Resistenza Naturale: un film che parla di futuro4 min read

Sarà che non sono un critico cinematografico, che di cinema mi intendo molto poco, ma mentre tornavo a casa dalla proiezione di “Resistenza naturale”di Jonathan Nossiter e dal dibattito tra produttori che ne era seguito, l’unica cosa che mi frullava in testa era un verso di Khalil Gibran “Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani.”

 

L’occasione di vedere il film me l’aveva data il Consorzio della Denominazione San Gimignano, invitando il regista e alcuni “attori” (in realtà i miei amici produttori di vino Giovanna Tiezzi e Stefano Borsa di Pacina) alla proiezione del film fatta nello stupendo Teatro dei Leggieri a San Gimignano. Sono andato e così ho avuto l’opportunità di vedere un bel film, ma soprattutto di riflettere sull’eterno e falso tema dell’essere pro e contro il vino definito naturale.

 

Pensavo che proprio il vino naturale fosse il tema del film ma mi sbagliavo. In Resistenza Naturale  Nossiter parla “semplicemente” di vita. Per esempio spesso, mentre i produttori intervistati  stanno parlando, l’immagine sullo schermo propone altre cose, come vita in campagna, animali, persone e solo, poche volte, vigneti. Alla fine ho capito che il vino è “solo” la meravigliosa scusa per fare il punto sulla situazione dell’agricoltura, e di conseguenza dell’uomo. E’ uno strumento per parlare di quello che vogliamo fare del nostro pianeta, anzi di quello che stiamo facendo al nostro pianeta e a noi stessi.

 

Parlano degli agricoltori-viticoltori perché sono i più vicini alla terra, quelli che riescono a sentire meglio le sue parole. Ma oltre le parole ci sono i gesti ed uno dei più visti e discussi del film è quando il produttore di Cascina degli Olivi  prende una palata di terra dal suo vigneto e da quello del vicino e la confronta, mostrando una differenza reale tra un suolo sfruttato fino alla morte ed uno utilizzato con rispetto e attenzione.  Qui potrebbe sembrare che la distanza tra due modi di vedere l’agricoltura e quindi la vita siano incompatibili, inavvicinabili. Invece proprio questa scena  per me è quella che dà più speranza, che fa capire come tra i due estremi ci siano molti modi per salvare l’agricoltura. L’importante è comprendere che qualcosa si può fare e iniziare a farlo.

 

E il dibattito che è seguito è stato proprio un bell’inizio di quel qualcosa, perché tra produttori cosiddetti naturali e non il dibattitto non è stato su chi fa il vino migliore ma su come fare agricoltura in maniera più rispettosa possibile.

 

Ascoltando produttori tradizionali, biologici, biodinamici che cercavano non tanto una strada comune ma più un comune sentire, mi sono sentito un privilegiato e mi è venuto da ridere pensando alle mille discussioni assolutamente sterili , pro e contro i vini naturali. In quel momento ho capito che non conta se quel vino naturale  o tradizionale ti piace o meno (e molti, nei due “schieramenti”, continueranno a non piacermi) ma capire quanto si può e si deve rispettare la terra e noi stessi facendo o bevendo vino. Il film di Jonathan ha lo scopo di far riflettere su questo, cercando anche di far capire che di tempo per  fare qualcosa ce n’è sempre meno.

 

E mentre gli interventi deii produttori andavano avanti ad un certo punto Letizia Cesani, presidente del Consorzio  ha detto che dopo il dibattito di novembre in cui sono stato moderatore, la più grossa azienda di San Gimignano ha iniziato la conversione a biologico. Lì ho capito che anche io avevo fatto qualcosa, che tutti noi possiamo fare qualcosa per aiutare gli agricoltori e noi stessi.

 

Senza cercare dotte citazioni mi fermo a De Gregori che dice “la storia siamo noi, nessuno si senta escluso”, basta sostituire storia con agricoltura e il gioco è fatto. Poi possiamo stare anni davanti a calici che ci piacciono o meno, ma senza scannarsi, con il rispetto che si deve a chi comunque fa qualcosa per tutti noi. Del resto se anche Paul Pontallier dichiara che a Margaux gli investimenti per avvicinarsi al biologico passeranno da duecentomila ad un milione di euro, vuol dire che veramente il mondo del vino è pronto per un cambio serio, ponderato, attento ma epocale.

 

Se Nossiter avesse  fatto un  film sul vino naturale, portando acqua al mulino di questo o di quello, avrebbe al massimo  lanciato solo una freccia (e qui ritorniamo alla frase che mi frullava in testa)  e centrato un solo obiettivo. Con Resistenza Naturale ha voluto invece fare molto di più; dare una mano a costruire ottimi archi di buon senso, che possano lanciare molte frecce anche diverse, ma tutte proiettate in un mondo migliore, quello dove i nostri figli dovranno vivere.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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