Se parlo di incrocio tra Sangiovese e Agiogitiko a Riecine non mi riferisco ad un nuovo vitigno sperimentale piantato dall’azienda chiantigiana ma all’incrocio di persone, pensieri, esperienze e naturalmente vini che ha visto ritrovarsi a Riecine Master of Wine, produttori, distributori e naturalmente winesurfisti per un confronto/degustazione tra Agiorgitiko e Sangiovese.

Il tutto nasce sempre dalla nostra colonna greco/italica Haris Papandreou, ormai importante testa di ponte del vino greco in Italia, che ha pensato di mettere a confronto, ovviamente bendati, vini da questi due vitigni. Alla fine ci siamo trovati di fronte a 25 vini che, aldilà della loro bontà, ci hanno parlato chiaramente di come il mondo del vino sia cambiato.
Infatti da un lato abbiamo dovuto mettere da parte lo stereotipo che i rossi greci siano vini caldi, pesanti, magari ruvidi e che invecchiano male, dall’altra l’idea che il sangiovese abbia caratteristiche sempre e comunque riconoscibili.
Tra queste due “colonne d’Ercole” possiamo ricondurre ogni commento fatto durante la degustazione, anche, e mi metto al primo posto in questo, la difficoltà di riconoscere immediatamente, sempre e comunque il vitigno.

Per me la motivazione principale e quello che potrei definire “internazionalizzazione del messaggio enoico”. In parole povere l’enologia è talmente cresciuta che gli enologi, oltre a formarsi anche fuori patria (non parlo solo dei greci ma a livello globale) assorbono nozioni non più legate al paese o alla zona di provenienza ma comunicate attraverso scuole, libri, testi su internet etc. Questo porta da una parte ad un miglioramento generalizzato dei vini e dall’altra all’utilizzo di processi (non fermandosi solo all’uso di vasi vinari simili in vinificazione e affinamento) che hanno come contraltare la somiglianza di alcuni tratti di vini prodotti da vitigni e in zone completamente diverse. Le diversità invece spiccano quasi sempre quando un vino mostra lo strabismo di Venere, cioè caratteristiche uniche, particolari ( date dal territorio, dall’annata) che la conduzione enologica esalta. In quel caso però occorre conoscere bene quel vitigno per non avere nessun dubbio sulla sua collocazione e provenienza.

Quindi in soldoni, il divario tra Sangiovese (di varie zone non solo della Toscana ma d’Italia) e Agiorgitiko non è così ampio come si poteva pensare prima della degustazione e questo soprattutto per merito del secondo vino/vitigno che ha mostrato sia notevoli progressi nella nettezza degli aromi che nella risoluzione della parte tannica al palato, andando molto oltre il vecchio modo di identificare il vitigno come “afflitto” da acidità bassa e alcol alto: inoltre abbiamo riscontrato anche un’impensabile (almeno per noi che non assaggiamo Agiorgitiko tutti i giorni) tenuta nel tempo.

Anche per questo vi parlerò dei due Agiorgitiko più vecchi che abbiamo degustato. Il primo è l’Areti 2016 di Ktima Biblia Chora Winery, un Agiorgitiko in purezza prodotto fuori dalla zona di Nemea da vigna a quasi 400 metri di altezza mi ha colpito per un naso particolare che è partito con note quasi sulfuree per passare poi a fini profumi balsamici e speziati: un naso con quello “strabismo di Venere” di cui parlavo prima. In bocca ho trovato grande equilibrio con tannini levigati e una chiusura elegante ma resa viva da una punta di freschezza che attraversa il sorso. Il secondo è il Filos Riserva 2014 dell’omonima azienda: mi dicono che anche in Grecia la 2014 è stata difficilissima e a maggior ragione spicca questo Agiorgitiko da vigne che allora non avevano nemmeno 20 anni.

Qui siamo a Nemea, nel Peloponneso ma sia l’annata che forse l’altezza della collina dove è impiantato il vigneto ha portato ad un vino che, lo ammetto, ho scambiato per un grande sangiovese di un’annata complicata. Naso dove legni di alto livello non coprono un leggero frutto ma sviluppano anche in sentori balsamici, bocca corposa ma attraversata da tannini fini e da un’equilibrata freschezza. Una leggera maturità generale ci spiega che siamo al suo acmé, ma sono convito che è destinato ad un tramonto lento e ricco di soddisfazioni.
Aldilà di questi due vini gli altri dieci Agiogitiko che abbiamo degustato non hanno certo sfigurato: forse qualcuno tra i più giovani pecca ancora un po’di errori di giovinezza dovuti all’uso di lieviti selezionati che oramai hanno fatto il loro tempo e all’uso un po’arrembante del legno, ma comunque ne esce fuori un quadro indubbiamente positivo.
Per quanto riguarda i Sangiovese, in buona parte divisi tra Chianti Classico e Brunello di Montalcino, l’assaggio ci ha mostrato che ormai questo vitigno, anche per vini giovani, ha sempre più bisogno di tempo per esprimersi e nello stesso tempo più che di cambiamento climatico in atto, conviene parlarte di confusione climatica, dove si passa dal caldo al freddo, dalla siccità all’alluvione non nell’arco dell’anno ma di giorni o ore, richiede attenzioni continue e spesso non bastano. Alcuni vini, specie i più giovani, erano ancora contratti sia al naso che in bocca e si è cominciato a capire le caratteristiche del sangiovese a partire dai campioni con almeno 8-9 anni. Questo naturalmente riguarda “hic et nunc” cioè quella degustazione in quel giorno, che comunque ci ha presentato alcuni Sangiovese da alzarsi in piedi e fare la ola.
In conclusione una degustazione che, come sempre,oltre a farci conoscere ottimi vini ci ha allargato un po’ la mente, quindi un grazie ad Haris e a Riecine che ci ha ospitati in pompa magna è d’obbligo.