San Calisto, il Montepulciano di montagna di Valle Reale a Popoli3 min read

Forse le sfide più esaltanti del vino sono quelle contro la banalità: ci sono uve segnate dal passato abbondate e sempliciotto e da un presente di metamorfosi se pensi nel caso nostro a quanto Montepulciano d’Abruzzo sia servito in altre regioni negli ultimi anni.
Ora se voi siete in viaggio sull’autostrada Roma e Teramo notate all’altezza di Popoli l’abbassamento della temperatura: qui, nello snodo tra la Maiella, il Gran Sasso e i monti della Laga c’è Valle Reale, l’azienda di 70 ettari condotta da Luciano Pizzolo fondata nel 1999 con dieci vendemmie imbottigliate alle spalle. Una delle cinque (Pietrantonj, Cataldi, Gentile e Presidium) della piccola tribù del Montepulciano venuto dal freddo.
Leonardo è qui da dieci anni, da Verona la famiglia lo ha catapultato qui in Abruzzo dove si è ben acclimatato e fatto le sue esperienze riuscendo anche a fare radicali correzioni di rotta, come espiantare l’inutile merlot che su questo piccolo altopiano a 350 metri di altezza veniva anche un po’ male.
L’idea è quella di fare un Montepulciano estremo, si punta sulla vecchia vigna San Callisto con il classico tendone abruzzese piantato su terreno sassoso a calcareo 40 anni fa. Vigne vecchie, dunque.
La sfida alla quantità che si fa tra il mare è la montagna, dentro questa valle, è piena di rischi: si vendemmia sempre nella prima settimana di novembre, l’ultimo grappolo della 2004 fu tirato giù il 17 novembre per la precisione. Inoltre l’azienda è a conversione biologica.
Quali sono le conseguenze di questa cornice: l’acidità totale vicino a 7, l’estratto sui 30, l’alcol a quota 13,5.
I numeri si possono tradurre usando la papilla come scanner: il San Calisto, nelle versioni 2004 e 2006 che abbiamo provato, ha una prepotente spinta acida, assolutamente opposto alla morbidezza a cui ci ha abituato il senso comune di questa uve nelle sue banali e diffuse espressioni, grande bevibilità e leggerezza, tannini presenti ma ben risolto. E, devo aggiungere, con il legno ben dosato dopo la fermentazione alcolcica che dura poco meno di venti giorni. Dopo 18 mesi in barrique e 6 di bottiglia il San Callisto si presenta con il fascino dei vini di montagna: sottile e bevibile, senza però perdere il carattere ruspante del Montepulciano.
Il legno ci appare molto ben dosato: al naso non è invasivo, resta in bella evidenza una frutta scura. Si affaccia con un po’di spezie e notarelle balsamiche che però non dettano il tema olfattivo, ma lo ingentiliscono e lo rendono cangiante. In bocca poi l’ingresso non ha mediazioni dolci, l’acidità gratifica il palato rinfrescandolo con piacevoli rimandi al fruttato avvertito dal naso, la chiusura è pulita, lievemente amarognola.
Un Montepulciano non da meditazione (questa espressione mi rimanda chissà perchè a forme di onanismo), ma da bere tosto su capretti, agnelli, paste al ragù napoletano in una cucina senza se e senza ma.
Abbiamo voluto presentarvi questo rosso nel Nord del Regno delle Due Sicilie per offrirvi un altro esempio, oltre a quelli già noti e consolidati negli anni ‘90, di come questa uva sia davvero straordinaria e ricca di potenzialità. L’importante, in questo come in tutti i casi che riguardano la viticoltura in territori vocati, è non rassegnarsi alla banalità, cercare carattere e, soprattutto, non avere l’ossessione di piacere a tutti.

Parlo dei Giovani Igp? Certo, ma anche del nostro San Calisto: la 2004 da bere a vagonate, la 2006 buona, magari da aspettare ancora un po’.

Valle Reale, Popoli. Contrada San Calisto
tel .085.9871039.
www.vallereale.it.
Ettari: 70 di proprietà di cui 60 vitati.
Bottiglie prodotte: 380.000.
Vitigni: trebbiamo e montepulciano.

Questo articolo viene pubblicato contemporaneamente su

http://www.winesurf.it/
http://www.lucianopignataro.it/
http://vinoalvino.org/

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE