Pinot Nero dell’Alto Adige: un cambiamento è (lentamente) in atto2 min read

Se volessimo sintetizzare in due parole i risultati dei Pinot Nero altoatesini potremmo dire “Tante sorprese e qualche conferma”.

La nostra degustazione ha spaziato tra quattro vendemmie, presentando da una parte vini giovanissimi, sicuramente nati per non avere profondità e complessità gustativa ma freschezza e piacevolezza, e dall’altra pinot nero creati per rappresentare il “top” della produzione altoatesina, nonchè italiana.

Partendo da questo presupposto le sorprese possono dividersi in due categorie: da una parte cantine abbastanza sconosciute e dall’altra grandi nomi che hanno brillato non con i vini di punta ma con prodotti solo sulla carta più semplici, dall’altra aziende che da sempre puntano sul pinot nero e che anche quest’anno hanno presentato vini di ottima levatura ma, per noi, con un leggero “appesantimento” dovuto forse alle caratteristiche della vendemmia.

In generale il Pinot Nero dell’Alto Adige spicca per una qualità media piuttosto alta che sicuramente non ha eguali in Italia, anche se durante i nostri viaggi in zona ci è sembrato di percepire un cambiamento dovuto soprattutto all’aumento medio delle temperature, con la ricerca di terreni vocati non più attorno ai 300/350 metri, ma a non meno di 600. Una situazione che non si svilupperà chiaramente  in tempi brevi e che vede anche lo studio di metodi “più adatti ai tempi” per la coltivazione di vigneti di pinot nero posti in zone vocate ma adesso più calde che in passato.

Prendiamo l’annata 2017, sicuramente difficile. I migliori vini di quest’annata hanno si un’importante marca di legno e in qualche caso aromi terziari già sviluppati, ma si basano su un equilibrio e una tannicità aggraziata, percepibile  ma “da pinot nero di razza”, che li rende ottimi adesso e con belle possibilità di invecchiamento. Alcuni 2018 invece puntano molto sulla freschezza e sulla dinamicità, raggiungendo ottimi risultati. Lo stesso discorso per alcuni giovanissimi 2019.  Per quanto riguarda i 2016 degustati invece dobbiamo constatare che alcuni hanno cercato di ottenere il “grande vino” non riuscendovi, proponendo invece grossi vini spesso marcati da legno.

Pinot nero

Questo è accaduto “random” anche nel 2018 e 2017 ma in maniera nettamente minore.

In definitiva il quadro che si presenta davanti ai nostri occhi è quello di un territorio che, pur essendo e sentendosi al top per quanto riguarda il Pinot Nero in Italia,  sta cercando di adeguarsi ai cambiamenti climatici e non solo (oramai lo “stile cappuccino”, con profonde note tostate paga sempre meno) spostandosi lentamente verso vini meno impegnativi e più dinamici.

Ne siamo particolarmente felici e nello stesso tempo capiamo perfettamente le difficoltà che incontrano i produttori nel trovarsi come l’asino di Buridano, divisi tra piantare a quote piuttosto alte con rischi notevoli di maturità fenolica nonchè finestre di vendemmia ristrette e dover gestire in maniera molto diversa vigneti a quote più basse.

Molto probabilmente tante situazioni saranno un mix delle due strade e per questo siamo convinti che la vera sfida futura per il Pinot nero altoatesino sarà soprattutto in vigna e non in cantina.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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