Roccapesta: una certezza in Maremma5 min read

La prima volta che visitai Roccapesta, circa 5-6 anni fa,  pensai “Speriamo che tutta questa passione porti a produrre anche ottimi vini”. In effetti si capiva che Alberto Tanzini era uno che stava facendo molto sul serio, ma ancora i vini pagavano un dazio non tanto di gioventù quanto di estremo attaccamento e passione alla causa. Un po’ come certi genitori che, per troppo amore e attenzioni, alla fine tarpano le ali ai figli pur promettenti.

La mia paura era proprio questa, che la grande passione di Alberto portasse a vini molto, troppo concentrati e  molto chiusi su se stessi. Gli assaggi fatti indicavano proprio questa direzione e venendo via non ero molto sicuro del futuro di questa cantina.

 

Per fortuna ero il solito vecchio brontolone e mi sbagliavo completamente!

Infatti nelle nostre degustazioni, anno dopo anno, i vini di Roccapesta uscivano sempre meglio, sino a restare in pianta stabile ai “piani alti” delle nostre valutazioni. Lo scorso anno addirittura 2 vini erano stati valutati molto bene: il Calestaia 2010 con 4 stelle e il Ribeo con 3 e mezzo. Insomma era arrivato il momento di andare “a Canossa”, cioè di tornare a Roccapesta per capire cosa era cambiato, cosa aveva portato i vini a livelli di assoluto valore (confermati anche negli assaggi di quest’anno VEDI ).

 

Oltre agli ampliamenti della cantina la situazione a Roccapesta non è molto cambiata: i vigneti hanno 5-6 anni in più e come minimo un maggior equilibrio (a parte quello da cui nasce il Calestaia, il Morellino top,  che ha quasi quarant’anni), le tecniche enologiche si sono semplicemente affinate rispetto alla valida  base iniziale, portando comunque a vini che spesso hanno bisogno di tempo per esprimersi al meglio. Per fortuna questo tempo gli viene concesso, visto che i vini entrano in commercio almeno un anno dopo rispetto ai tempi del disciplinare.

 

Che i vini di Roccapesta siano diventati più liberi e snelli (pare la pubblicità di uno shampo) Alberto  lo dimostra facendoci  assaggiare (a me e a Tiziana Baldassarri che mi accompagnava e che ha il compito di parlare più diffusamente dei vini degustati) i 2015 dalle vasche: un bellissimo insieme di rustica giovanile potenza affiancata da una quasi naturale finezza. Non dico i vini fossero pronti, ma sicuramente mostravano chiaramente sia di che pasta fossero fatti sia il bel futuro che li attende.

 

Poi ci aspettava un’ interessantissima verticale di Roccapesta, il suo Morellino di Scansano per antonomasia, dal 2006 ad oggi.

Di questa, come accennato, vi parlerà Tiziana (molto più brava e puntuale di me a riportare su carta le  caratteristiche dei vini) io vorrei solo sottolineare che in Maremma ci sono almeno 10-15 cantine che, ognuna con il proprio metodo,  riescono oramai a produrre vini serbevoli, classicamente strutturati, molto piacevoli ma nello stesso tempo dotati della complessa finezza che il sangiovese può dare.

Tra queste Roccapesta si caratterizza per riuscire ad unire potenza e finezza, grazie anche ad un uso economicamente poco vantaggioso ma virtuoso del tempo. I vini di Alberto vanno aspettati e lui sa farli aspettare in cantina prima di metterli in commercio. Se continuerà così sarà sempre un grande piacere gustarli.

 

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Il Morellino di Scansano Roccapesta, è vino a stragrande maggioranza sangiovese (circa il 95%) e solo una punta di ciliegiolo, che fa un affinamento di 24 mesi in cantina, dei quali circa 12 in tonneau da 500 e 600 litri e il resto in bottiglia prima dell’uscita sul mercato. 

 

Iniziamo da un 2013 con un naso complesso, con intensi profumi fruttati maturi tipici del morellino, ma con una bocca gustosamente ruvida che solo il tempo aiuterà ad ammorbidirsi.

 

Nel 2012 c’è invece un equilibrio maggiore, già dopo averlo annusato (frutti rossi maturi, amarena, mora, rosa e cannella, una lieve speziatura) ce lo aspettiamo più elegante, fine e la conferma arriva in bocca dove ritroviamo frutti rossi e spezie e lo percepiamo  più rotondo e  godibile. Merito forse anche  dell’apporto delle uve solitamente destinate al Calestaia (il cru dell’azienda, 100% sangiovese da un’unica vigna vecchia), che in quell’anno non è stato prodotto. Malgrado sia un vino molto equilibrato con tannini maturi è comunque  ancora giovane e sicuramente con margini di invecchiamento.

 

Il 2011 è IL sangiovese. La tipicità si sente e si sente bene, al naso con profumi tipici di frutti rossi  che si ritrovano in bocca e con un bel tannino ruvido ma non aggressivo, molto piacevole.

 

Il 2010 ha un naso complesso (frutti rossi, spezie note balsamiche), molto bello ed elegante, una buona beva con una bocca bellissima e pulita. Un vino estremamente equilibrato.

 

Alberto ci ricorda che adesso andiamo verso gli “old style” dell’azienda, in quanto è tra il 2008 e il 2009 che avviene un importante cambio di rotta-vinificazione in cantina.

 

Il 2009, sicuramente grazie ad una annata particolarmente calda, è abbastanza marmellatoso. Naso di frutti rossi (mora, amarena) estremamente maturi, direi più  marmellata di more e amarena sciroppata. Sensazioni che si riconoscono in bocca, specialmente nella retro olfattiva. Bocca matura, forse troppo.

 

Il 2008 ha una buona complessità all’olfatto, sicuramente più struttura rispetto all’annata precedente ed anche una buona beva ma, alla fine si rivela un po’ corto.

 

Il 2007 è molto più balsamico al naso rispetto a tutti gli altri ma ha un tannino più aggressivo e chiude asciutto e con una nota amaricante.

 

Il 2006 è quello che “brunelleggia” più di tutti. Molto complesso, austero, importante, chiude con bocca asciutta. Molto piacevole ma forse quello che impersona più un’idea di Morellino che l’azienda ha abbandonato.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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