Party a sorpresa… in elicottero e accanto ai pinguini5 min read

Oramai Winesurf non ha confini! Addirittura dalla Nuova Zelanda ci arrivano i bellissimi racconti di vita (gastronomica) di Raffaella Delmonte. Commercialista-scrittrice, milanese di nascita e neozelandese per scelta da più di 10 anni assieme a tutta la sua meravigliosa famiglia. Ringraziarla è d’obbligo e spero lo farete anche voi, commentando il suo primo articolo che divido in due parti per meglio goderne. GRAZIE RAFFAELLA!!!

 

L’occasione per un week-end lontano da casa  la mia, ad Auckland  e dalla famiglia (sempre la mia, cosi’ composta: mio marito Paolo, le nostre tre figlie Giulia, 16, Martha, 14 e Sofia 8, e naturalmente io, Raffaela)  e’  il party a sorpresa che il nostro amico Paul ha organizzato per i 40 anni di sua moglie Natasha.  Destinazione Welligton, volo in elicottero, pic nic su spiaggia accessibile solo via aria o via acqua, solo per ragazze.

Wellington, la capitale, e’ la città più vivace e culturalmente attiva della Nuova Zelanda.  Non multietnica come Auckland, ma nemmeno conservativamente britannica come Christchurch. 

Urbanisticamente è un saliscendi di strade e villette ben tenute che si estendono tra la cerchia di basse colline che racchiude la citta’ e il lungomare. Piu’ precisamente lo stretto di Cook, che tempestosamente divide l’Isola del Nord dall’Isola del Sud.
Potrebbe essere il luogo ideale per viverci, se non fosse  che piove, fa freddo e tira un vento così  forte che non si riesce a camminare eretti. E questo per almeno 300 giorni all’anno. Di necessità si fa virtù, così Wellington e’ diventata il centro delle attività musicali, d’arte e spettacolo e naturalmente della gastronomia.

Decolliamo da Auckland senza una nuvola in vista e una temperatura mite per essere in autunno inoltrato(1)  e in meno di un’ora ci ritroviamo in inverno e piove.  Nella valigia ho solo qualche maglietta di lana merino “kiwi-made” (2), filate come una T-shirt, ma molto calde (per vestirmi a strati come una cipolla), una giacca da pioggia molto spessa e tutto l’occorrente per preparare una cena Italiana un po’ inusuale.

La mattina arriviamo all’eliporto, ma e’ subito evidente che non e possibile volare, almeno non su un elicottero, perchè comunque camminiamo sollevati da terra.

Paul, che e’ nato a Wellington, ha pronto un piano B: pranzo (sono solo le 11 del mattino, ma già che siamo in ballo…) al ristorante “Shed 5”.  Uno dei  locali piu’ “in”del momento. E di solito il momento dura poco, perche’ non c’e’, o forse non c’e’ ancora, in Nuova Zelanda una tradizione gastronomica fatta di ricette tipiche e ristoranti storici.

Lo “Shed5” e’ stato ricavato in un ex magazzino del porto commerciale, ristrutturato con cura mantenendo l’originaria struttura. La cucina, ovviamente di pesce, e’ sotto l’abile direzione di Simon Gault, una stella nel firmamento degli chef kiwi.

Il maitre di sala ci spiega che tutto il pesce viene comprato intero e poi sporzionato,  sfilettato e preparato  in una sala costruita specificamente allo scopo. Il perche’ cio’ non avvenga in cucina ci sfugge, ma considerando che siamo tutte  non-kiwi, evitiamo di domandarlo.

Per metterci a nostro agio ci servono ostriche di Bluff accompagnate da “Daniel le Brun” Methode Traditionalle della vicina zona vinicola del Marlborough.  E qui non commento perche’ non ho una particolare attrazione per i “bubbly” (3)  e affini. 

Sulle ostriche di Bluff invece potrei scrivere un romanzo. Una vera leccornia, tutta neozelandese.  Grosse, tonde, piatte, succose  e dal delicato sapore di mare. Crescono molto lentamente, nelle acque fredde e pulite dello  Stretto di Foveaux  che separa l’Isola del Sud dall’Isola Stewart. La terza isola per grandezza della Nuova Zelanda.
Prendono il nome dal  piccolo villaggio di Bluff,  da cui partono i pochi pescherecci autorizzati alla raccolta.
Non provengono da allevamenti e la raccolta e’ strettamente controllata – da Marzo a Maggio – e la quota annuale sostenibile si aggira intorno ai 10 milioni.

Il menù è di per se un giro intorno al Globo:  kedgeree scozzese di seppie, gamberi con curry malese, sashimi di tonno e chevice di tarakihi, uno dei pesci  più comuni e versatili. 

Sono l’unica Italiana, devo provare le capesante avvolte nel prosciutto spagnolo servite con burro di nocciole, foglie di coriandolo e purea di mozzarella.
Purea non nel senso di patate E mozzarella, solo mozzarella ridotta allo stato pre-filato. 
I main dishes (piatti principali) sono più tradizionali. Il mio Snapper (orata) e’ cotto alla perfezione e tanto per andare sul sicuro ho chiesto che ogni salsa fosse servita a parte.

I vini sono stati precedentemente scelti da Paul che oltre a essere della zona e’ anche un ottimo intenditore:  Mission Estate Jewelstone Chardonnay 2005: intensamente “buttery” come lo definiscono in Inglese. 

Al  posto del dolce, perché anche sforzandoci non troviamo proprio nulla che ci inspiri,  la vera sorpresa: Pinot Nero Nevis Bluff 2006.
I kiwi (nel senso del popolo, non degli uccelli) vanno molto fieri dei loro Sauvignon e dei  loro Pinot Nero, vitigni che,  dando  il meglio di se nei  climi meno miti, qui spopolano.

In particolare la regione Central Otago, al centro dell’Isola del Sud,( la regione vinicola piu’ a sud del mondo) vanta un numero di ore annuali di sole da “far invidia” non solo a Wellington.  La prima vigna e’ stata piantata nel 1865 da un immigrato francese, Jean Desire Feraud.   I suoi vini sono stati premiati in Australia dal 1879 al 1881!

I vigneti della Nevis Bluff sono giovincelli (piantati nel 1993) ma il risultato, almeno dell’annata in  questione, e’promettente.

continua……


Note:

 

 1. E’ Aprile, ma nell’emisfero sud le stagioni sono invertite

  2. Gli abitanti della Nuova Zelanda si chiamano kiwi. Da non confondere con il frutto:  kiwi fruit, o con l’uccello senza ali, simbolo della NZ, il kiwi bird.

3.Espressione colloquiale per Spumante. Formalmente si dice sparkling

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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