Ho iniziato a conoscere l’area della DOC Orcia nel 2001 e oggi, a distanza di più di due decadi, ho fatto una bella degustazione guidata (le cosiddette Masterclass) di 10 campioni dei produttori più rappresentativi. Noi di Winesurf rendiconti di degustazioni di singole denominazioni con relativi punteggi li facciamo solo collegialmente quindi vi dirò l’impressione generale che l’Orcia DOC nel suo insieme mi ha fatto, avendola vista nascere, svilupparsi e arrivare ad oggi.
Come premessa alcune informazioni generali: 150 Ha iscritti all’Albo con 60 produttori imbottigliatori (di cui 40 iscritti al Consorzio) per 290.000 bottiglie circa. Quindi poche bottiglie per un areale esteso su ben 12 comuni della Val d’Orcia, dove le altezze dei terreni partono da 250 m fino ad arrivare a 600, e che si trovano tra le DOCG di Montepulciano e Montalcino.
I terreni vanno da quelli tendenzialmente sabbioso-argillosi di origine marina e ricchi di fossili della Val d’Orcia vera e propria, fino a quelli vulcanici delle pendici del Monte Amiata. Se non fosse una denominazione così piccola varrebbe la pena di dividerla in sottozone e valorizzarne le caratteristiche specifiche.
Approvata la DOC nel 2000, questa prevede una versione “base” con la possibilità di utilizzare Sangiovese e altri vitigni fino al 40% e una versione “Sangiovese” e “Sangiovese Riserva” dove al 90% minimo di questo vitigno si possono aggiungere un 10% di alcuni vitigni autoctoni. La versione Riserva prevede almeno 24 mesi di affinamento di cui minimo 12 in legno.
Nel 2001 la qualità media era spesso molto bassa e a volte i vini presentavano evidenti difetti di vinificazione. Per non parlare dell’immagine delle cantine quasi tutte trascurate e con etichette davvero inguardabili (anche l’occhio vuole la sua parte specie nel settore vino).
In questa degustazione organizzata dal Consorzio non abbiamo assistito a niente di tutto ciò, anzi i vini erano tutti buoni e anche di più. Per capirsi l’equivalente delle nostre 3 stelle – 3 stelle e mezzo e anche i prezzi si sono mostrati più che adeguati (con qualche eccesso in basso e in alto): per lo più tra i 20 e i 30 € per una bottiglia a privato in cantina per i top di gamma.
Durante i minuti di presentazione di ogni vino da parte del produttore, ci hanno fatto vedere alcune foto delle cantine e dei vigneti con le bottaie in condizioni perfette e terrazze per accogliere le degustazioni con vista sul paesaggio circostante, in onore allo slogan della denominazione che recita “Il vino più bello del mondo”. Quindi su tutti i fronti una crescita qualitativa esponenziale negli ultimi 7-10 anni.
Mi sono chiesta quali siano stati i fattori che l’hanno determinata e provo a dare alcune risposte:
- 10 cantine per lo più rappresentate da giovani, molti sotto i 40 anni;
- Molte donne (mi hanno detto che anche nel Consiglio del Consorzio sono in molte) brave a comunicare la loro azienda, ma anche preparate sul piano tecnico perché direttamente impegnate nel lavoro quotidiano. E a questo punto aggiungiamo che anche presidenza e vice presidenza del Consorzio sono in mano a due donne: Giulitta Zamperini e Donatella Cinelli Colombini;
- Praticamente tutti i vini sono biologici, qualcuno anche biodinamico… ma non puzza!
- Nessuna falsità alla degustazione: palesemente tutti i campioni sono da Sangiovese 100% al più con altri vitigni autoctoni. Ciò vuol dire che nei vini top di gamma non si scelgono scorciatoie tramite il taglio con vitigni internazionali.
- La ricerca di una propria identità non scimmiotta i vicini di Montepulciano e Montalcino, ma cerca uno stile proprio che gioca su “eleganza e austerità” come ha detto il Sommelier AIS Valentino Tesi che ha guidato la degustazione.
- Assaggiando anche ai tavoli con i produttori mi sono resa conto che quasi tutte le aziende producono un vino base senza uso di legno per valorizzare profumi più freschi al naso e dinamicità al palato, mentre al top hanno almeno un vino con uso moderato del legno, teso a valorizzare non a coprire
Quindi tutto perfetto? Ovviamente no perché “come una rondine non fa primavera” così 10 cantine non fanno una Denominazione nemmeno se ne rappresentano la maggioranza produttiva. Probabilmente le altre non partecipano alle attività del Consorzio (e mi dicono nemmeno alle degustazioni organizzate con la stampa) perché hanno microproduzioni che, grazie alla presenza annua di 1 milione e 400.000 turisti ogni anno, vengono vendute tutte in cantina.
Come dar loro torto sul piano prettamente economico? Ma in quanto a fare impresa, cioè a dare valore anche economico a denominazione e brand aziendale, è tutta un’altra storia!