Quest’anno i nostri assaggi friulani ci hanno portato anche nel mondo dei vini rossi, in particolare gli autoctoni e cioè Refosco dal Peduncolo Rosso, Schioppettino, Pignolo e addirittura Tazzelenghe. I vini non erano moltissimi ma comunque una sessantina abbondante di campioni ci hanno permesso di farci un quadro abbastanza preciso.
La prima cosa da far notare è che stiamo parlando di pochi ettari nel complesso del vitigno Friuli, complessivamente meno di mille (il refosco è attorno ai 700, lo schioppettino sui 150 e tra pignolo e tazzelenghe siamo nell’ordine delle decine di ettari) e considerando che solo di merlot ce ne sono più di 2000 e se passiamo ai vitigni bianchi il pinot grigio arriva a 8000 ettari, siamo di fronte a produzioni importanti e addirittura basilari per molti ma non certo con un peso decisivo sull’economia regionale.
In realtà stiamo parlando di vini molto “furlani” cioè prodotti per orgoglio regionale, per mantenere intatta una tradizione o (nel caso del pignolo) per rinnovarla. Vini che in generale sfuggono alle morbidezze e alle aromaticità precostituite di tanti vini rossi italiani.
Schioppettino
Partiamo dallo Schioppettino, vino/vitigno che trova nella zona di Prepotto il suo punto focale ma che comunque è piantato anche in zone (soprattutto dei Colli Orientali) dove il clima è abbastanza fresco per permettergli di esprimere i suoi particolari aromi, in primis la classica nota pepata. Invece proprio questa nota non è stata al centro dei nostri assaggi, proponendosi ogni tanto ma sempre affiancata da frutto maturo e, in qualche caso dai sentori del legno. Non ne abbiamo degustati molti ma non abbiamo trovato un chiaro filo conduttore e dal punto di vista qualitativo siamo sulla sufficienza e poco più.
Pignolo
Invece nei Pignolo degustati il filo conduttore esiste, eccome! Tutti a questo punto pensano ad una tannicità esplosiva e invece il minimo comun denominatore dei Pignolo degustati, sia giovani che invecchiati è un’evoluzione verso tannini sempre importanti ma non astringenti, ruvidi o amari. Certo non siamo di fronte ai tannini di un pinot nero borgognone ma il cambiamento climatico e una maggiore attenzione in vigna e in cantina sono riusciti a cambiare la faccia di questo vino e a renderlo non solo abbordabile, ma anche complesso al naso e dinamico al palato. Una vera sorpresa, in positivo.
Tazzelenghe
Come una sorpresa è stato l’unico Tazzelenghe in degustazione, un vino che ci aspettavamo ruvido, squilibrato e aggressivo e invece si è dimostrato corposo, potente ma ben bilanciato, anche in acidità.
Refosco dal Peduncolo Rosso
Veniamo al Refosco, dove i campioni in degustazioni erano quasi 40, provenienti da varie zone friulane. Come accennavamo sopra siamo attorno ai 700 ettari e questo permetterebbe al vino di avere un mercato anche più ampio di quello regionale, a condizione che i produttori non cerchino di piegare il vitigno alle loro “voglie” di vino da invecchiamento e magari più “internazionale” che “furlano”. Cerchiamo di spiegarci: se il refosco ha buona acidità e tannicità viva ma non certo “pignolesca”, usare legno nuovo, portare a maggiore maturità le uve, insomma cercare di rendere più rotondo e gradevole il vino, può andar anche bene ma basta non esagerare. Se trovi dei Refosco che mancano di freschezza o che non mostrano la stuzzicante aromatica del vitigno, che senso ha berlo e, in definitiva puntare su quest’uva? Tanto vale usare il merlot. Intendiamoci, quelli buoni, reattivi, dinamici e di buona freschezza ci sono ma un filo conduttore è molto difficile da trovare.
Purtroppo invece è stato facile trovare diversi vini con chiari difetti aromatici, dal brett in avanti: su quasi 40 vini degustati oggi non è accettabile trovarne più del 10% da non poter mettere sotto il naso e non parliamo di cantine nate ieri. Insomma, tra i Refosco dal Peduncolo Rosso abbiamo trovato buoni e buonissimi vini ma anche diverse contraddizioni che andrebbero armonizzate e sanate.
In definitiva è stata “un incontro” molto variegato ma crediamo che il meglio sia davanti a noi e quindi ripeteremo sicuramente l’esperienza.