Reno e Mosella in riva all’Arno5 min read

Der Feinschmecker è la più nota rivista di gastronomia pubblicata in lingua tedesca. Conosciuta  anche da noi, in particolare da quanti hanno a cuore l’extravergine. La testata infatti segue da anni l’argomento con servizi e inchieste da prendere a modello.

Lo scorso lunedì 13 la redazione ha portato a Firenze un gruppo di produttori di vini da uva Riesling (renano, va da sé) ospiti dell’affascinante Palazzo Corsini. Un evento più unico che raro, operazione di immagine di cui al momento sembra aver bisogno la Germania tutta…

Ha funzionato e abbiamo ricevuto un’impressione decisamente positiva, anche perchè c’erano in campo nomi come Dönnhoff, Gunderlock, Fritz Haag, Dr. Loosen, J.J. Prümm e un’altra ventina di aziende a forte carattere individuale e familiare, compresa Robert Weil dove il figlio Wilhelm mantiene la direzione anche se la proprietà è del colosso giapponese Suntory da un bel po’.

E i titolari erano lì tutti ansiosi di raccontarsi, in inglese e molto spesso in italiano. Hanno portato tante immagini dei territori, cartacee o elettroniche, e alcuni persino frammenti di roccia lasciati sul banco fra i bicchieri, cose in grado di comunicare meglio delle parole lo spettacolo di alcuni fra i più bei vigneti del mondo.

Certo è che in uno scenario internazionale dove prevale il vino varietale, dove si presume che a “Gewurztraminer” o a “Pinot grigio” corrisponda un gusto definito e magari un prezzo altrettanto prevedibile questo Riesling fa di tutto per sconcertare.

Il profumo – sempre di buona forza -e non è secondario – varia dal fruttato al floreale allo speziato al minerale, viene in mente il gelsomino insieme ai canditi, il bicchiere dopo ci ricorda la noce moscata e la marmellata di more, poi è la volta dello zafferano magari con un soffio d’affumicato, qualcuno ci trova il rafano ed altri i classici agrumi e idrocarburi.

La bocca non è da meno: è vero che l’acidità è sempre sostenuta, ma qualche volta è davvero estrema mentre di bicchiere in bicchiere vanno su e giù con facilità i suoi contraltari, alcol e zuccheri.

Un gioco che lascia piacevolmente spiazzati e in cui hanno tentato di mettere un po’ d’ordine i due seminari offerti a lato della degustazione libera.

Il primo, condotto da Gian Luca Mazzella, ha messo a fuoco la capacità di invecchiamento: abbiamo assaggiato due diverse annate della stessa etichetta per un totale di cinque coppie (la sesta non è arrivata in tempo, della serie “nessuno è perfetto, nemmeno i tedeschi”…).
Si è confermata la capacità di piacere nel tempo, vagliata – è bene ripeterlo – su prodotti di gamma medio-alta. Il colore si mantiene incredibilmente giovanile e per trovare un giallo davvero dorato abbiamo dovuto aspettare un ’83.
L’evoluzione dei profumi è tutt’altro che  scontata e capita di trovare più fruttato nel campione meno giovane; in bocca i vini si fanno tendenzialmente più austeri col tempo, ma intanto la presenza qua e là di un po’ di carbonica può prendere di sorpresa. Costanti comunque due cose fondamentali, elegante vigore gustativo e persistenza aromatica.

L’altro seminario, condotto da Andrea Gori, ha considerato le zone: abbiamo provato un vino per ognuna delle sette regioni più note, tutti 2011 (annata di buona qualità e nemmeno avara di quantità, aspetto quest’ultimo non certo secondario per l’uva e le latitudini in questione). Anche qui ampio spettro di stili e profili, che si cerca di associare innanzitutto alla varietà dei suoli. Abbiamo  considerato le possibili relazioni tra terra e gusto: si va dall’ardesia della Mosella al calcareo-sabbioso della Franconia passando per il vulcanico della Nahe. Qua affiora il basalto, là ci sono le sabbie con un po’ di argilla: un bel puzzle dove la “mineralità” frequentemente evocata è comunque indiretta e basata su un’evoluzione difficilmente prevedibile dei precursori presenti nei minerali veri e propri, come giustamente ha puntualizzato Gori.

La prestazione del glorioso vitigno nelle regioni tedesche dipende tantissimo anche dal loro clima, e – mai come altrove- dal microclima creato dalle altitudini e dalle curve dei fiumi; basta considerare che ad altri vitigni più banali gli stessi produttori lasciano i loro terreni meno qualificati.

Si può certo avvertire la botrite che gioca la sua parte, a volte anche quando non dichiarata. Infine la mano del produttore ci mette il resto, e se pochi usano legno e comunque grande, alcuni privilegiano un ambiente fortemente riduttivo (interessante a questo proposito lo stile di Rudolf Fürst). Nè aiuta granché guardare le etichette : tempo e spazio per considerarle con attenzione non c’erano a Palazzo Corsini, e non avrei comunque scommesso sul risultato. Ci hanno detto anche che la classificazione subirà modifiche: ce n’è bisogno.

Puntare comunque solo sul nome del vitigno per identificare un vino porta assai poco lontano, con questo in particolare. Non è un caso che al di fuori della Germania scarseggino volumi importanti, nonostante che la varietà sia tra le più chiacchierate. Infatti qui sta il bello, per gli appassionati l’esplorazione del mondo Riesling può essere un gran gioco. Rimangono certamente vini difficili da comunicare per il ristoratore e per l’enotecario (per tacere del giornalista); chi ha organizzato la manifestazione lo sa bene.

E dire che i prezzi sono relativamente contenuti, a meno di non scivolare nel collezionismo. Qualcuno degli assaggiatori di lunedì scorso si è sbilanciato persino sul terreno degli abbinamenti; certo è che la  prevedibile domanda generica “Qual’è il piatto giusto per un Riesling?” è da considerarsi tra le più ingenue nel mondo del vino.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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