Perchè scomparve il vino a Digione. Seconda parte: la rinascita e i climats.6 min read

Se è stata indubbiamente la candidatura dei climats della Côte d’Or a patrimonio mondiale dell’UNESCO a dare la spinta più forte, il processo di rinnovamento e recupero dell’antico patrimonio vitivinicolo di Dijon può farsi iniziare almeno una trentina d’anni prima e più.

La nascita della nuova AOC Marsannay nel 1987, col riconoscimento del Clos du Roy, destinato oggi a diventare Premier Cru,  la scoperta delle antiche presse dei duchi a Chenôve nel 1980 e l’inaugurazione della cantina ducale di Talant nel 1983, e soprattutto i primi reimpianti ( 32 are nel 1981, poi portati a 41,35 due anni dopo nel Marcs-d’Or), la delimitazione dei terreni suscettibili di ottenere l’AOC regionale Bourgogne effettuata alla fine degli anni ’80, sono gli indici più evidenti di una volontà diventata ormai  chiara dell’amministrazione di risalire rapidamente la china.

Dijon Metropole è oggi fortemente impegnata in un progetto più unico che raro di sviluppo della biodiversità urbana, nel quale è compresa la ricostruzione di un vigneto periurbano di 300 ettari, con un  evidente impatto ambientale e sociale, ma anche economico, che  porterà la superficie vitata da  Plombières-lès-Dijon fino a Marsannay, che aggiungerà ad essa i  300 ettari potenziali della sua appellation communale.

A testimonianza che si fa sul serio, nel novembre 2013, Dijon Métropole ha acquisito il domaine de la Cras, 160 ettari di terre agricole e di vigne , a cavallo dei comuni di Plombières-lès-Dijon e Corcelle-les-Monts, nel punto di convergenza  degli spazi  protetti della Combe à la Serpent e del Mont Afrique. Qui sono 8 ettari di vigna (3 di chardonnay e 5 di pinot noir) piantati nel 1983 da un agricoltore appassionato di viticultura e situati all’interno dell’area destinata all’AOC Bourgogne. Le condizioni sono simili a quelle delle Hautes-Côtes: 360-400 m. di altitudine, orientazione  pieno sud, con suoli molto calcarei, ben drenati, adatti alla viticultura di qualità. La gestione delle vigne è stata affidata, tramite la Chambre d’agriculture de Côte-d’Or al viticultore Marc Soyard, con esperienze nel Domaine di Jean-Yves Bizot a Vosne-Romanée.

Lo spazio vitato raggiungerà i 35 ettari, ai quali vanno aggiunti i 7 riservati al Conservatoire del  pinot noir e dello chardonnay, una specie di banca genetica volta a identificare le piante “sources”  all’origine dei vigneti e quelle migliori e più adatte ad affrontare l’impatto del cambiamento climatico. Ma  non è finita, perché ulteriori quattro ettari di proprietà della città nella zona della Rente Giron sono stati destinati a ripiantarvi vigna.

A prendersene cura saranno quattro vignerons di altrettanti Domaines della regione, a ciascuno dei quali è stato affidato un ettaro: Virginie Bernard de Le Clos Saint-Louis di Fixin, Jean-Michel Guillon, del Domaine omonimo di Gevrey-Chambertin , François Chaveriat, del Domaine Chantal Lescure di Nuits-Saint-Georges ed Eric Guyard, del Domaine du Vieux Collège di Marsannay.

Ma, oltre al Plateau de La Cras  e alla Rente Giron, altri due poli dell’antica viticultura hanno ripreso  ad essere produttivi, anche se con superfici molto più ridotte di quelle di un tempo. Il primo è quello di Daix (4 ettari), “un beau terroir”, come afferma Arnaud Mortet , che vi si prende cura di  un ettaro di pinot noir piantato dal padre negli anni ’60 sul plateau che sormonta Dijon a nord-ovest, mentre altri  tre sono sotto le cure di un altro Mortet, Thierry.  A Talant sono altri 10 ettari di vigna (erano solo 0,7 negli anni ’90), dove Louis Picamelot, specialista di cremants de Bourgogne proveniente da Rully elabora le sue bollicine. E a far parte della nuova anima agricola di Dijon non è più solo la vite, perché  nel Domaine de la Cras avranno posto altre culture: due ettari di frutteti, 9 dedicati al cassis e altri 5 ai tartufi della Borgogna, per non parlare dei ben 59 ettari della Ferme de Motte Giron.

Concludiamo con un accenno a due dei climats più famosi di Dijon, che si trovano  praticamente a ridosso della città. Il primo è Marcs d’Or. Lavalle apprezzava la  vinosità dei suoi vini e la loro resistenza  all’invecchiamento, e anche Morelot, pur non inserendolo tra le sue têtes de cuvées, gli attribuiva una qualità di gran lunga superiore a quella dei “grandi ordinari”, come venivano chiamati i vini  buoni o anche ottimi, ma non nobili.

Marcs d’Or

Aux Marcs d’Or (l’antico Mardor: marcs sono le uve, e quanto all’oro, è frequentemente associato alla vigna, come in  Côte d’Or  e nel Gouttes d’Or , celebre climat di Meursault). Un tempo faceva parte dell’area viticola di Larrey, poi scomparsa a seguito della risistemazione del quartiere  della Fontaine d’Ouche .Le vigne vi sono del tutto atipicamente esposte a nord-est, in quanto la Côte compie un piccolo tornante da Chenôve a Plombières, ma i suoli sono del tutto simili a quelli di Chenôve, di cui abbiamo parlato negli articoli sull’AOC  Marsannay, argille molto calcaree  su uno zoccolo di roccia- madre del Giurassico medio.

“Uccisa” dal canonico Kir, la vigna fu salvata  dalla morte definitiva da Jean-François Bazin, sindaco aggiunto di Dijon e assessore all’urbanistica: nel 1981 non restava  che un pugno di terra  tra Fontaine d’Ouche  e la Combe à la Serpent, chiamato L’Éperon .

Sono solo 41.35 are, meno di mezzo ettaro, nel quale la Città creò il Clos de la Ville, piantandovi ceppi di chardonnay e affidandolo  en fermage al Domaine Derey. I bianchi  odierni di Marcs-d’Or  hanno ovviamente poco a che vedere con quelli di un tempo, ma hanno un bel colore dorato, naso floreale con sfumature agrumate: sul palato hanno un attacco nervoso, buona ampiezza e finale non privo di una certa eleganza.

L’altro celebre climat dijonnois è En Montrecul. Sull’origine del nome non c’è molto da spiegare: le sue vigne, esposte ad est, si sgranano da  257 a 307 metri di altitudine, raggiungendo una pendenza del 13%. Inevitabile che le vendemmiatrici mostrassero le loro parti basse agli sguardi maliziosi degli eventuali spettatori, come ricorda esplicitamente l’etichetta del vino che vi produce il Domaine de la Cras .

Il suolo è  decisamente calcareo (calcare di Comblanchien in cima, uno spesso strato di ciottoli calcarei lungo tutto il pendio, e al di  sotto  Oolite bianco del Giurassico medio) e  il vino che se ne ricava si distingue per la decisa mineralità. Lavalle apprezzava soprattutto i bianchi, a base di pinot blanc che vi si producevano, per alcuni paragonabili a quelli di Meursault.

Sono almeno una mezza dozzina i Domaines borgognoni che vi hanno  attualmente vigna, fra i quali i Bouvier (Regis e René), Pataille, Tixier-Drouhin , Marc Soyard del Domaine de la Cras . Oggi vi si produce vino rosso, naturalmente da pinot nero, che  rientra nella denominazione regionale Bourgogne rouge, ma con la menzione del climat (Bourgogne Montrecul).

Ho avuto modo di assaggiare quello del Domaine de la Cras: è un bel rosso, dal naso floreale, delicatamente speziato, dotato di una bella lunghezza, insomma meritevole di un’attenzione non motivata dalla sola curiosità storica . Ma, a proposito di curiosità, a parte gli investimenti in campo  vinicolo dell’ospedale di Dijon, intenzionato a seguire la strada del più celebre Hotel-Dieu di Beaune, che ha ormai vigne un po’ in tutta la Côte d’Or, voglio accennare in chiusura alla vigna più inaspettata : il Clos della Base aerea 102 di Longvic, mille ceppi di chardonnay piantati negli anni ’80 da un colonnello appassionato di vini, con le viti che crescono a pochi metri dai velivoli militari.

In attesa della Cité internationale de la gastronomie et du Vin (l’apertura prevista per il  2018 è rinviata al terzo trimestre del 2021: tutto il mondo è paese), un’area di sei ettari e mezzo, situata all’inizio della Route des grands crus, dove si trovava l’antico hôpital général di Dijon, che comprenderà una parte museale di 5.000 mq. , nella quale sarà inclusa l’antica cappella di Sainte-Croix de Gérusalem (1469) , e un’area commerciale di 4.500 mq.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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