Riflessione su Radici del sud e non solo: degustare senza formare a cosa serve?3 min read

Sono particolarmente affezionato a Radici del sud, avendola vista praticamente nascere e quest’anno raggiungere la sua quattordicesima edizione: così raccogliendo qualche spunto di discussione nato qua e là durante il corso della manifestazione, mi sono posto alcune domande.

Radici del sud è come un auto, sempre efficace ed affidabile, che  però dopo tanti anni di strada ha bisogno di un controllo, un check up,  se si vuole mantenerla in piena efficienza. Così il “giocattolo” creato da Nicola Campanile mi ha dato lo spunto per una riflessione che secondo me è valida per molte delle manifestazioni destinate a writers e buyers esteri che si tengono in giro per l’Italia. Prendo spunto da quello che è avvenuto nella mia commissione d’assaggio, composta a maggioranza da buyers (Cina, Polonia, Germania, USA).

Non nutrivo alcun dubbio sulla popolarità internazionale del primitivo, cosa che mi è stata confermata durante le degustazioni della commissione d’assaggio di cui facevo parte. Non c’è stato bisogno di alcuna introduzione esplicativa per questo vitigno, cosa che invece viene fatta normalmente per gli altri..

Tutti davano per scontato,  perché conosciuto ( almeno in teoria),  il profilo sensoriale del vitigno.

Il problema è proprio questo e vale per moltissimi vitigni: su quali vini solitamente formano la loro idea di primitivo i nostri colleghi esteri ma soprattutto i buyers? Quali i loro modelli di riferimento?

E’ inevitabile che il gusto estero si modelli sulle etichette  più diffuse, cioè quelle di aziende  che hanno grandi produzioni e quindi la capacità di invadere i mercati internazionali facendo valere la loro potenza di fuoco.

Sappiamo tutti che spesso quello che si vende all’estero non ha ineccepibile aderenza territoriale, anzi spesso  sacrificata per “costruire” vini che si pensa vadano  incontro al cosiddetto  gusto internazionale.

Così il modello di vino che viene preso a riferimento è distorto,  perché  è un modello che poco ha a che fare con il territorio.

E’ inutile aggiungere che a farne le spese in questi contesti sono le piccole produzioni, quando difendono la loro specificità, perché l’incapacità di cogliere questa differenza li condanna  ad un ruolo secondario. Intendiamoci non è una regola assoluta e non bisogna generalizzare, ma come far capire ad un buyer cinese che la tannicità non va penalizzata? Ad un americano che  il legno va preso come un complemento del vino e non viceversa? Che la dolcezza in particolare nel primitivo va interpretata?

Questo spiega il perché spesso i risultati di queste manifestazioni in cui si stila una classifica, sia pur distinta tra writers e buyer, italiani ed esteri, non corrisponde quasi mai ai nostri “desiderata”. E’ giusto che questo avvenga?

Se lo scopo di questo tipo di manifestazione è quella di far conoscere più approfonditamente le realtà vinicole del sud, anche le meno note e aprire attraverso i buyers possibilità di mercato, allora forse bisognerebbe pensare anche  a master specifici su ogni vitigno che si vuol far conoscere.

La formula del concorso con vincitori e vinti non è più sufficiente, forse va rivista e rilanciata su altre basi.

Non voglio certo sostituirmi a chi in questi anni ha tenacemente lavorato per la sua affermazione, le mie sono semplici considerazioni su una manifestazione a cui sono legato per la sua storia e per la sua indiscutibile valenza.

 

Pasquale Porcelli

Non ho mai frequentato nessun corso che non fosse Corso Umberto all’ora del passeggio. Non me ne pento, la strada insegna tanto. Mia madre diceva che ero uno zingaro, sempre pronto a partire. Sono un girovago curioso a cui piace vivere con piacere, e tra i piaceri poteva mancare il vino? Degustatore seriale, come si dice adesso, ho prestato il mio palato a quasi tutte le guide in circolazione, per divertimento e per vanità. Come sono finito in Winesurf? Un errore, non mio ma di Macchi che mi ha voluto con sé dall’inizio di questa bellissima avventura che mi permette di partire ancora.


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