Prima che la grappa cruda diventi “Brut”, ovvero a scuola di grappe trentine.2 min read

L’Associazione Stampa Enogastroalimentare Toscana (ASET), di cui faccio parte, ha recentemente ricevuto l’invito per una presentazione in “didattica a distanza” condotta dall’Istituto Tutela della Grappa del Trentino.

I relativi campioni per l’assaggio ci sono presto arrivati in forma tutt’altro che virtuale. L’interesse speciale stava nel fatto che erano sei grappe bianche “crude”, già diluite dopo la distillazione ma non ancora in commercio e prima del maquillage finale che può consistere nella filtrazione, magari previa refrigerazione, o nell’aggiunta di zucchero (max 2gr/lt).

Forse noi del vino potremmo definirle “brut”, nel senso letterale del termine. Bruno Pilzer, che da Presidente dell’Istituto ci ha accompagnato nell’assaggio, le ha chiamate “tal quale”, per sottolinearne la verginità. Ha usato spesso anche il termine “distillato di bucce”, per evidenziare il ruolo di quest’ultime nel dare tono e complessità al gusto. Si trattava in ogni caso di grappe del 2020 da uve locali, distillate entro il 31 dicembre.

Date le premesse la scarsa limpidezza, peraltro variabile, non è stata una sorpresa.

Abbiamo cominciato con una grappa da Nosiola, che più trentina di così non si poteva. Davvero molto “montana” con profumo tra erbe e fieno, magari anche un rimando alla nocciola verde forse per suggestione dal nome dell’uva. Morbida con buona corrispondenza naso-bocca. È seguito il campione da Pinot Nero, meno ampio al naso e tuttavia pungente. Gusto armonico e lineare,  retrolfatto complesso tra frutta e spezie. Poi siamo passati a un blend di composizione ignota, molto ricco nel floreale ma con una leggera componente solforata.

Da uve Müller-Thurgau il quarto assaggio: grande freschezza di fiori tra menta e camomilla e sapore piacevole, rotondo, con lunga scia fruttata. A seguire ancora un secondo mix di uve che mi ha ricordato la genziana o altre “erbe amare”, al palato quasi gentile (per una grappa, s’intende…). Finale da un’altro vitigno-bandiera del territorio, il Teroldego: profumo elegante che rimandava ai piccoli frutti e alla terra bagnata, sapore vigoroso con finale molto asciutto.

Il ri-assaggio in solitudine l’ho fatto in bicchieri da vino come del resto suggerito da chi ci ha ospitato, versando dosi minime per meglio inseguire la parte aromatica. Buona pratica.

Nel complesso la godibilità degli assaggi ha messo in risalto una notevole varietà di profili di gusto. Sorprendente e interessante, in diversi casi, la diversità d’impatto fra naso e bocca: veniva spontaneo pensare anche a qualche possibile gioco di assemblaggio…

I campioni sono rimasti anonimi: giustamente l’Istituto ha voluto solo darci un’idea di come i soci  lavorano e di come l’Istituto stesso li aiuta con una sperimentazione tecnica continua, come ci ha sottolineato Bruno Pilzer. Punti fermi rimangono le uve locali con rilevanza dei vitigni autoctoni e l’uso del “bagnomaria trentino”, metodo di distillazione anch’esso di lunga tradizione locale che usa la trasmissisone lenta e indiretta del calore garantendo di conseguenza un trattamento delicato della materia prima.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


LEGGI ANCHE