei Giovani Igp? Certo, ma anche del nostro San Calisto: la 2004 da bere a vagonate, la 2006 buona, magari da aspettare ancora un po’.
Valle Reale, Popoli. Contrada San Calisto
tel .085.9871039.
www.vallereale.it.
Ettari: 70 di proprietà di cui 60 vitati.
Bottiglie prodotte: 380.000.
Vitigni: trebbiamo e montepulciano.
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