Questionario palese/bendata: Il silenzio degli innocenti2 min read

I risultati del sondaggio tra i produttori sulla degustazione palese o bendata (vedi) ha avuto, specie tra i colleghi, un impatto molto meno importante di quanto ci aspettavamo e non riusciamo a capire il perché.

 

Se da un campione  variegato di aziende viene praticamente fuori non solo che la stragrande maggioranza non crede che le guide assaggino in maniera bendata, ma per di più adottino sistemi palesi di degustazione legati a metodologie “finanziarie”, sinceramente io qualche preoccupazione l’avrei.

 

Sembra invece che i responsabili delle guide, chi in un modo chi in un altro, abbiamo trovato la cosa assolutamente normale, prevedibile, non dico scontata ma quasi.

 

La cosa mi fa quasi più paura dei risultati del sondaggio, perché non posso non vedere uno scollamento tra i due pilastri che regolano il mondo delle guide vini: i degustatori e i produttori. I primi se ne strafregano di cosa pensano di loro i secondi, mentre i secondi sembrano prendere le guide come il male minore, come qualcosa che bisogna in qualche modo sopportate e supportare perché non ci sono alternative.

 

Posso far passare il fatto che il nostro sondaggio non sia “applicabile” a tutto il mondo del vino, posso pensare che abbiano risposto aziende con il dente avvelenato (anche se in realtà molte di quelle che hanno risposto devono molto alle guide), ma detto questo trovarsi di fronte a quei dati e fare spallucce, secondo me dimostra che oramai questi due modi vanno avanti “a prescindere”, senza che vi sia una minima possibilità di reale comprensione e quindi di cambiamento fattivo e positivo di un sistema (quello delle guide) che comunque perde sempre più pezzi.

 

Credo che chiunque, in qualunque tipo di lavoro, se si trovasse di fronte a dati che mettono fortemente in dubbio le basi etiche (e diciamo anche pratiche) della sua professione, sentirebbe il bisogno di capire non dico dove e se ha sbagliato ma almeno se questi dati sono attendibili. Invece pare che tutti i giornalisti enogastronomici abbiano altro da fare in questo momento, magari per organizzare quelle degustazioni che le aziende reputano nella quasi totalità una presa in giro o un modo per guadagnarsi in maniera non chiara la pagnotta.

 

Forse neanche sotto sotto pensano che i nostri dati siano parziali o addirittura sbagliati, un po’ come gli exit- poll alle elezioni e in realtà le cose siano molto diverse.

 

Lo spero per loro e per noi.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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