Per me il razzismo non si combatte boicottando3 min read

Non ho scritto niente sulla mostruosa affermazione di Bressan e su quanto è successo dopo in rete perché la storia era talmente brutta che rischiava di farmi dire cose scontate e/o magari già dette e ridette da altri.

Adesso però la situazione si è evoluta talmente che mi sembra giusto cercare di fare un ragionamento. Mi riferisco  al boicottaggio che alcuni colleghi italiani ed esteri hanno attuato nei confronti dei suoi vini e non mi trova d’accordo.

Cerco di spiegarvi perché.

Il primo motivo potrei definirlo di ordine psicologico. L’unica cosa veramente auspicabile in tutta questa storiaccia può essere solo il reale ravvedimento di chi ha scritto quella frase. Non parlo di parole di circostanza scritte per cercare di mettere una toppa al mare, ma la vera e propria comprensione del peso di una tale agghiacciante affermazione. Questo, nella migliore delle ipotesi, può avvenire dopo del tempo, a mente fredda e soprattutto  se non si hanno appigli possibili o recriminazioni da poter addurre.

Quindi criticare va bene ma Il boicottaggio può portare solo al rancore e soprattutto è un reale appiglio del boicottato per focalizzare il suo errore  in maniera diversa e non pensare invece a quanto di sbagliato ci sia nell’aver concepito e scritto una frase del genere.

 


“Boicottaggio: Azione tendente a isolare da una collettività, da un consorzio  o da un mercato individui, enti o prodotti, sia a fine di lotta, sia per rappresaglia”

Questa è la definizione della parola sul Devoto-Oli.  Ora credo che tutto quanto è stato scritto sul web abbia realmente isolato Bressan, senza il bisogno di dover andare oltre a meno che, come dice il vocabolario, non sia per lotta o per rappresaglia. Qui però non siamo in guerra e non dobbiamo esserlo. Non dobbiamo essere noi ad alzare per primi i toni, perché gridando o facendo muro contro muro non si ottiene assolutamente niente.

Ma, se proprio devo dirla tutta, la cosa che mi convince meno è il rimescolamento dei ruoli che questo boicottaggio comporta. Io sono un giornalista enogastronomico e valuto i vini, non la condotta morale delle persone. Troppo facile ( e troppo giusto) puntare il dito su Bressan, ma ergersi al livello di giudici, escludendolo a priori  vuol dire assumersi il ruolo di decidere chi è dentro e chi è fuori.

Questo secondo quali parametri?  E’ più amorale e boicottabile evadere le tasse, assumere contadini magari extracomunitari in nero, non assicurarli, acquistare cisterne di vini a destra per poi rivenderle a manca sotto falsa DOC, piantare ettari di vigneto e rivendicarli  DOCG anche se sai che quell’uva non si può piantare, o dire frasi razziste? E’ meglio escludere chi dice mostruosità razziste o chi prova a comprare la tua valutazione, o ha del vino in cantina che poi, dopo controlli e sentenze, è costretto a declassare proprio perché lo aveva prima presentato in un altro modo, dichiarando il falso? E potrei continuare…

Nessuno di noi giornalisti, anche quelli più moralisti, ha mai lanciato un boicottaggio verso chi ha avuto anche importanti condanne e quindi mi sembra se non altro inappropriato farlo adesso.

Capisco: la frase di Bressan è al limite dell’umano ma, e lo dice uno che ha due figli con lo stesso colore della pelle del nostro ministro Kyenge, non si combatte il razzismo a questo modo. Ci possiamo e dobbiamo indignare, possiamo puntare il dito con forza ma, se la legge è uguale per  tutti anche i vini, per noi giornalisti,  devono essere tutti uguali prima di essere degustati. Non possiamo iniziare a trovare motivi etici contro questo o quel produttore perché la cosa ci porterebbe troppo lontano, in un terreno difficile e minato che non è il nostro.

Se è giusto non rispettare Bressan  per quanto ha detto non credo sia giusto non rispettare i suoi vini, che niente hanno a che vedere col suo razzismo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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