Passaggio di Isole e Olena al gruppo EPI: perché lo straniero fa arrabbiare?3 min read

Certe volte il fatto di odiare il mare torna comodo e infatti alle 11.02 del 2 giugno, mentre l’Italia (giornalistica e non) era al mare, io ero in ufficio a leggere la mail ufficiale in cui si comunicava il passaggio a EPI di Isole e Olena. Per questo credo che Winesurf sia stato il primo a dare la notizia, girandola anche sui social, nonché il primo su cui si sono riversati i commenti del web.

Decine e decine di commenti che posso dividere in due gruppi: il primo (che copre il 70% e oltre dei commenti) era contrario al passaggio ma solo e soltanto perché l’acquirente è estero. I rimanenti erano commenti favorevoli all’acquisizione ma più che altro erano “contrari a chi era contrario”.

Così mi sono domandato il perché di tanta acrimonia, che sicuramente non ci sarebbe stata se l’avesse comprata un grosso gruppo italiano (anche se non vedo all’orizzonte chi, in Italia, possa sborsare le cifre di cui si ragiona).

Sembra che ci si dimentichi che viviamo, purtroppo o per fortuna, in un mondo globalizzato, dove  acquistiamo oggetti prodotti ai quattro angoli della terra e vendiamo soprattutto all’estero che, in questo caso però è osannato e anzi preso a esempio.

Capisco che possa dispiacere all’italianità vedere la proprietà di una cantina importante come Isole e Olena valicare le alpi ma, invece di partire lancia in resta e criticare a prescindere, le domande che tutti dovremmo farci sono per me queste, che non dipendono dalla nazionalità di un compratore.

Visto che nell’azienda si producono vini marcatamente toscani e vi lavorano esclusivamente italiani è logico chiedersi se il gruppo sia o non sia solido, abbia o non abbia esperienza nel settore, se questo passaggio gioverà o meno all’azienda e a chi vi lavora, se il vino rimarrà con le stesse caratteristiche o verrà snaturato, se la nuova direzione (con dentro solo italiani, mi sembra) manterrà la barra dritta e continuerà a presentare al mondo un ottimo vino con su scritto “Made in Italy” bello grosso.

L’esempio di Biondi Santi, acquisita nel 2017 starebbe a dimostrare un rispetto del passato, preso ad esempio per il futuro e quindi credo sia giusto concedere al gruppo EPI il beneficio d’inventario, anche perché il nuovo amministratore della cantina sarà la persona che è già amministratore delegato di Biondi Santi. Inoltre il gruppo possiede due maison di Champagne importanti come Piper-Heidsieck e Charles Heidsieck che mi sembra stiano andando a gonfie vele.

Tutte queste domande però nessuno le ha fatte e sui social è continuata per parecchio tempo la diatriba contro lo straniero che arriva in Italia e compra, magari a prezzi di saldo.

Sinceramente, a parte le voci che girano e che noi abbiamo riportato per dovere di cronaca, non ho idea di quanti milioni di euro siano girati ma non credo che Paolo  De Marchi abbia svenduto l’azienda che ha creato con le sue mani: se anche se lo avesse fatto (e, ripeto, non lo credo) l’importante adesso è che il marchio sia rafforzato, che chi ci lavora dalla vigna alla commercializzazione sia tutelato e chi compra un vino di Isole e Olena abbia almeno la stessa qualità nel bicchiere e sappia che, proprietà a parte, sta degustando un grande vino italiano, in particolare toscano.

Fermarsi al superato “non passa lo straniero” oltre che, appunto,  superato è ormai anacronistico, specie nel mondo che abbiamo di fronte appena apriamo un giornale, guardiamo un telegiornale o, per fare un esempio sotto gli occhi di tutti,  tifiamo per una squadra di Milano.

Chiudo parlando d’altro e cioè ringraziando Paolo De Marchi prima per la sua amicizia e poi per i grandi vini che, negli anni, mi/ ci ha fatto bere. Volendo fare dei nomi la lista sarebbe praticamente  infinità ma non scorderò  mai i suoi Chianti Classico 2009 e 2013, il Cepparello 2009 e, visto che stiamo parlando di “straniero” il Syrah 2006.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE